30 marzo 2009

Rientro

Dopo lunga latitanza (la più lunga da quando ho iniziato a scrivere questo blog) sono tornata in rete e in patria.
Ho svuotato le valigie, quasi recuperato il jet lag (non ancora le ore di sonno perse), ripreso possesso della mia stanza, rivisto alcuni amici, ripreso a guardare la tv italiana (e quindi già incazzarmi o amareggiarmi)... ma prima che la nuova storia annebbi l'American way ho qualche post già pensato da scrivere che sarà immesso retrodatato.

22 marzo 2009

to be or not to be proud (2)

Dopo un intero percorso negli States non è più necessario tornare a descrivere le caratteristiche che ci differenziano dagli americani, se avete letto i post precedenti sapete bene cosa intendo, se avete altre o ulteriori idee mi piacerebbe saperle perché l'osservazione e la comparazione è diventato ormai il mio hobby preferito.

Stando qui ho cercato di non rappresentare la "classica italiana" in vacanza che più o meno consapevolmente sostiene il: "in Italia è sempre (o ultimamente "nonostante tutto") meglio..."

Anche se non lo sappiamo siamo un popolo di orgogliosi, l'orgoglio della bella italia e della sua grande cultura come mi hanno fatto notare V. e A. ridicolizzando la mia scoperta (cfr. to be or not to be proud 1).

Infatti, anche se noi italiani non facciamo altro che lamentarci (in casa e fuori), considerarci arretrati e facciamo ancora fatica a pronunciare la parola patria o peggio ad esibire la bandiera (anzi esponiamo quella altrui minacciando la fuga!), in realtà noi questo strano e maledetto paese lo amiamo.

A darne prova non è solo Lapo Elkan che ha fatto altri soldi con le sue felpe ITALIA o ancor peggio FIAT (dopo che l'abbiamo sostenuta per generazioni con le nostre tasse dovrebbero regalarci una cinquecento, non venderci la maglietta!), bensì scrittori e registi che ne analizzano la storia e molti cantautori.

Mi sono resa conto di quante canzoni siano state scritte sul bel paese da italiani solo stando qui. La nostalgia mi ha portato a scoprire cantanti e canzoni che da anni parlano dell'Italia, la criticano e in fondo la celebrano come forse non accade in nessun altro paese.

Così mentre pensiamo la fuga già progettiamo il ritorno.

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Tra gli esempi cantati che ho in mente ci sono i seguenti presi qua e là cercando di seguire un ordine. Ma altri se ne potrebbero trovare.
L'Italiano di Toto Cotugno (la preferita del mio coinquilino); Aida di Rino Gaetano; Viva l'Italia di Francesco De Gregori; Quarant'anni dei Modena City Ramblers; Por Italia di Davide Van De Sfroos; Bella Italia dei Tre allegri ragazzi morti; Buona notte all'Italia di Luciano Ligabue (sebbene sia un tentativo a mio parere molto malriuscito) e tra gli ultimi gli Afterhours che non solo hanno portato al festival di San Remo un testo su "Il paese reale" (che lascia perplessi al primo ascolto, ma mostra un certo valore poi), ma hanno pubbicato coinvolgendo molti nomi della scena indie un album che lo descrive.

20 marzo 2009

La "mia" testimonianza

Intanto in America non ne parlano. Però provano a raccogliere i cocci.

Parlare della crisi, in America, oggi è un vero e proprio tabù. Ho provato a discutere con loro, soprattutto con i giovani. E la reazione era sempre la stessa: risposte generiche, mezze frasi, scarsa voglia di parlarne.

In gennaio a New York faceva freddissimo: non c'erano ambulanti per le strade. Ora che il clima inizia a mitigarsi, non si vedono comunque molte bancarelle agli angoli delle vie, nemmeno nelle giornate più calde.
Una donna keniota espone della bigiotteria e spiega che parecchi venditori erano soliti ritrovarsi in quel punto, ma a poco a poco hanno lasciato, sono rimasti solo in due. - A causa della crisi la gente non acquista più, e così facendo - aggiunge - va sempre peggio -.
La società capitalistica statunitense, infatti, aveva abituato i propri cittadini ad uno shopping frequente, nonostante il paese ormai da anni non produca più nulla, ma si basi sull'importazione di prodotti.
Ora la crisi, provocata anche da questo sbilanciamento, inizia a modificare l'atteggiamento degli americani. La gente sta perdendo il lavoro, a tutti i livelli, quindi potere d'acquisto e molto altro: negli Stati Uniti aumenta considerevolmente il numero di persone che non ha l'assicurazione sanitaria per esempio e, da quando la bolla legata ai mutui è rovinosamente esplosa, la casa.
Tra i motivi della crisi partita dagli Stati Uniti vi è, infatti, proprio l'eccessiva flessibilità del mercato immobiliare. Le banche elargivano prestiti facilmente agli acquirenti anche con situazioni instabili o precarie. I tassi erano favorevoli perché gli operatori finanziari erano sicuri che i prezzi sarebbero andati aumentando e il guadagno sarebbe stato continuamente garantito.
Un amico che lavora per una società di investimento ha cercato di darmi una spiegazione semplice di quanto è accaduto.
Un ipotetico Sig. Doherty poteva, per esempio, decidere di acquistare una casa chiedendo un mutuo che gli veniva concesso al tasso X. Qualche giorno dopo lo stesso Sig. Doherty scopriva un'altra compagnia che gli avrebbe coperto interamente la spesa garantendogli un tasso più basso. La fiducia nel mercato garantiva al sig. Doherty di evadere il primo mutuo, contraendo un debito con il secondo investitore. Questi passaggi potevano continuare e andavano a gonfiare la cosiddetta bolla del mercato immobiliare, basata su mere speculazioni e non sul valore effettivo degli immobili.
L'estrema fiducia nel mercato consentiva, inoltre, alle banche di attuare manovre di securitization (cartolarizzazione). Iniziate nel 2000 queste manovre hanno permesso alle banche di concedere molti mutui (i cosiddetti mutui subprime) perché grazie alla cartolarizzazione potevano rivendere i mutui ad altre istituzioni finanziarie, le società veicolo, liberandosi dal rischio di non ricevere più rate. La società veicolo lucrava da questi passaggi emettendo delle obbligazioni legate ai mutui.
Quando il mercato ha iniziato a incrinarsi la realtà è venuta allo scoperto insieme a una crisi che ha portato gli operatori finanziari a correre ai ripari.
La flessibilità che domina in ambito lavorativo ha permesso ai datori di lavoro in difficoltà di lasciare a casa da un giorno all'altro i propri dipendenti. Questo atteggiamento, che continua, ha fatto scivolare vorticosamente la situazione sempre più in basso. Il tasso di disoccupazione ha ultimamente raggiunto l'8,1%, i disoccupati sono 12,5 milioni: almeno quattro di questi hanno perso il posto negli ultimi mesi. Si dice che saranno necessari almeno 2/3 anni per uscire dalla crisi.
Le banche che sono andate in bancarotta hanno licenziato in maniera selvaggia. Tuttavia gli americani non disperano: malgrado la paura sia tanta, riescono a contenerla dietro un ottimismo perlomeno di facciata.
Ho chiesto ad ex bancario di ventisette anni cosa farà ora che da qualche settimana ha perso il lavoro, se è preoccupato. Ha risposto che aveva un buon posto, qualcosa ha messo via. Sta cercando altro. Non è pessimista, ma non sorride. Almeno per ora può comunque continuare a pagarsi casa. Ora, infatti, nonostante gli affitti siano scesi di un buon 25%, molte persone sono costrette a cercare un alloggio più economico.
Anche lontano dalle grandi metropoli la crisi non manca di far parlare di sé e influire in modo diretto. Molte le università che hanno tagliato il personale gravando i docenti di ruolo con l'insegnamento di più classi per il prossimo anno. E d'altra parte chi ha un posto sicuro se lo tiene ben stretto e non si lamenta certo del maggiore carico di lavoro. Un professore mostra preoccupazione affermando che anche dove lavora, in una piccola università dell'Indiana, frequentata prevalentemente dalla middle e upper middle class, per l'anno prossimo si prevede un numero notevolmente inferiore di iscrizioni. Perciò la politica di risparmio del campus è già iniziata riducendo alcuni servizi offerti agli studenti. È appena stato comunicato, ad esempio, che il servizio gratuito di shuttle per il supermercato del lunedì e giovedì è stato ridotto ad una sola volta a settimana. Dice, inoltre, che molti saranno i lavoratori del settore automobilistico che perderanno il posto e quindi la possibilità di garantire ai propri figli l'istruzione universitaria. Frequentare il college è negli Stati Uniti un vero privilegio e se non si ha un reddito medio alto (o la fortuna di una borsa di studio) è impossibile pensare di accedervi.
Le uniche attività che non sono state danneggiate sono quelle che in tempi di crisi fanno consulenza e riescono a lucrare sui cattivi investimenti altrui.
Tuttavia gli americani non si lamentano: hanno la percezione che in Europa la situazione sia persino peggiore e ripongono una grande speranza nel nuovo presidente.


da L'Ordine (quotidiano del comasco), 18 marzo 2009


*L'articolo è mio: l'ho scritto su richiesta di un amico ed è stato pubblicato in toto. Ho cercato di raccogliere varie informazioni, ma le testimonianze dirette sono state difficili da reperire: perciò quelle righe (da me indicate in corsivo) in apertura rubate da un dialogo via facebook.
La sera dopo durante una cena con un paio di anziane coppie qualche aneddoto in realtà è uscito, ma la situazione generale è quella indicata.
Gli americani parlano di: sport, tempo, televisione... questo quello che più di uno studente ha risposto all'ovvia domanda "Ma se non parlate di politica (in senso lato)... di che parlate???"
Il titolo non l'ho scelto io invece, ma mi piace.

R.S.P.

Scorrendo gli ultimi post ne esce il ritratto di una situazione difficile e di una persona che chiede consigli, ma in fondo lo sa già: se ne andrà su quel volo del prossimo 25 marzo.
Eppure nelle ultime settimane ho trascorso dei momenti di gioia, affetto e gratitudine che mi porterò stretti per un bel po' e che mi faranno tessere tanti elogi agli americani.

Ammetto, come già accennato nel post sul Thanksgiving day, di sentirmi una persona fortunata, negli ultimi anni, nei viaggi fatti ed anche a casa (ma in Italia sono state attentamente scelte), sono attorniata da persone squisite da cui mi sento voluta bene.

L'ultima volta che l'ho vista, Deb mi ha definita "a sweetheart" e ha affermato che sicuramente molte persone hanno desiderato trascorrere del tempo con me, ma lei per prima è un cuore al quale è facile voler bene.


Ma anche altre sono state le persone che mi hanno dimostrato un affetto, spesso del tutto inaspettato e con una semplicità tutta americana.


Tra le RSP (really special persone: sigla da me coniata in questo istante): Katherine e suo fratello John. A New York, ad esempio, dove mi hanno ospitata, non solo John mi ha più volte pagato il pasto, ma, la sera prima della mia partenza, a fine cena (avevo cucinato, Kathrine apparecchiato e acquistato dei fiori) è entrato in sala con una torta per il mio compleanno passato da soli pochi giorni. Ho festeggiato 28 anni tra "quasi sconosciuti" tra i quali mi sentivo "a casa".

La settimana precedente, inoltre, gli auguri mi erano già stati preparati da Greg che, a mia insaputa, aveva cucinato una cena vegana completa regalandomi anche una borsa di canapa biologica in tinta con le scarpe da poco acquistate.

Ma la gentilezza che forse più mi ha sconcertato è stata quella di Ken, il ragazzo di origine sudamericana, che ci ha scorazzato in giro per Manhattan a gennaio e che, nonostante non fosse assolutamente benestante (parlando ci ha spiegato di non potersi ancora permettere l'assicurazione sanitaria), ci ha pagato il pranzo e i due biglietti per salire in cima al Rockfeller center per ammirare una New York quasi notturna. Non c'è stato verso di rifiutare: ho provato a sottrargli la debit card al momento del pagamento per allungare la mia, provocando un'occhiata che mi ha quasi spaventata. Ho lasciato che facesse.

Già ho raccontato di Joshua (l'ormai famoso "quasi pastore") che ha cucinato, mi ha portato a un matrimonio, prestato la coperta, Anthony e Denis che mi hanno fatto vivere almeno un concerto a Indy e quest'ultimo mi ha inoltre fatto un cd ad hoc di Ryan Adams oltre a offrirmi il caffè ogni qualvolta finissi nel suo bar.


Altre studentesse mi hanno invitato a cena nelle rispettive sorority e tre ieri durante la cena mi hanno fatto trovare un mazzo di fiori e un pacchetto: una loro foto incorniciata perché non le dimentichi.

Prima di partire (e ancora durante la mia permanenza) alcuni mi avevano messo in guardia sugli americani descritti come molto friendly, ma incapaci di stringere rapporti profondi.
Quanti italiani sono capaci di stringere rapporti intensi e autentici? Se ascolto i dialoghi volanti colgo spesso delusioni e tradimenti.

Perciò la differenza credo stia solo nel diverso approccio. Gli statunitensi sono semplici e affabili, talvolta con un apparente entusiasmo che può sconcertare. Gli italiani al contrario vanno più cauti, spesso appaiono chiusi e caratterizzati da un atteggiamento magari persino retrivo.

Ma americani, italiani, tedeschi svizzeri... people are people... and lovely people are everywhere (fucking bastards also, unfortunately).

28 febbraio 2009

Enjoy

Gran Torino




Produzione: Double Nickel Entertainment, Gerber Pictures, Malpaso Productions, Village Roadshow Pictures, Warner Bros

Paese: USA 2008



The Visitor (L'ospite inatteso)
Sceneggiatura: Thomas McCarthy
Attori: Hiam Abbass, Amir Arison, Danai Jekesai Gurira, Richard Jenkins, Maggie Moore Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Oliver Bokelberg
Montaggio: Tom McArdle
Musiche: Jan A.P. Kaczmarek
Produzione: Groundswell Productions, Next Wednesday Productions, Participant Productions

Paese: USA 2007


Forse perché ho rischiato di perdere il visto e mi sono sentita minacciare di allontanamento forzato dagli Stati Uniti.
Forse perché ho provato se pur in modo blando la condizione dell'immigrato: la semplice percezione di non capire (e non solo a livello linguistico) e la frustazione di non essere presa in considerazione. Lo shock culturale. Il nervosismo davanti allo sguardo compiaciuto e compassionevole di chi è convinto di offrirti la luna, mentre a te pare di averla appena lasciata e ti trattieni dall'urlare che speri di non diventare mai come loro.

Pensieri sparsi, incazzature, amarezze. E sono italiana: ho una casa e una famiglia dove tornare.
Ho iniziato a guardare la realtà da prospettive che mai avrei immaginato e ho aperto gli occhi. Questi due film, entrambi americani e tutti due sul medesimo argomento sono l'ennesima conferma di quanto sto, forse per la prima volta, osservando.


Gran Torino
parla dell'immigrazione negli Stati Uniti tessendo una storia tremenda e toccante che offre squarci di vita quotidiana ai margini di una grande città americana del Midwest (forse Detroit) dove vivono soprattutto, ma non solo, immigrati di vecchia e nuova generazione.
L'aver parlato con un professore, una donna che lavora alla DePauw ed è per metà messicana e alcuni studenti, mi ha reso la visione ancora più cosciente.
Credo, infatti, che su queste tematiche, noi italiani, dovremmo guardare agli Stati Uniti : non ripetere i loro errori. I problemi legati all'immigrazione che noi andiamo scoprendo sono qui parte integrante della storia, quale migliore grande fratello? Perché ci si limita sempre solo alle analisi economiche?
Ad esempio, da qualche anno, anche nelle grosse città italiane si sono formate le gang di ragazzi ispanici, asiatici... Cosa fare? Dal film emerge chiaramente come la speranza di un lavoro e la dignità possano salvare. In primis però bisogna garantire l'istruzione. La scuola è fondamentale. Perché se no Obama vuole dare la possibità a tutti di accedervi? Da noi si fa come i gamberi...

Credo che molte delle nostre difficoltà e i tanti dubbi derivino dal fatto che siamo sempre stati abituati a considerare l'Italia terra di emigrati non il contrario. Soliti ad essere solo italiani tra italiani. I pochi stranieri fino almeno un quindici, vent'anni fa erano guardati in modo quasi esotico. Ora che le cose sono cambiate i nuovi inquilini sono genericamente clandestini. Ma cosa significa essere clandestino?

Il film The visitor pone allo spettatore questa domanda. La trama è semplice, la vicenda cade in un quotidiano che ci è contiguo, ma che non realizziamo. La risposta è forse un'altra domanda. "Cos'è un permesso di soggiorno? Quale unzione ti permette di concedermelo o meno? Cosa ti dà il diritto di cacciarmi da un territorio? Forse perché sei nato qui? E i tuoi genitori pure? E i tuoi nonni? I bisnonni... non lo sai più? Ma se anche, cosa ti fa pensare di poter disporre della mia di vita?"
Consiglio il film perché semplifica il fatto in modo magistrale dando una visione chiara dell'assurdità che io non riesco a spiegare.

Naturalmente è altro il discorso per chi commette dei crimini, ma in quel caso non si parla più di clandestinità, bensì di criminalità e il trattamento dovrebbe essere uguale per tutti, senza buonismi e cadute in prescrizione...
Scrivo queste righe dopo aver ascoltato tante notizie tragiche sia per gli italiani (i tg sembrano bollettini di stupri), sia per gli stranieri (mi viene in mente Rumesh, il giovane ragazzo cingalese di Como a cui un vigile ha sparato perché non si era fermato all'alt) e credo che la soluzione non stia in banali reimpatrii. Mi stupisco, ogni volta come se fosse la prima, davanti alla comune cecità blindata che non permette di vedere come alla radice del problema ci sia un sistema economico globale malato, basato sullo sfruttamento guarda caso proprio di quelle zone da cui i cosiddetti clandestini provengono.
Sintanto che la politica economica procederà in questo modo non illudiamoci di vedere diminuire il flusso di arrivi in Italia, nonostante i populistici annunci pro securitate.
Tanto vale trovare soluzioni alternative e arricchirsi scoprendo il futuro vicino. Nel mio piccolo posso dire che, nonostante i dubbi iniziali, gli immigrati seduti nelle mie classi italiane l'anno scorso, non hanno mancato di dare importanti contributi.

Enjoy.

25 febbraio 2009

to be or not to be proud (1)

Ho raccontato al mio coinquilino l'episodio di X e Y (v. 20 feb. 09) e riportato la mia riflessione "we, Italians aren't so patriotic and we criticize a lot our country - V. stava armeggiando col suo zaino, si è fermato e voltato verso di me - we often think that the others are better in this and this... but actually I think we love Italy and we are kind of proud...". Allo sguardo perplesso l'austriaco ha aggiunto un sorriso beffardo e continuato "what!? you (pl.) are so proud of everything: of your spots, cities, art and also the food and then also the music... everything". Non pensavo dessimo questa immagine agli stranieri "Hmmm maybe you're right... I didn't realize it before".

Per avere un altro parere ho chiesto pure alla francese. L'approccio è stato il medesimo: "I don't think that we Italians are patriotic, b..." non ho fatto in tempo a terminare la frase che già A. si stava rotolando dalle risate "What are you saying???", "hmmm...". La conclusione del discorso è stata sua: francesi e italiani sono molto orgogliosi del loro paese: "Because we know we are the best", "who?" ho chiesto ammiccando "Both of us" molto diplomatica e bugiarda ha risposto la francese.


*Sia V. sia A. sono stati in Italia diverse volte. Il mio coinquilino inoltre si sta facendo una full immersion di cultura italiana popolare latu sensu: si è scritto per intero il testo di Bella ciao e sta imparando a memoria qualche verso di una vecchia canzone dei Litfiba (Lacio drom) con la quale spera di stupire le turiste italiane a Berlino. Ovviamente non manca di autoinvitarsi a cena appena ne vede l'occasione.
**il discorso soprariportato non ha preso minimante in considerazione il dramma governo e quanto ne è annesso.

22 febbraio 2009

Sad global reality

Invece di scaricare le foto dell'ennesima città americana attraversata al gelo, cioè Chicago sotto la neve, mi sono messa a fare zapping su youtube, contenitore in cui frugo con passione e buoni risultati.

20 febbraio 2009

Conversazioni in Italia (con assoluta fedeltà)

X e Y sono due italiani. Si sono conosciuti a Dresda in erasmus qualche anno prima (ormai più di qualche). Hanno un po' viaggiato insieme e un po' hanno girato l'Europa per conto loro. Sono tornati in Italia. Si sono laureati. X è andato a trovarla a Como, Y è stata sua ospite a Firenze.

X da un paio d'anni fa il dottorato in filosofia, Y da qualche mese se ne sta negli Stati Uniti.


Dicembre 2008.
X chiama Y.

X entusiasta: fra poco ti raggiungo! Sto preparando tutto, hanno accettato la mia domanda di studio!
Y contenta: bene, ma cosa vieni a fare qui? Vale la pena studiare filosofia negli States?
X ancora più entusiasta: Perché no? Ho scritto ad alcuni professori. Non vedo l'ora! Ho letto il tuo blog... ma sei troppo polemica... ma su! ecche ti lamenti!? l'America è bella... Su esci, guardala con altri occhi, pensa...
Y: vieni, ti aspetto qui. Ma quanto ti fermi?
X: penso un anno. Quest'estate faccio il coast to coast. Non vedo l'ora!


Febbraio 2009.
X scrive a Y.

X: che ore sono da te?
Y: 5 e mezza.
X: anche da me :-) ti chiamo

X chiama Y.

Y: allora sei arrivato???
X: ebbene sì, da una settimana e mezza circa...
Y: allora, come va?
X: sto cercando di non lamentarmi...
Y: Uuuhhh, guarda non faccio manco la finta di starmene zitta... Te lo dico proprio: CHE T'AVEVO DETTO? Eh? Pensa che sei arrivato da sole due settimane! Il peggio ha da venire... hihihihi
X: ma secondo te perché? Perché non ci piace?
Y: Perchè siamo italiani X! Siamo viziati! Vivi in centro a Firenze come cazzo fanno a piacerti gli States???
Per non parlare poi di tutto il resto: cibo, natura... storia...
X: uhmmm...
-pausa-
Pensavo che forse quest'estate vado in Argentina... telefono al mio amico e glielo dico: cambio di programma, niente più coast to coast. Cosa dici?
Y: vedo che hai capito. Tornassi indietro forse anch'io passerei gennaio in Sud America, spendendo probabilmente anche molto meno...

X racconta i primi grotteschi anedotti nel nuovo mondo e già tesse confronti fra i popoli

X: ma secondo te perché Dresda ci piaceva così tanto? forse perché eravamo più giovani?
Y: NO, Dresda è bella! Dresda è Europa, qui gira che ti rigira le città si assomigliano tutte... togli San Francisco, New York...
X: New York non mi ha particolarmente colpito...
Y: ok, risposta definitiva: vai in Argentina senza nemmeno pensarci.
X: pensare che in Italia avevo pure appena trovato l'amore...
Y: ahhh ma allora te le vai proprio a cercare!

Alla fine della telefonata Y confrontando le condizioni di X che si trova in un campus con circa 25ooo studenti, vive in un dormitorio per soli grad students (vale a dire dottorandi) e ha a disposizione i mezzi pubblici, con le sue si chiede con timore se abbia sviluppato un sistema di sopportazione particolarmente alto o sia diventata una cosiddetta sfigata...

15 febbraio 2009

Happy Valentine's day!

Non so se sono io ad averne ormai perso l'abitudine, ma mai avevo visto un San Valentino tanto celebrato. Qui negli States, infatti, la ricorrenza è partilarmente sentita e pure in biblioteca sono stata sorpresa dalla scritta "Happy Vanlentine's day!".
Sarà che noi siamo più realisti (perlomeno chi mi attornia), ma quando ho mostrato perplessità dicendo che in Italia, nonostante parecchie coppie si facciano il regalo o escano a cena, tutti sono consapevoli della farsa commerciale, G. mi ha guardato con un sorriso "but you are supposed to be lovers..." poi ha aggiunto "people here need to love and be loved".
Così ho scoperto che se non sei fidanzata negli States puoi comunque festeggiare il 14 febbraio chiedendo ad un amico di farti da Valentine per quel giorno "Do you want to be my Valentine?". Vi regalate qualcosa, anche solo un biglietto, e magari uscite a cena (pare che per quel giorno non ci sia un doppio fine... )
Oppure lo si può festeggiare anche semplicemente con le amiche, o gli amici, o entrambi.
Sono, infatti, stata invitata a fare i dolci con un gruppo di single girls (ci manca solo che affogo la tristezza nel cibo pure in compagnia!) e ad una festa aperta a tutti.
Ho dato buca a entrambe preferendo aspettare una Pasqua forse italiana che qui non verrà nemmeno quasi menzionata.
*Ricevere fiori però fa sempre piacere :-)

Appendice a conferma: mentre scrivo l'addetta al bar della biblioteca chiede ai ragazzi se hanno avuto un buon San Valentino e pure il sacerdote, durante la predica, vi ha fatto riferimento.

12 febbraio 2009

People are people (forse), ma certi americani, li amo.

Una settimana fa facevo la spesa al solito posto quando sento chiedere "How are you doing?", è un commesso, ma non sono certa saluti me, non sono nemmeno sicura di ciò che abbia detto. Abbozzo un sorriso, mi guardo intorno e non c'è nessun altro. Mi avvicino al ragazzo "Pardon?", "How are you doing?" ripete e io inarcando le labbra "I'm ok thanks". Mentre sistema della frutta mi spiega che non gli piace la gente che non risponde, non ce l'ha con me, ma annuisco e preciso che pensavo la domanda non fosse rivolta a me. Ci scambiamo uno sguardo cordiale da gente che si trova simpatica.

Oggi torno perché domani devo cucinare il risotto alla milanese per le due anziane coppie di americani che ogni tanto si prendono cura di me (sono riuscita a guadagnarmi pure un'aspirapolvere) e dunque vado in perlustrazione. Mi serve il riso arborio (non c'è), il parmigiano, ma soprattutto lo zafferano. Per evitare inutili ricerche decido di rivolgermi subito al personale. Vedo il commesso della scorsa settimana e mi avvicino. Lui si prende a cuore la missione. Guardiamo tra i prodotti naturali/biologici: nulla. Mi assicura che c'è. Lo seguo tra le spezie, un collega glielo indica. Prima che io me ne accorga, è lui ad indicarmi il prezzo: 23 dollari!!! "I think I will cook something else!".
Mi chiede com'è quello che mi serve, racconto che in Italia lo compro in polvere ed è pure caro, ma non così tanto, magari lì ce n'è di più e bla bla... Mentre parlo accovacciata accanto a lui davanti a decine di boccettine di spezie, inizia con tutta naturalezza ad armeggiare col barattolo: lo apre, estrae la busta di carta bianca, mi mostra il prodotto "is this?" chiede, giusto il tempo di pronunciare yes, "Have you something to put it?". Apro istantaneamente il biglietto con la lista della spesa e me ne trovo mezza confezione in mano. "Is it enough?", stupita, disorientata e contenta dico un altro yes e lui afferma che non si può pagare così tanto per una spezia. Come dargli torto?! Poi richiude il contenitore di cui non ha nemmeno rotto la plastica protettiva... Ringrazio con 32 sinceri denti in vista. Penso che questo è "take it easy" e continuo giuliva la mia spesa.

L'educazione ricevuta però fa digitare al mio cerebro la parola "furto".
Poi dicono degli italiani...
Risolvo il problema pensando che in fondo questo è un "rubare ai ricchi per dare ai poveri": qui esistono i Robin Hood. In Italia non ne ho mai incontrati, nonostante la legge che Tremonti così chiamava. Forse che nel mio paese chi infrange le regole lo fa solo per trarne vantaggi personali?

Poi mi viene in mente la confidenza del mio coinquilino (from Austria!) che spesso evita di pagare il caffè in mensa riempiendo la sua tazza senza dichiararne il contenuto alla cassa.
Dunque tutto mondo è paese?
Così pare, solo che da noi ci si vanta delle truffe!
Infatti, a dimostrazione, l'autrice pirla riporta il suo episodio con soddisfazione.

In realtà mi ha lusingato la gentilezza. E il gesto acquista valore perché regalatomi da un perfetto sconosciuto (e anticipo ogni perverso pensiero affermando che non solo non mi è stato chiesto niente di niente, ma al dito il giovane portava pure la fede). Gli americani sono semplicemente gentili (cfr. esperienza a N.Y.), l'ho già detto, è un dato di fatto e certi americani li amo.
*In un risotto per 5 persone quanto ce ne va di quello sopra fotografato?

9 febbraio 2009

Per amor di patria

Se pur da lontano mi unisco all'INDIGNAZIONE di questi giorni sul caso Englaro che mostra per l'ennesima volta l'atteggiamento di un governo che non ho più parole per definire: tutto il peggio.
Ma veramente ogni stato si merita i politici che ha???

Purtroppo non mi sono iscritta alla lotteria per la green card ed ora i termini sono scaduti (davanti a taluni fatti è facile trovarsi certe idee in testa. AMAREZZA).

5 febbraio 2009

Arte e cucina non basteranno a salvarci.

Come poi lamentarsi se gli stranieri pensano a noi solo in termini truffaldini?
Ecco l'intervista (se così si può chiamare) di un giornalista della nota tv americana Cnbc a Giulio Tremonti.

Già il titolo potrebbe essere esaustivo:
Don't Mention the Italian Economy
CNBC's Geoff Cutmore spoke to Italian Finance Minister Giulio Tremonti at the World Economic Forum in Davos in Switzerland, but when the subject turned the Italian economy the interview was abruptly ended.


Per chi come me ama l'Italia in modo che ora mi sento di definire autolesionista, il video.

http://www.cnbc.com/id/15840232?video=1017519662


Ringrazio Pluto per averlo postato sul suo blog Italia America one way dal quale ho attinto (http://www.plutousa.blogspot.com/)

4 febbraio 2009

Desperate (what?)

Greencastle - E' recente la scoperta dell'ennesima comparsa del virus denominato "Bridget Jones" nell'ameno paesino di Greencastle a circa quaranta miglia da Indianapolis. L'agente patogeno ha colpito una giovane donna straniera appena rientrata da un lungo viaggio proprio mentre questa, ignara del rischio, credeva di aver trovato pace e calma interiore e si apprestava a posticipare il ritorno in patria.
I sintomi inequivocabili della malattia portano il soggetto malato a sviluppare atteggiamenti spiacevolmente simili a quelli raccontati nel popolare film diretto da Sharon Maguire tratto dall'omonimo romanzo "Bridget Jones's diary" di Helen Fielding.
Rassicuranti sono comunque i passi avanti compiuti nella ricerca della cura che dovrebbe essere disponibile a breve.

*E pensare che un tempo avevo fama di "essere una rompipalle fissata col biologico e i cibi naturali". Bei tempi, ma torneranno, mica m'arrendo io!

2 febbraio 2009

Cosa mi piace degli Stati Uniti / What I like in the U.S.

Cosa mi piace degli Stati Uniti è un post su commissione. Non che mi paghino per scriverlo (già molto che non debba pagare io per caricare parole in rete!), ma è stato richiesto da un amico che mi ha accusata di essere antiamericana...
Nonostante credo la definizione sia stata data più con vis polemica che raziocinio, raccolgo volentieri l'invito.

New York. Questa città mi è piaciuta, ho apprezzato tanto anche New Orleans. Sono città vive, dove ci sono i caffè per trovarsi e i locali nei quali sentire musica. Tuttavia ci sono stata poco, soprattutto a New Orleans e l'opinione risulta parziale.
Nella grande mela ho trascorso una settimana. Finalmente una città vera: un luogo dove poter trovare di tutto, fare di tutto. Immensa, ma ben collegata dai mezzi. Un luogo dove perdersi, nascondersi, ritrovarsi. Io ci ho vagabondato stanca sperando di tornarci.
Mi avevano detto che avrei visto la frenesia fatta carne, invece ho semplicemente ritrovato un po' d'atmosfera europea a cui già ero abituata. A Milano ne ho visto esempi peggiori, e la stessa DePauw University con la sua inutile pretesa pianificatrice è a mio avviso persino più estenuante.

Ma devo dire quel che mi piace.
In prima posizione metto la semplicità e la gentilezza degli americani. Iniziare a chiacchierare col vicino mentre si aspetta l'aereo, o conoscere l'avventore del bar o del ristorante accanto al quale siamo seduti è molto comune.
A New Orleans ad esempio abbiamo conosciuto un professore universitario di psichiatria che stava cenando su un tavolo adiacente al nostro, alla fine ci ha dato il suo indirizzo mail; a Manhattan un amico del nostro ospite (un colombiano nato e cresciuto negli States) ci ha mostrato per un'intera giornata la città, offerto il pranzo e pagato i venti dollari a testa per salire sul Rockfeller center. Nonostante versasse in condizioni tutt'altro che floride, non c'è stato verso di rifiutare.
E non ci si dà del Lei, non esiste (qualcuno mi ha detto ci fosse, tuttavia ora non si usa). Con la gentilezza che conviene ci si rivolge allo stesso modo al professore, al compagno di classe, al medico e all'autista del bus. E se è vero che alle volte mi smarrisco in questa abitudine e vorrei trovare modi più ossequiosi per taluni soggetti, arrivo alla conclusione che il rispetto non si misura sulla base di un pronome.

Insieme alla facilità di relazione, c'è una certa noncuranza verso l'abbigliamento che di sicuro preferisco all'ossessione nostrana. Tuttavia sapendo dove e quando andarci è facile trovare pure abiti e accessori dignitosi e di marca a prezzi ridotti.
Non vi dico lo sconcerto quando in pieno centro a New York sono andata da Daffy's dove, insieme ad altri indumenti dell'italianissima Deha, ho notato un paio di pantaloncini simili a quelli acquistati l'estate scorsa a Milano con un esborso di oltre quaranta euro. Il cartellino Daffy's price aveva un ammonto di soli tredici dollari. Certo però i capi non sono dell'ultima stagione né ben disposti... Invidia!!!

L'idea che la legge vada rispettata è fondamentale nella mente degli americani. Poi non lo so se lo facciano, i furbi ci sono ovunque però perlomeno non vanno in giro a vantarsi per le truffe realizzate! Anzi la maggior parte delle persone mostra sgomento all'idea di trasgredire la norma. Più di una volta ho sorriso... più di una volta avrei pure mozzato il capo al mio interlocutore per la rigidità e la ristrettezza mentale mostrata in termini legislativi burocratici.


Altro apprezzamento va alla stima che nutrono verso la propria classe politica. Assodato che George Bush sia stato il peggior presidente degli Stati Uniti e un idiota, ora i democratici incontrati nutrono una speranza verso l'uomo e il politico Barack Obama che in Italia non ho mai visto nè vagamente ipotizzato (e forse non è difficile capirne il perché).


Mi sto abituando alla fantastica comodità della rete: qui è piuttosto semplice trovare una rete-wireless non protetta da poter usare e la gente legge quotidianamente la posta e risponde subito alle mail.


Come anche in Germania, anche qui ci si porta caffè e tè appresso. Pratica che già avevo importato persino nella biblioteca comasca. Tuttavia gli americani non hanno grandi thermos come gli Alemanni, ma capienti tazze col tappo, da cui bere direttamente.
Non ho resistito: è stato l'ultimo acquisto.
Altra libertà "inappagabile": si può mangiare quasi ovunque. Per le strade la gente mangia qualsiasi cosa. Ok è vero, non sempre è un bello spettacolo...

I bagni. La maggior parte dei bagni pubblici sono puliti e provvisti di carta. Evito l'ovvia comparazione.

Infine, ma di questi tempi, dovrebbe essere la prima, l'attitudine che le persone mostrano di fronte alla possibilità di perdere il lavoro o una posizione economica raggiunta. Ricominciano.
La mancanza di uno stato sociale, una visione improntata ad apprezzare la "capacità di farsi da sé" che è intrinseca alla storia di questo stato (nella sua accezione positiva, ma spesso anche negativa: esaltazione del self made man, di colui che ha successo economico), un mercato del lavoro molto più mobile (come i licenziamenti anche le asssunzioni sono più semplici) sono, credo, tra i principali fattori di questo atteggiamento.
Non so se siano maggiori i pro o i contro (o forse un'idea ce l'ho e la si può immaginare) ma penso che noi italiani dovremmo guardarne il lato positivo e capire che si può cambiare, ci si può spostare. Si deve provare e, se si cade, gambe e braccia ci faranno rialzare.


Quest'ultima constatazione apre confronti immensi che sento constantemente ripetere quando guardo la tv italiana in rete. Non si fa altro che guardare agli States eppure non è tutto oro quel che luccica e noi italiani ci autodemoliamo continuamente.
Bisognerebbe invece ricordare il verso del buon Gaber:
"Rispetto agli stranieri noi ci crediamo meno ma forse abbiam capito che il mondo è un teatrino".
Perciò a breve un post "American versus Italian a manovella".

30 gennaio 2009

L'altro volto del viaggio

Dedicate ai molti che ritengono il viaggio sinonimo di spasso.





28 gennaio 2009

Ecche culo!

Domenica 25 gennaio
(n.d.r. non fatevi ingannare dalla prima parte, procedete)


Ore 13.00


Eppure ce n'erano stati di segni premonitori: la tarda risposta dell'università, la scoperta del ridicolo compenso che mi sarebbe stato corrisposto e niente board. La lotta per ottenere l'assicurazione medica.
Non ho mollato: volevo partire.
All'inizio di agosto altre premonizioni: un taglio troppo deciso della parrucchiera, alla quale era stata chiesta solo di togliere le doppie punte, ha praticamente dimezzato la mia chioma provocando ripercussioni sul mio umore; il mal di denti manifestatosi una prima volta in luglio e poi acutizzatosi pochi giorni prima della partenza.
Nonostante il timore di dover ricorrere a un dentista americano, non ho desistito, sono partita.
In aereo ferma a New York scrivo mentre aspetto di partire per tornare a Indianapolis e se non scrivessi mi verrebbe da piangere.
New York mi è piaciuta molto, ma è stata l'ultima tappa e, colpa il freddo e la stanchezza, non me la sono goduta come avrei voluto.

Il viaggio non è certo andato male, ma lo ricorderò come un'esperienza interessante più che bella. Di certo piuttosto faticoso con rare soddisfazioni e parecchia amarezza. Il maltempo non ha aiutato a rendere più apprezzabile il regno del fast food pronto al collasso.
Sicuramente ero partita già stanca, stressata e con troppe aspettative: speravo che andando a zonzo sarei riuscita a risalire la china trovando l'America musicale di cantanti come il Boss, della letteratura Beat (ma non solo), di certi film... Cose che mi avevano detto stare sulla west coast.
Probabilmente non ero stata capita, gli statunitensi sono troppo assuefatti al loro modus vivendi per rendersene conto. O forse devo lasciare decantare le immagini e poi cercare nel fondo di bottiglia. Vedremo, ciò che ho realizzato è che noi europei, noi italiani forse ancor di più, abbiamo un punto di vista che è semplicemente tuttaltro rispetto a quello statunitense perciò a volte la comprensione si fa veramente complicata e la malinconia avvolge facilmente la mente.


Triste e stanca (sarà per il taglio che mi è stato fatto ad agosto che ogni cosa qui mi sembra di così difficile realizzazione?) aspetto la partenza su un aereo diretto a Boston pregando che non tardi dato che ho poi la coincidenza con quello per Indianapolis dove alle cinque e mezza ho l'unico passaggio trovato dall'areoporto alla DePauw (se lo perdessi avrei una distanza di quaranta miglia da coprire a piedi o in autostop).


Ore 17.00

Il tempo di chiudere la parentesi e mi è stato detto che dovevo cambiare aereo. Il volo per Boston delle 13.00 era stato cancellato. Il prossimo sarebbe partito alle 14.00 facendomi quindi perdere la coincidenza.

Al special desk service mi hanno dato tuttavia un'ottima notizia: sarei partita un'ora e mezza dopo con un diretto che mi avrebbe fatto raggiungere l'Indiana persino in anticipo rispetto all'altro. Cioè alle 17.00, qui meglio dette 5 pm.
Sono ora le 17.00 o 5 pm come diamine si vuole chiamarle e sto per la terza volta tentando di lasciare La Guardia airport di New York (quasi quasi scendo e resto qui... non fosse che ho tutto a Greencastle e nessun posto dove andare a NYC).


Il secondo volo in realtà era partito puntuale, ma una volta addormentatami ero stata svegliata dal pilota che ci annunciava il rientro (dopo una buona mezz'ora di volo) a La Guardia airport per problemi meccanici del velivolo.
Ho sperato di aver frainteso, "mesi che piglio fischi per fiaschi, avrò capito male pure 'sta volta". Inoltre i passeggeri mi sembravano troppo tranquilli alla notizia.
Purtroppo la mia comprensione era stata corretta.

Tornati all'areoporto mi hanno assegnato un altro posto sul volo successivo (questo).
Ora sono in cielo e il mio laptop nella stiva: il trolley non ci stava sotto il sedile così l'assistente di volo me l'ha requisito ed io che nel mentre stavo cercando un nuovo passaggio per Greencastle, esausta, ho realizzato troppo tardi che avrei potuto toglierlo dalla borsa. Lei si è scusata per essersi dimenticata di avvertirmi, detto comunque di non preoccuparmi. Facile!

Se state leggendo queste righe probabilmente il mio portatile è salvo (come auspico) oppure sto battendo i tasti di un computer altrui. - Fortunatamente si è realizzata la prima ipotesi -

Anche questo aereo ha avuto qualche problema nel partire. Il capitano si è scusato. I passeggeri non hanno replicato. Al contrario prima di imbarcarmi ho incrociato due americane che sorridendo hanno affermato quanto fossimo state fortunate a trovare dei posti sul volo successivo "We're so lucky that the next flight isn't full!"
- ECCHE CULO! - avrei risposto se avessero capito italiano! - Ecche culo che l'aereo non è caduto dato che la compagnia è la medesima di quella dell'incidente a New York della scorsa settimana! - (U.S airlines: la sconsiglio per altri ritardi e noie sperimentate dalla sottoscritta).
Anyway, Americans (forse è questo il modello di ottimismo che suggerisce il cavaliere, impariamo!).
Ho risposto che quello era il mio terzo tentativo.
Sto volando, olGrassettotre le nubi con un nuovo passaggio trovato casualmente sull'aereo: un'altra studentessa torna al campus.
Seduta di sbieco con i piedi appuntati sul sedile davanti a me scrivo sul moleskine appoggiato sulla coscia destra, ho già riempito alcune pagine di febbraio e marzo 2008 e il titolo originale di questo post doveva essere "Resoconto emotivo", ma per ora ve lo risparmio. Ecche culo (veramente).

A breve flashback e souvenirs dal viaggio.


Sfiga in appendice
: atterrata all'aeroporto, non ho ricevuto il mio bagaglio, era stato mandato forse a Filadelfia. Ad ogni modo mi è stato consegnato quella stessa sera verso l'una. Again: Ecche culo!

22 gennaio 2009

Couchsurfing

"You know, people care about what they wear, show the brands: gucci, prada... but that counts nothing(...) and as for where we are from, it doesn't count either.
First of all... I am not American, you are not Italian... but HUMAN BEINGS and that's COUCHSURFING."
Da un discorso fatto in un cheap bar di Hell's kitchen a Madhattan, a parlare un colombiano che da anni vive a N.Y. ed è un couchsurfer.

Da ormai quattro giorni siamo a New York city e dopo averne sentito parlare in Italia e soprattutto qui (il mio coinquilino l'ha sperimentato e me l'ha vivamente suggerito) abbiamo anche noi di fare un'esperienza come couchsurfers.

Couch significa divano ed è quello che ti aspetta dalla persona che contatti e ti risponde tramite il sito creato ad hoc (clicca sul titolo del post per il link).
Si chiama couchsurfing ed il nuovo modo di Viaggiare (non a caso con la maiuscola) in modo economico. Permette non solo di evitare la "triste" visita turistica, ma dà la possibilità di conoscere gente e viverne i luoghi, respirandone l'atmosfera.
Dopo essersi iscritti al sito si è in contatto con persone da tutto il mondo che offrono e cercano un alloggio gratuito per qualche notte. In cambio un vero scambio culturale con tutto quello che questo può comportare.

Questa è la nostra quarta notte a Manhattan da Mike che ci ha offerto un divano letto (e pure le lenzuola che noi manco quelle!) nel suo appartamento a quindici minuti a piedi da Times square. Non paghiamo nulla, la sera compriamo del cibo e cuciniamo anche per lui. La casa è relativamente pulita (e comunque mille volte meglio dell'ostello) e lui è veramente gentile.
Stasera ci ha invitato a vedere la prima puntata della quarta serie di Lost in un bar in zona, poi birra e free hot dogs da Rudy, dove si è svolto il dialogo sopra citato.

Couchsurfing iperconsigliato a tutti.

13 gennaio 2009

Ostelli

Starsene in giro per oltre un mese comporta una spesa considerevole perciò onde evitare di trovarsi col conto prosciugato nel giro di una settimana abbiamo prevalentemente alloggiato negli ostelli, anche se talvolta un motel si sarebbe forse rivelato più pratico e altrettanto economico. Ma avendo lasciato l'onere della prenotazione ad altri non posso ora lamentarmi.

Come ogni biblioteca che si rispetti, anche ogni ostello ha i suoi matti. Se vi si passano più di tre giorni consecutivi li si distingue, dopo i cinque si rischia di farne la conoscenza.
















A San Diego, ad esempio, c'era un soggetto vestito Asempre con pantaloni e canotta nera, con unghie di mani e piedi laccate, che passava le sue giornate su una poltrona a leggere.

L'ostello di Venice Beach era talmente pietoso che ci trascorrevamo meno tempo possibile. La cucina era impraticabile e i bagni tutt'altro che comodi. Tuttavia penso passassimo noi per gli anomali dato che eravamo tra i pochi a calpestare la lisa moquette con le scarpe e un certo schifo mentre gli altri ospiti vi si aggiravano incuranti a piedi scalzi: ma che anticorpi hanno gli stranieri?!

Il covo di personaggi stravaganti (per usare un eufemismo) è stato però scoperto all'Adelaide hostel di San Francisco. Mio fratello ed io ci siamo fermati per ben otto giorni, tempo sufficiente a realizzare che alcune delle persone che vi lavoravano erano stranieri alcuni, si è dedotto, senza un visto valido, tra questi un'italiana, mentre altri dovevano provenire o da una comunità di recupero per tossicodipendenti o aderire ad un programma carcerario per il reintegro nella società dei detenuti.
A conferma di ciò, riporto qualche battuta ascoltata la penultima sera. Ero davanti al pc e al mio fianco stava un tizio sui quaranta che parlava al telefono cercando di convincere una ragazza a stare con lui. Io, disinteressata scrivevo sui facebook-walls altrui. Ad un certo punto la sua insistenza attira però la mia attenzione e lo sento dire : “Think with your mind! What you want... not what your parents do want for you! Do you want to stay with me?... I'm not sure... Yes I love you. So do you like me? Why aren't you sure? ...if you are ok with our age difference, my story, my way of living, the fact that I was in jail...”. Ho finto di non sentire e continuato a battere i tasti con un “epperò” tra i denti.
Tra gli altri soggetti curiosi un italo brasiliano che pur essendo un ingegnere, lavorando per l'interpol e avendo conoscenze importanti pressochè ovunque stava in ostello... L'amico C. ha finito per credere a tutte le sue panzane contribuendo a incrementare lo standard di furbizia. Ancora qualche giornata e avrebbe persino creduto alla trovata da lui stesso ideata: col mio reale brother ha infatti pensato di essere geniale spacciandomi per la sorella di entrambi così da non dare dubbi sul rapporto che ci legava di fronte al gentil sesso.
Qui a Miami sfruttiamo la gentilissima ospitalità della Dani, a New Orleans hotel per tre giorni poiché l'ostello è lontano dal centro, mentre a New York si vedrà. Portafogli semi vuoti chiedono una nuova strategia.

Oggi finalmente sono riuscita a stirare, così da evitare lo stato da punkabbestia per la prossima settimana. A San Francisco ero arrivata infatti al punto che i barboni non mi chiedevano nemmeno più i soldi, e se lo facevano ad un mio scuotere del capo sorridevano, vedendo forse una futura collega.
Ha ragione mamma che devo bere il caffè seduta, altrimenti divento povera.

10 gennaio 2009

Pershing square L.A.

Alla maggior parte degli amici con cui ho parlato Los Angeles non è molto piaciuta, troppo grande e soprattutto dispersiva, spread out come si suol dire. Io al contrario, se non fosse stato per l'ostello da cui volevo scappare, mi sarei fermata anche di più.
Una città immensa dove è difficile trovare punti di riferimento in stile europeo, ha dei mezzi pubblici inefficienti, un buon vagabondaggio e a poca distanza dal centro strade piene di negozietti poco piacevoli pure allo sguardo. Però alcune zone incantano.
La piazza centrale per esempio, attorniata da edifici altissimi: alcuni "antichi", altri nuovi e moderni.
Mi sono seduta a poca distanza da alcuni barboni e ho copiato queste righe.


[...]
In the center of the park, a little self conscious of my evening clothes, I stopped to watch a typical Pershing Square divertissement: an aged and frowsy blonde, skirts held above her knees, cheered by a crowd of grimacing and leering old goats, was singing a gospel hymn as she danced gaily around fountain. Then it suddenly occured to me that, in all the world, there neither was nor would ever be another place like this city of Angels. Here the American people were erupting, like lava from a volcano; here indeed, was the place for me - a ringside seat at the circus.

Carey McWilliams 1946
in Southern California country

4 gennaio 2009

The american way

Scrivere durante il viaggio è più complesso di quanto pensassi soprattutto se non si è soli. Siamo in cinque, dunque mi trovo tutt'altro che per i fatti miei come sono solita.

Viaggiare in più persone ha i suoi pro, soprattutto quando qualcuno si occupa degli itinerari, qualcun altro ti dice che bus prendere e quali vie percorrere. Ma divento pigra e seguo senza curarmi dei nomi delle vie e delle piazze, rischiando perciò di osservare meno la città.
Lo svantaggio maggiore è però dato dal gruppo in sé che limita per sua natura la possibilità di conoscere gente.
Stanotte ho dormito malissimo e mi sono alzata molto prima del solito, l'ostello era vuoto e silenzioso, ma ho incrociato un inglese simpatico, di Cambridge che mi ha fatto un po' rimpiangere i miei lonely on the road.

Tra l'altro giro con quattro ragazzi: due dei quali (mio fratello e il suo amico) ogni tanto vorrebbero vedermi scomparire temendo che qualche donzella vedendoci mi scambi per la loro fidanzata, mentre gli altri due mi eliminerebbero volentieri perché non mi tollerano. Pensano che parli troppo e gli danno noia le mie pretese di dividere le spese così come alcune mie idee o atteggiamenti. Sto cercando di limitare i miei eccessi per rendere l'atmosfera piacevole, ma non è facile. Il maltempo e il freddo pure ostacolano la mia rilassatezza.
Più i giorni passano più mi ripropone la sensazione che qualsiasi cosa organizzi o faccia qui diventi complicata e mi riduca ad essere altro da ciò che sono...

Il mio oroscopo di Brezsny sembra nuovamente essere adatto:
Pesci (19 febbraio - 20 marzo)
Cosa ti costerebbe collaborare con le forze del cambiamento? Ma non in modo rassegnato e risentito. Non con un senso di sconfitta, desiderando che tutto resti sempre uguale. E cosa dovresti fare, invece, per adattarti con entusiasmo ai cambiamenti in arrivo? Come potresti imparare a essere grato e felice per l’eterno fluire delle cose? Il tuo compito nel 2009, Pesci, sarà diventare un surfista esperto per cavalcare le magnifiche, allegre, gioiose onde della vita.
(Original version: What would it take for you to collaborate with the forces of change? Not in a resigned, resentful way. Not with a sense of defeat, wishing things could stay the same forever. Rather, what would you have to do in order to feel eager about adjusting to the ongoing shifts? Is there any way you might even learn to experience exhilaration and gratitude in the face of the eternal flux? Your assignment in 2009, Pisces, is to become an expert surfer of the beautiful, playful, blessed waves.)

Le visite sono interessanti, ma anche in California dove fin'ora siamo prevalentemente stati non riesco a trovare quell'America letta in certi libri e vista in certi film. Gli States che desidero visitare fanno dunque parte solo di quella subculture che come turista non riesco a scovare? Non sono l'unica a provare queste sensazioni, mio fratello ha confessato di essere deluso nonostante sia contento del viaggio.

Per ricapitolare le tante miglia percorse.
Dopo San Diego siamo andati a Las Vegas. Appena arrivata ne sono stata entusiasta provando le stesse sensazioni di quando da bambina entravo a Gardaland. Mi sembrava di essere in una mega opera pop, alcuni alberghi mi ricordavano quelle sorte di pseudo-palazzi gonfiabili dove i bimbi saltano divertendosi tantissimo. Però a Las Vegas non si salta, si sta seduti davanti a un tavolo o a una slot fumando, giocando, qualche volta vincendo più spesso perdendo mentre troppe luci illuminano l'inutile. Qualche ora è sufficiente non solo a visitarla, ma pure per sposarsi con uno dei tanti pacchetti proposti dagli alberghi che ospitano le wedding chapel.

I miei compagni di viaggio non hanno nemmeno acconsentito a farsi fotografare con me all'interno della cappella: "It's a joke guys!". Invano: mancano di spirito i giovani o...


Il giorno dopo Grand Canyon con la neve. Guidare nel deserto ha dato soddisfazione, limitarsi a vedere gli ammassi rocciosi coperti di neve, da un sentiero in mezzo ad altri turisti infreddoliti che come noi avevano pagato 25 $ per avere accesso al parco, meno.

Terza tappa Los Angeles dove abbiamo festeggiato Natale in un American bar a fish and chips. Il maltempo ci ha seguito e nello squallido ostello dove abbiamo alloggiato è mancata l'acqua calda per i primi tre giorni. Due docce in cinque giorni e dormito quasi vestita, ma L.A. m'è piaciuta. Le vie principali di downtown ospitano bei grattacieli da tipica città statunitense mentre altre aree fanno desiderare una vacanza estiva.

Il nostro alloggio era a Venice Beach, posto carino, ma particolare, forse quartiere alternative e non particolarmente ricco dato i personaggi che l'hanno affollato nel primo giorno di sole.

Col bel tempo l'indice di apprezzamento è sicuramente aumentato e finalmente c'era aria da "sognando California".



*Qui sono sulla spiaggia di Venice Beach nel giorno che ritengo il migliore sin'ora. Sole e mare hanno permesso una felice rilassatezza. Inizio a pensare che per la mia salute psicofisica mi dovrei trasferire al mare.

A qualche miglia di distanza Santa Monica e Beverly Hills, quest'ultimo è veramente bello. Sicuramente ricco, ma non kitsch come invece lo è Holliwood che mi ha lasciato quantomeno perplessa. Inoltre Beverly hills è stato l'unico posto dove ho sentito forte l'atmosfera natalizia, in tutte le altre città, infatti, gli addobbi erano minimi e miseri.

E se i pesanti lampadari sistemati sulla via principale di Beverly hills erano forse un po' eccessivi, li ho comunque preferiti al nulla di altre zone o all'atteggiamento "politically correct" della DePauw university che per non rischiare di offendere chi non è cristiano ha deciso di eliminare le decorazioni. Infatti prima di partire, nel midwest più conservatore quasi nessuno mi ha augurato Merry Christmas, ma Good holidays. E davanti al mio Why? mi è stato fatto notare che Christmas contiene il nome Christ. Le assurdità di questo paese vanno ingigantendosi ai miei occhi.

Il 30 siamo arrivati a San Francisco: an amazing city. Al contrario delle metropoli statunitensi e' compatta con un sali-scendi di strade e mezzi di trasporto che sembrano efficienti. L'architettura vittoriana a pochi blocchi dagli alti grattacieli colpisce piacevolmente il visitatore che resta affascinato anche dai bei quartieri lungo la baia.
San Francisco e' proprio bella, forse ci vivrei se non fosse per le solite caratteristiche che la omologano al resto degli States, tra le quali vi e' un altissimo numero di mendicanti (qui soprattutto black people).
Mi sembrano molti di piu' rispetto a quelli che ci sono nelle citta' italiane, ho chiesto ad altri conferma e l'ho avuta. Ho persino incontrato il mio coinquilino V., anche lui qui di passaggio, e suo fratello ha spiegato che nemmeno a Vienna ce ne sono cosi' tanti.
Inoltre la maggior parte di questi personaggi senzatetto sono pure weird and maybe scary, devo ammettere che mi fanno un certo effetto.
L'ho detto a G., lui mi ha risposto che molti di loro sono ex soldati "This is the way our state treats the soldiers after using them...". Triste.
Nonostante cio' ci stiamo godendo la citta' e qui abbiamo stappato lo spumante il 31 trasgredendo la legge che vieta di bere per strada.
Abbiamo fatto la spesa, cenato in albergo (stupendo gli altri ospiti per la mole di cibo acquistato!), andati in un bar e poi in piazza dove abbiamo stappato un martini da ben 12 dollari ("perche' compriamo un vino decente!") che dopo un primo sorso si e' andato prosciugando nelle gole di americani sconosciuti. Nessuno di loro aveva del vino: nemmeno a capodanno fanno uno strappo alle regole (tra l'altro assurde!). Nessun botto, nessun fuoco d'artificio. Union Square, la piazza centrale era chiusa: ci siamo tenuti sui margini e non si capiva quando sarebbe arrivata la mezzanotte. Sembrava incredibile fosse la notte dell'ultimo.
V. era a Las Vegas dove si aspettava l'eccesso, mentre ha confessanto una certa delusione.
Certo per le strade di San Francisco la gente era tanta ed incrociandosi si faceva gli auguri. Questa e' una cosa che mi piace degli americani: parlare agli sconosciuti, fare amicizia in un attimo anche se solo per quell'attimo. Adoro il loro saper essere easygoing, molto piu' comune che non da noi.


Le prossime tappe sono Miami, New Orleans e New York, ma potrei scrivere ancora a lungo sulle citta' visitate e insieme potrei unirci tanto altro come ho appena fatto in questo post che perde il capo e la coda, ma pazienza: this is the American way guys!