30 settembre 2008

Bigiata proficua

Lunedì mattina (cioè ieri per onor di cronaca) arrivo alla lezione con i miei frequenti dieci minuti di ritardo. Mi siedo, apro con fatica la borsa e simulo attenzione. Si sta discutendo dell'argomento trattato nel capitolo assegnato: Marijuna (da The Botany of Desire di M.Pollan). Pur essendomi limitata alle prime pagine cerco di dare prova del contrario: rispondo mea sponte a banali domande di cui già conosco le risposte, a prescindere dal testo. Ho un attimo di titubanza quando con forse eccessiva sfacciataggine chiedo la definizione di un termine che non so ritrovare tra le righe. L'insegnante tenta comunque di darmi una risposta e non si capisce se sia riuscita a "ingannarla" o semplimente avalli il tranello.

Terminata la noiosa ora di farsa, decido che ho troppo sonno per un'ora di letteratura sulle balene (n.d.r. American Writers, nello specifico Melville). Il caso vuole però che quel corso si tenga nel medesimo edificio, dunque, devo evitare il professore. Mi spiacerebbe bigiargliela in faccia dato che è gentile e simpatico.

Colgo l'occasione per andare in bagno, esco, aspetto altri cinque minuti circa. Sono le 10.33, ormai do per scontato che stia appoggiando i libri sulla cattedra. Così mi dirigo all'uscita. Dalla porta di vetro, della quale mi rallegro, lo scorgo avvicinarsi, capo chino. Non sto nemmeno a pensarci: giro i tacchi e fuggo (letteralmente) dal lato posteriore.

Finalmente libera mi avvio verso casa, ma arrivata al viale noto il docente del corso di migrazioni, abbandonato sin dall'inizio. E' un anarchico filozapatista a cui ho recentemente scritto scusandomi per la scomparsa, in fondo le sue idee mi piacevano.
Tuttavia una mail non è ancora sufficiente: se si decide di non seguire più una classe (come dicono qui) si è costretti a una noiosa trafila burocratica che ancora non ho portato a compimento per nessuna lezione.
Meglio evitare anche lui dunque. Penso "mi... che sfiga... - e poi - un classico per me".

Dunque invece di svoltare a destra prendo la strada di sinistra e mi trovo davanti al cinema. Stasera danno la "Lolita" di S. Kubrick del 1962. Spettacolo gratuito. Mi rallegro. Tra l'altro dovrei uscire con un amico e almeno ho qualcosa da proporre.

LOLITA

Paese: Gran Bretagna
Anno: 1962
Durata: 153'
Colore: B/N
Genere: drammatico
Regia:
Stanley Kubrick
Soggetto: Vladimir Nabokov (romanzo)
Sceneggiatura: Vladimir Nabokov

Ho già visto la versione di Adrian Lyne del 1997, appena uscita in Italia. Non mi era dispiaciuta allora, ma ricordo di aver provato un grande senso di smarrimento. Dunque decido seduta stante di godermi la versione di Kubrick. Alle 7.30 (qui è tutto anticipato) sono seduta in una vecchia sala cinematografica e, mentre un forte odore di melassa mischiata a popcorn pervade le mie narici, scopro di essere finita al primo appuntamento (perlomeno dell'anno) di un cineforum che promette altre interessanti opere.

Il film è abbastanza lungo, ma nonostante manchino le scene di sesso, il modo di presentare la vicenda è sufficientemente ammiccante e forse anche più coinvolgente e ironico insieme.

Insomma mi compiaccio della bigiata che ho aspettato ventisett'anni a fare (ok all'università, ma da noi è un'altra cosa).

29 settembre 2008

Ulteriore dimostrazione

A ulteriore dimostrazione di quanto scritto ieri sulla nostra attitudine a riflettere sul passato e guardare il cammino percorso.



*Era tantissimo che non ascoltavo più il Davide (Bernasconi). Ammetto che mi fa piacere poterlo fare.

28 settembre 2008

Questione non solo di Forma

ROMANZO CRIMINALE

Paese: Italia/Francia/Gran Bretagna
Anno: 2005
Durata: 152'
Genere: noir, poliziesco, drammatico
Regia: Michele Placido
Soggetto: Giancarlo De Cataldo (romanzo)
Sceneggiatura: Giancarlo De Cataldo, Sandro Petraglia, Stefano Rulli


Siccome sabato sera volevo rilassarmi, ho deciso di cercare fra i film (che qui devo definire movies altrimenti non mi capiscono) un lavoro italiano. Ne hanno pochi e per la maggior parte visti, tuttavia "Romanzo criminale" mi mancava e devo dire che mi è piaciuto. Se all'inizio si rifa a un genere gangster di stile americano (di quello alla Scorsese però) e verso la metà scivola un po' troppo in sentalismi, forse poco credibili, descrivendo l'attrazione che lega il commissario a Patrizia (prostituta e fidanzata con uno dei protagonisti malavitosi) nel complesso è un bel film che non manca di mostrare la sua anima italiana.

Mentre me ne tornavo a casa dopo la visione, infatti, pensavo all'attitudine che contraddistingue l'atteggiamento nostrano da quello che sto osservando qui. Un modo di porsi che credo si possa riscontrare su molteplici livelli e che si ripercuote anche nelle attività professionali, nell'insegnamento, come pure nell'arte deduco: nel cinema in questo caso.
Gli americani, già lo si sapeva sono maledettamente informali e uso l'avverbio non a caso perché, dopo un mese e mezzo, l'eccesso inizia a storpiare, soprattutto quando, a questa semplicità, non segue il tanto decantato "take it easy" (ma questo meriterebbe una riflessione a parte che non mancherò di rendere nota) ed è totalmente sconosciuta la flessibilità (come già accennato).
Al contrario la nostra cultura ci porta a prestare grande attenzione anche alla forma. Pratica difficile da tollerare quando diventa mero formalismo (espediente che consente agli scaltri di far risaltare contenuti minori), ma a mio parere di vitale importanza per dare compiutezza all'impegno messo nel lavoro svolto, nel perseguire uno scopo, nel mostrare l'importanza di un avvenimento o un concetto. C
redo quindi che questa attenzione serva a sottolineare ciò che facciamo o diciamo.
Insomma, per parlare come si mangia: noi ci prendiamo sul serio, può darsi anche troppo talvolta. Gli americani, invece fanno l'esatto opposto: sembra stiano sempre a cercar battute: magari perché devono rallegrarsi le giornate (è un'ipotesi come un'altra).

Noi, più o meno consapevolmente, utilizziamo tutta la nostra storia per arrivare a definire ciò che siamo, quello che facciamo. "Siamo nani sulle spalle di giganti" e mai ci permetteremmo di prendere alla leggera le fondamenta e gli appigli grazie ai quali siamo saliti così in alto. Perciò "Romanzo criminale" è italianissimo: non è un semplice film di gangster, ma ripercorre venticinque anni di storia italiana con immagini d'archivio del rapimento di Moro, della strage alla stazione di Bologna, del tentato omicidio a Giovanni Paolo II e altro ancora. E a chi dopo aver letto il Morandini mi facesse notare che Placido si è ampiamente ispirato alle opere di Scorsese, giro la domanda: che origini ha Scorsese? Su quali film si è formato? Ce lo dice lui stesso col documentario Il mio viaggio in Italia (2000).

La prima volta che la sensazione descritta, che fino ad allora era stata catalogata tra le impressioni, ha preso corpo (forma non a caso) è stato in occasione di un incontro all'università con Madeleine Albright, primo segretario di Stato donna durante il secondo mandato del presidente Bill Clinton. Un personaggio con un curriculum vitae da far strabuzzare gli occhi che, dopo essere stata brevemente introdotta, ha raccontato la sua vita, dalla nascita ad ora. Pur essendo cresciuta in una famiglia benestante ha dovuto superare i disagi della guerra e la provenienza ebraica e chissà quante altre difficoltà, tuttavia il racconto della sua biografia è stato costellato di aneddoti più o meno divertenti (e non particolarmente difficili da cogliere se anch'io col mio inglese li ho capiti) che non hanno mancato di suscitare risate. In uno splendido auditorium dai colori caldi del legno, mentre sorridevo pure io, stretta nella poltroncina rossa per il freddo del solito impianto d'ibernamento, mi chiedevo se una tal presentazione non sminuisse l'evento, ma soprattutto lei stessa. Perché è vero, e noi italiani lo dovremmo imparare, che in fondo siamo tutti uomini e donne con le medesime esigenze primarie, ma davanti a certi personaggi bisogna rendere merito, di fronte a certe carriere rimanere attoniti, ascoltare.

Mi domandavo pure quale fosse il fine. L'intrattenimento? Si considerano un'orda che deve essere intrattenuta? Panem et circenses in ogni occasione? A giudicare da alcune lezioni a cui ho dovuto assistere la testa annuisce senza che riesca a fermarla. Al corso sul governo americano mi sono dovuta sorbire una sorta di cartone animato che spiegava i diritti fondamentali acquisiti con la rivoluzione americana ('na roba agghiacciante). Ma la chicca è giunta venerdì scorso, il professore di letteratura americana entra in classe con dei libri sopra i quali ha impignato diverse balene di plastica, riproduzioni relativamente precise appartenenti al figlio, come mi ha poi spiegato. Non vorrei sembrare presuntuosa, soprattutto date le difficoltà che sto riscontrando nello studio (qui non ci riesco proprio), ma devo ammettere che certi episodi sono lungi dal coinvolgermi... Anzi, se penso alle noie che mi danno relativamente a: obbligo di frequenza, acquisto libri e svolgimento dei compiti assegnati, non fanno che accrescere la mia vis polemica...

Fortunatamente il professore di letteratura è un tipo simpatico e flessibile che pare sappia il fatto suo, altrimenti quella balena bianca gliela spaccavo in testa.

*la balena bianca, nella foto sopra il mio libro preso in prestito in biblioteca, non è Moby dick. Il tipo di balena a cui Moby Dick appartiene è solitamente grigio, ci ha mostrato anche quello.

26 settembre 2008

beCOME AS YOU ARE (me, as I am)



Tra le più ascoltate negli ultimi giorni: potrei dire la colonna sonora. Notevole, lo so.

25 settembre 2008

Tra gli incontri interessanti

Da quando sono qui ho conosciuto tante persone diverse per provenienza, razza, religione e altro, altro ancora. Alcune volte (soprattutto dopo alcune cene o incontri) mi sveglio la mattina, accendo il computer e fra la posta in arrivo trovo richieste di amicizia da gente che non ricordo nemmeno di aver mai visto: un inconveniente di facebook e il bello e il brutto di essere italiana, un aggancio nel bel paese fa sempre comodo.

Cerco comunque quei visi tra gli studenti che incrocio. Alcuni li ho trovati, quello di G. ad esempio, il ragazzo che ho poi invitato a cena. E' di New York, ma ha trascorso l'infanzia Alaska. Mi ha detto che la sua famiglia era homeless, ma poi si è riscattata grazie a quello che si suol definire il "sogno americano". Da piccolo ha perso la madre e qualche anno fa il padre. Ha quattro sorelle molto più grandi e frequenta l'università grazie ad una borsa di studio (come molti qui). Ascoltando storie come questa si prova una fitta d'imbarazzo e non serve spiegarne il motivo. Frequenta l'ultimo anno con major (cioè con specializzazione) in black studies perché è di colore (o meglio mulatto), ma non sa quali siano le sue origini. Mi ha detto di aver scelto quell'indirizzo anche per tentare di trovare le sue radici. E' un ragazzo dai modi gentili, molto maturo e attento, nonostante la giovane età. Ha uno sguardo critico nei confronti del suo paese: ridendo ha detto che qualcuno lo accusava di essere un comunista, in realtà è solo informato (non scelgo mai le mie amicizie a caso :-).

A lui devo innanzitutto però l'avermi mostrato quanto la discussione sulla razza sia tuttora un problema aperto in America. Ogni tanto parlando ne fa riferimento e a me sembra una cosa strana.

Gli ho detto che in Italia non c'è un altrettanto importante dibattito. Le preoccupazioni sono legate all'immigrazione, alla clandestinità. Non al colore della pelle. Ho pensato ai miei amici italiani di colore o agli studenti che avevo in classe l'anno scorso: nemmeno per un momento mi è sorto il dubbio che potessero sentirsi discriminati. Forse solo in un caso, in passato, ma era una storia particolare: un piccolo paese di provincia, una ragazza brasiliana di undici anni che sembrava averne almeno sedici...

In generale però non ho mai posto domande a loro. Non percepivo alcuna differenza perciò non ne sentivo l'urgenza.

Ho affermato dunque che il colore della pelle da noi non è un problema. Poi ho letto la notizia di Abdul, il ragazzo originario del burkina faso ucciso a sprangate a Milano e delle manifestazioni di solidarietà. Ho capito che l'Italia di cui gli ho detto è solo una parte, quella cioè lontana dai pregiudizi e, mi permetto, dalla cieca ignoranza. Ma probabilmente la mia visione è limitata a un cono di luce e le zone in ombra che non conosco sono tante, temo ampie. Il forte dibattito qui presente non c'è, ma semplicemente poiché sta iniziando ora.

Nel campus le organizzazioni che si occupano di queste tematiche sono parecchie, accanto all'edificio nel quale lavoro c'è la Afro American students association.

Al Women Center, invece, insieme ad altro, si parla di femminismo (grazie al quale è nato credo questo posto) e omosessualità.

Ieri sera ha cenato qui Alison Bechdel, una famosa fumettista americana, autrice di "Dykes To Watch Out For" (Lesbiche a cui fare attenzione) e vincitrice, nel 2007, con il libro "Fun Home" dell' Eisner Award for Best Reality-Based Work.
Fun Home è stato inoltre nomintato for the Best Graphic Album award, and Bechdel for Best Writer/Artist...
Penso che alla tavola sedessero molte lesbiche dato il tema trattato nei suoi libri e, pur appartenendo all'universo etero, l'offerta di condividere la cena con un tal personaggio era allettante e avrei volentieri accettato se le mie colleghe (l'insegnante d'italiano americana stavolta) non avessero pensato di mandarmi tre studentesse per interrogarle. Così mentre il salotto si riempiva di interessanti dialoghi io stavo sul portico con uno scambio di battute simile al seguente - Descrivimi la tua università -. - La mia università bella, ha tanti edifici vecci... antico? - Sigh sigh sob sob.

* Al centro, con gli occhiali tondi neri, la Bechdel, alla sua destra Jeannette la direttrice del Women Center, una persona gentilissima e impegnata, ma che sembra incarnare un sanissimo "take it easy", splendida.

Nota a margine dell'ultima riga. A rallegrare la serata è passato J. per portarmi le "fettuccini all'Alfredo" (pronunciato con American accent), da lui tanto decantate e a me sconosciute, che tuttavia non erano riuscite come avrebbe voluto... Ma perchè 'sti americani si ostinano a volermi cucinare roba italiana? Anche le mie vicine di casa lunedì sera: una pasta al forno che a detta delle mie coinquiline "non aveva nessun sapore se non per il formaggio... e beate loro che gli è rimasta la tua torta". Sigh sigh sob sob.

Epilogo. E anche stasera non ho letto c'ho che avrei dovuto, casso...

I have to do my homework

L'estate sta finendo e dicono che presto arriverà il freddo. In realtà negli ultimi giorni mi sto godendo un sole eccezionale: se potessi stendermi sull'erba a prenderlo mi abbronzerei ancora, mentre la mia faccia sta tornando ad essere bianchiccia... mi rifarò ad ottobre!
Per intanto il professore più figo che ho conosciuto qui (quello di letteratura americana) qualche giorno fa ci ha portato a fare lezione all'aperto per tentare di farci percepire una sorta di panteismo... Avrebbe voluto andare al Nature park (di cui già scrissi), ma la classe non sembrava entusiasta.

Le lezioni sono veramente una grande fatica per me, e non solo perché sono in inglese. Il mio problema è che sembra di stare alla scuola superiore tant'è che i ragazzi non dicono "vado a studiare", ma "I have to do my homework". Fanno i compiti, vocabolo quest'ultimo che penso di aver smesso in terza media... E infatti non li ho ancora fatti io, gli homework e sono indietrissimo nonostante il prof. (nella foto) mi abbia recentemente aiutato togliendomi delle letture. He's awasome and I have to do my homework.

24 settembre 2008

Ultimo assestamento

In seguito agli ultimi post e alle riflessioni fatte, considero terminato l'assestamento.
Certo ci sarà qualche inevitabile strascico nelle prossime settimane, ma ho deciso che con oggi, a un mese e otto giorni dal decollo, la prima fase deve dirsi conclusa. Non posso aspettare che venga da sè: è un po' come smettere di fumare o mettersi a dieta: bisogna affrontare la svolta con decisione. Sperando di non assumere l'atteggiamento del famoso personaggio Sveviano o il mio per le diete! In questa circostanza sarò più furba e mi lascerò dei sani margini di sbandamento.

A riprova della decisione sono andata in biblioteca a fotocopiare del materiale da studiare. Lì ho incontrato V., il German Teaching Assistant, che si stava leggendo i dialoghi di Platone (chapeau!) e mi ha fatto sentire ancora di più l'urgenza d'iniziare a studiare... Gli ho detto che avevo cambiato un corso con quello di "College Writing for Non native speakers". Ha scosso la testa affermando che non ne avevo bisogno: troppo facile. Ho spiegato che ho bisogno di qualcosa che mi permetta di evitare lo studio, c'è la letteratura americana tra le priorità su cui concentrarsi e il lavoro.

- Perché io lavoro veramente come Teaching Assistant! - gli ho ricordato. L'ambiente alemanno del dipartimento di lingue moderne è infatti molto rilassato. Ridendo mi ha detto che in giornata una ragazza si era presentata in ufficio per fare un po' di conversazione.
- Una sola persona! Io ne ho quaranta a settimana... -
Siccome era tardi hanno cenato insieme.
- Sei proprio un galantuomo! Immagino fosse pure carina! -. Ha negato, ma non ci ho creduto.
- Se non fosse stata carina non l'avresti invitata a cena -. Ha ripetuto che non era vero e nuovamente non gli ho dato fede... - E sì, sì, vorrei vederla - l'ho preso un po' in giro.
(*il dialogo ovviamente si è svolto in tedesco con inciampi in inglese: ve lo risparmio che non saprei)

Abbiamo riso come ogni volta che lo vedo attorniato da donzelle a cui sorride gentile, ma delle quali mi fa notare l'artificiosità (capello biondo ossigenato, unghia lunga e perfetta...).
Il tedesco, con leggera invidia, dice che la sua popolarità è data dalla provenienza viennese: fascino tedesco e italiano concentrato in uno. Discorsi senza fondamento, ma divertenti. Lui stesso fa dell'autoironia dicendo di riferirsi, ad esempio, alla cultura italiana quando si parla di cibo. Dopo averlo visto cucinare gli spaghetti, impietosita, gli ho promesso un invito a cena con preparazione! Ha annuito volentieri, è un tipo simpatico e alla mano. Austriaco, ma studente a Berlino, ha come me un debole per la Germania dell'est e una visione dell'università americana assai affine alla mia: "Das ist Schule...(keine Uni)". Battute a parte sembra una persona attenta e parecchio intelligente.

Dal canto mio ho iniziato a valutare gli aspetti positivi di questo tipo di sistema 'cause I need to change my attitude towards this place to feel good!

Per esternare il tentativo ho acquistato la felpa dell'università (al bookstore) e non sarà l'ultima: stracomoda!

*la foto è rimasta buia e scomoda per via dell'autoscatto:non siamo intimi come qualcuno ha pensato scrivendomi!

22 settembre 2008

Pronti... VIA

Resto ogni volta stupita pensando a quello che posso fare grazie alla rete e a ciò che potrei ancora creare se la sapessi sfruttare meglio.
Adesso mi basta, tuttavia, vedere le parole amiche: arrivate in modo discreto e silenzioso ora ballano tarantolate la felice pizzica dell'incoraggiamento.
Vorrei scrivere e postare qualche foto, ma sono quasi le undici e la necessità primaria è recuperare il tanto sonno perso nella tristezza.
Stasera, quindi, buona notte a me. Da domani pronta...VIA (giuro, la smetto con 'ste lagne... ogni tanto non potrò comunque evitare la vis polemica: mi istigano! Pure oggi la collega ha dato noie via mail...pazzesco anche se non la incrocio riesce ad irritarmi...).

21 settembre 2008

Stasera la mia compagna di stanza che viene da Seul mi ha confidato di aver pianto diverse volte mentre parlava al telefono con le amiche durante il primo periodo. Questo posto non le piaceva. Ora però si è fatta degli amici, è contenta delle lezioni che segue e sta bene.
Mi ha consigliato di cercare di conoscere persone che abbiano un'auto a cui poter chiedere dei passaggi e che quindi mi facilitino la vita qui.
Siccome non stringo amicizie per convenienza, stasera ho invitato a cena un ragazzo americano che non solo è uno dei pochi sprovvisto di un mezzo di locomozione a motore (ha una bici), ma che ho scoperto non avere manco la patente dato che viene da New York e là non gli è mai servita. Cose che capitano... a me.
Comunque tranquilli: non ho ancora pianto. Mi sono incazzata come un pitone sin troppe volte, ma pianto mai.
Giunta a questo punto tuttavia s'impone una drastica decisione: sto o torno.
Sinceramente vorrei rimanere, ma per farlo devo assolutamente cambiare il modo di vivere la realtà che mi circonda.
Da fare: cercare d'imparare un buon inglese, insegnare fregandomene delle colleghe (o alla peggio insultandole), sfruttare le opportunità che il campus offre in termini di crescita e attività ricreative, conoscere gente, viaggiare (domani m'informo per l'eventuale noleggio di un'automobile).
Ho un biglietto in tasca per Miami che data 18 ottobre. Mi do tempo sino a quella data per i tentativi sopraelencati. Al massimo cerco un'occupazione in Florida ;-)

20 settembre 2008

Hot dog n bonfire

Già sapevo che il mio fegato si sarebbe lamentato, ma l'avevo convinto che per una volta ne sarebbe valsa la pena. Mi avevano promesso una serata di original american hot dog da prepararsi al momento cuocendoli direttamente sul fuoco.

Così mentre sistemavo confezioni di cibo più o meno commestibile sul tavolo tentavo di capire dove avessero nascosto le fatidiche salsicce che avevano richiesto la dura preparazione psicologica. Potete facilmente immaginare la mia delusione nel momento in cui, da una borsa termica, sono spuntati dei banalissimi wurstel di dimensioni piuttosto piccole. Avevo dunque attraversato un oceano per ingurgitare quello che da bimba consideravo parte del mio piatto preferito cioè wurstel e patatine magistralmente cucinato dalla nonna?

La novità stava nella cottura sulle fiamme (e stasera pure sotto la pioggia) e nell'aggiunta del pane, o meglio di quella sottospecie di mollica da cui mi tenevo lontana da anni. Quattordici per l'esattezza, da quando, dopo essere tornata dall'Irlanda con cinque chili in più e una faccia maculata, decisi che quell'esperienza avrebbe decretato la fine della mia junkfood experience, forever.

Comunque l'ho mangiato perché questo era il patto e, inoltre, l'atmosfera amichevole di questi americani over sixties entusiasti di darmi prova della loro cultura culinaria me l'ha fatto pure apprezzare. Avendo seguito la preparazione del fuoco, dei bastoni su cui inserire le salsicce e visto gli altri rigirarle compiaciuti mi è sembrato giusto imitarli. Sono riuscita a bruciacchiarne due su due, ma hanno assicurato che sarebbero state anche più gustose. Convinta di tutt'altro, tentavo di ridurne la parte cancerogena con pieno rispetto del fingerfood style.




Tuttavia il motivo per cui ora il fegato domanda "why?" e le coscie già accusano un aggravamento della condizione cellulite, sta nel dessert. Erano due, ma il primo, un pudding molliccio e dolcissimo al cioccolato, coronato da una crema che sapeva solo di essere grassissima, sono riuscita ad evitarlo.

Il secondo andava preparato: si tratta di un sandwich composto da due biscotti al miele simil-integrali (da loro chiamati crackers) al cui interno si pongono dei sottili quadretti di cioccolato al latte e delle specie di caramelle gommose bianche (i marshmallow arrostiti) che vanno fatte scaldare sul fuoco (lo stesso usato per gli hot dog). Non è una malsana idea di qualche partecipante all'evento, bensì un dolce molto popolare negli States e in Canada chiamato S'more, perché una volta che ne mangi uno ne vuoi subito un altro (noi salutisti penseremmo alle ciliegie...). Grazie a questa specialità, ho finalmente capito cosa scaldava sul fuoco l'orso Yoghi o qualche suo connazionale dei cartoons. Altro che carne, si trattava di sostanza altamente chimica e dolciastra proibitami sin dalla primissima infanzia (grazie mamma e papà) di cui vanno visibilmente ghiotti anziani signori e signore che combattono contro colesterolo e pressione alta a sorsi di diet coke.

Lo ammetto: non mi è dispiaciuto, l'ho apprezzato e ne sono preoccupata, ma magari era la fame dato che avevo quasi saltato il pranzo e l'hot dog non mi aveva saziata per nulla. La fregatura di questi veleni è che oltre a danneggiarti non ti saziano nemmeno, anzi stimolano la fame come ben spiega il protagonista di Super Size Me (2004, film documentario diretto ed interpretato da Morgan Spurlock).

Da bere, come accennato solo coke, sprite e, Deo gratia, acqua. Siccome anche le bibite devono stare al fresco la gente al supermercato acquista sacchi pieni di ghiaccio per queste occasioni. Tanto non si cammina: le auto restano parcheggiate a qualche metro dal luogo del picnic (si potrebbe approfondire l'interessante analogia antropologica con il ferragosto calabrese in Sila).



Dopo essersi rifocillati la maggior parte dei partecipanti se ne sono andati subito. La coppia che mi aveva invitato (promotrice della serata organizzata dalla chiesa metodista di Greencastle) invece, si è fermata sino alla fine ed io con loro. Ci siamo seduti intorno al fuoco a fare due chiacchiere. Questa volta credo proprio di essermi trovata tra conservatori, ma i recenti trascorsi insegnano a non sbilanciarsi. Il mio ospite ha affermato che non gli piace nessuno dei due candidati alla presidenza. Gli ho chiesto di Obama, ritiene che non sia molto attaccato all'America, al contrario troppo ai movimenti musulmani. Mi sono limitata ad ascoltare, ma il dialogo non è durato a lungo, alle nove ero già a casa.


Anyway, I enjoyed the fire.

18 settembre 2008

Pensieri

L'ora riportata nell'ultimo post è all'incirca quella in cui ho pensato al video che avevo scoperto nel pomeriggio: quella musica, il nonsenso di certe azioni riprese, così come la lista di cose da fare e l'insoddisfazione latente ben si confacevano al mio sentire. Solo che io ero pure molto triste e stanca.

Dopo il lavoro, con il peso del portatile sulla spalla destra, la borsa sulla sinistra, freddo nelle ossa e sonno già accumulato in abbondanza mi sono diretta al Bluedoor, chiude alle dieci il mercoledì sera, ma, le volte che ci sono stata, i ragazzi si sono sempre fermati più a lungo. Spero d'incontrare l'ormai soprannominato (solo qui ovviamente) "quasi pastore". Invano. Davanti alla vetrina uomini sulla cinquantina stanno caricando le chitarre sui pick up.
Mi volto, percorro la strada a ritroso.
Il cappuccio calato sulla testa per il freddo non basta a scaldarmi, gli auricolari nelle orecchie nemmeno a farmi sorridere. Bel posto di merda quello in cui mi trovo e chi me l'ha fatto fare e nessuna voglia di andarmene a casa così, che palle domani giovedì... Queste le frasi che mi rotolano addosso trascinandomi per le strade di un paese vuoto. Quel minimo di lucidità rimasta mi porta, tuttavia, sulla via dell'amico americano. Così mentre raggiungo l'altezza della sua casa, vedo spuntare da un lato un'ombra con la chitarra sulle spalle. Pochi passi e scopro J. che mi saluta "Hey my friend, how are you doing?" "Bad" rispondo con il pollice verso per enfatizzare, ma già sorrido per il viso solare.

Mi spiega che si stava recando al Bluedoor per vedere se fossi lì: non aveva avuto la connessione internet in quegli ultimi giorni, ed io sono ancora senza cellulare, così sperava d'incrociarmi per dirmi che avrebbe suonato al Duck.

Dico che lo seguo, ma prima gli chiedo una coperta.
Entriamo in casa e lui arrotola ciò che inizialmente mi sembra un asciugamano. Anticipa ogni commento affermando che c'è disegnata sopra una bandiera (l'americana). Persino sulla coperta e proprio su quella di chi vuole tornare in Europa e ai piedi indossa, con orgoglio, mocassini che afferma siano italiani.

Provo una bella senzazione, quella di J. che mi raccoglie nella malinconia e mi offre del caldo da tenere fino a quando ne ho bisogno. Penso che è importante trovarsi degli amici come li vorresti. Lo seguo nelle mie sneakers made in China che hanno smesso di strisciare.
Arrivati al Duck appoggio tutta la mia mercanzia ad un tavolino e tiro oltre l'una.



17 settembre 2008

Esemplificativo


Se pur in modo criptico dà voce e immagini a parte del mio attuale stato d'animo.

16 settembre 2008

Let's pay attention!

Ormai da qualche settimana nei giardini delle case sono iniziati ad apparire cartelli con il nome del candidato che i proprietari appoggiano.

La maggior parte sono per Barack Obama (v. post precedente), ma mi è stato spiegato che questo è dovuto all'influenza che l'università ha sul paese. In realtà lo stato dell'Indiana è, come in generale tutto il Mid-west, piuttosto conservatore.
Perciò ai lati del marciapiede, sulla riva erbosa di qualche villetta prefabbricata ci si può imbattere anche nel nome del rivale.Per quel che riguarda McCain, tuttavia, non ho ancora visto il suo adesivo su alcuna auto, mentre diverse persone hanno appiccicato questo:

Altri stickers ricordano pure il forte nazionalismo che non teme a essere esibito.
Quello che il nostro passato ci impedisce, è al contrario qui motivo di attaccamento alla US Army e diverse sono le forme per mostrarlo. C'è chi ne è orgoglioso:
E chi raccoglie un termine per dirsi pacifista.

Dunque una bufala quella dell' "attenta a ciò che dici!". Al contrario, moltissime delle persone incontrate mi hanno esplicitamente domandato cosa pensassi degli americani e degli USA. Sanno, loro testuali parole, di non piacere. Il paradosso è che mentri ascolti la loro consapevolezza, a tratti forse esasperata, ti sorprendi a volerli consolare. E questo avviene anche se, chi sta parlando, è un giovincello megaspallato che gioca a football e mi siede di fronte in biblioteca con gli occhi luccicanti mentre chiede della beautiful Italy.

Per l'ennesima volta, come italiana, ringrazio gli avi e madre natura che ci hanno fatto dono di tante meraviglie, ma non tutto è per sempre "Pay attention guys!"

15 settembre 2008

NO, I CAN'T

Oggi, 15 settembre 2008, è esattamente un mese che sono atterrata sul suolo yankee e mi chiedo se sia possibile considerare il periodo assestamento terminato. Direi di no: sto ancora valutando alcuni corsi (anche se quella fase dovrebbe essersi conclusa un paio di settimane fa), l'appartamento persiste nel darci noie (sto scrivendo dalla mensa) e, soprattutto, non riesco ad accettare alcuni costumi degli indigeni (o vale ancora il termine colonizzatori? ;-). Ma forse a quelli non mi adetterei nemmeno fermandomi qui anni. Semplicemente I CAN'T.

Sarò sicuramente meno ottimista di Veltroni, ma di certo pure più realista affermando che NO, NON POSSO farcela a tollerare:
- "l'incubo ad aria condizionata" in cui si viene catapultati ogni qualvolta si varca la soglia di un edificio.
- la flessibilità locale la cui immagine può essere associata a quella di una lastra di ghiaccio (sempre per rimanere legati al tema dell'inutile freddo patito) e l'eccessiva richiesta di puntualità ad essa legata (altro che tedeschi...)
- la troppo frequente domanda "how are you doing?". Se pensate che te lo chiedono pure le cassiere del supermercato capirete quanto possa essere reale l'interessamento.
- Il termine "cool" la cui banale traduzione con il nostro "figo" non mi sembra soddisfacente. L'essere "cool" indica, infatti, uno stato da raggiungere per essere ok nella società, apparire ok davanti agli altri e, dunque, sentirsi ok con se stessi.

Il vocabolo potrebbe perciò adattarsi alla scena dell'Italia che insegue lo stile americano: quello di una certa parte politica, di determinati programmi televisivi, di stili di vita legati all'esigenza di apparire oltre le proprie possibilità (n.d.r. economiche soprattutto).

Non a me... Il prossimo che con finto entusiasmo mi dice: "You're cool" rischia di sentirsi indirizzare un "Fuck" con sonoro reale.

*la lista è passibile di aggiornamenti

Polemiche a parte, spero comunque per Obama.

14 settembre 2008

Ieri giornata stupenda. Oggi al contrario vento forte e tanta pioggia: ancora pure in casa.
Ma il maggiore disagio e' l'assenza della connessione wireless da questo pomeriggio... Devo iniziare a preoccuparmi per l'eccessiva dipendenza alla rete?

*sto scrivendo dalla hall della mensa. Meglio che vada a casa subito, prima che le coinquiline vadano a letto, dato che sono senza chiavi (tra l'altro consapevolmente: tanto torno presto, ho detto uscendo due ore fa).

13 settembre 2008

Senza parole

TROPIC THUNDER
Regista:Ben Stiller
Writers (WGA):Ben Stiller (screenplay) & Justin Theroux (screenplay)
Data di uscita:13 agosto 2008 (USA)
Genere:
Action Adventure Comedy

Fosse anche l'ultima cosa che vi rimane da fare: non fatela, non andate a vedere questo film.
La persona che mi ci ha portato, imbarazzata, alla fine sorridendo ha affermato: "Welcome to America...".
Sicuramente la mia conoscenza dell'inglese ha reso la visione più complicata, molti dialoghi usavano lo slang e di questi riuscivo a comprendere solo le decine di fuck e affini che gli attori continuavano a ripetere. Tuttavia non mi so spiegare perché le rare scene che hanno provocato in meno una sommessa risatina non hanno avuto lo stesso effetto sugli altri spettatori che, al contrario, si sono sbellicati in modo piuttosto rumoroso, proprio nei momenti che io ho trovato più intollerabili.
Da domani andrò a consultare la videoteca dell'Università: guardando i trailer trasmessi prima del film non credo ci sia altra soluzione. A peggiorare la già orrenda visione, inoltre, hanno pure trasmesso il video di propaganda militare statunitense. Non capendo bene di cosa si trattasse ho chiesto al mio accompagnatore "Is it ironic?", ha scosso la testa. Appena lo trovo, ve lo posto... Senza parole...

12 settembre 2008

in fine serata

Non è solo l'ora tarda e il sonno che mi spinge a postare un video senza troppi preamboli. Certo anche, ma siccome "non esiste il caso, non esiste la famosa tegola sul capo" questa canzone me la sono ritrovata proprio oggi tra i messaggi di facebook, grazie ad un'amica.

Perciò, pur non considerandola degna di nota particolare, mi piace l'idea di accettarla come colonna sonora per le quattro settimane raccontate e la piacevole, ma tranquilla serata trascorsa con l'autoctono (il già in parte descritto "quasi pastore" che ha la mia età e pure una splendida bimba di cinque anni!) parlando di musica, americans, countriboy/trucker della zona e guardando Fight Club.

*il gruppo è finlandese, ma la bella cantante potrebbe benissimo essere un'americana della DePauw. Tutta pittata per qualche party organizzato da altri studenti, li raggiungerà percorrendo i medesimi vialetti che durante la giornata calpesta in shorts e infradito andando a lezione.

11 settembre 2008

Maschere

Oggi 11 settembre 2008, a sette anni di distanza dall'attacco alle torri gemelle non ho visto alcuna manifestazione volta a commemorare l'evento. Le bandiere americane sono sempre appese a prescindere o, forse, sono stata disattenta presa com'ero a interrogare gli studenti (che manco sembravano ricordarsi del fattaccio) e a innervosirmi per le assurde pretese delle due insegnanti di italiano, entrambe iscritte all'"ufficio complicazione affari semplici".

Inoltre la novità è che ho iniziato a lavorare in modo effettivo al Women Center per un totale di nove ore a settimana, spezzate in due giorni: il mercoledì dalle 5 alle 10 e il giovedì dalle 6 alle 10 p.m. (come si dice qui e mi devo ancora abituare), cioè sino all'orario di chiusura. La paga è quella fissa per gli studenti all'interno del campus: si aggira sui 6 $ l'ora. Non molto, ma il posto è veramente bello e gestito da una persona squisita.
In pratica un'abitazione che oltre ad essere un punto di riferimento stabile per chi dovesse averne bisogno (girl & boys) dà spazio a incontri di vario genere.
Stasera un cospicuo gruppo di persone si è dato alla realizzazione di maschere africane (che sembravano tutto fuorché quello), dopo un'introduzione sui significati che rivestono. Mi sono persa la spiegazione per pelare le ultime mele che già raccolsi. Le congeliamo per l'inverno.

Quando le persone se ne sono andate ho aperto il lap top e risposto alle gentili quanto taglienti mail giuntemi dalle sopradescritte docenti. Sono entrambe assistenti con un dottorato alle spalle, ma una è rumena, l'altra americana. Comunichiamo in italiano: ci tengono molto. Scrivono bene anche se riesco a sentirne l'accento straniero nella lettura. Sfortunatamente per loro, essendo io la madrelingua, penso di aver avuto buon gioco a ridecorare la maschera... Domani vedremo.

10 settembre 2008

nuova etichetta

Mercoledì sera, bar in chiusura, alcuni ragazzi stanno riponendo le chitarre nelle custodie.
x, dopo aver parlato con alcuni amici, saluta y e le si siede vicino.

x: I've read your blog...
y: oh, good...
(x sorride)
(y sorride)
x: cool
y: thank you... anyway it's in italian... how have you read it?
x: oh, i translated
y (sorridendo ancora di più con aria beffarda): did you? how?
x: I just put the text into the web and... (fa un movimento con le mani per mostrare che i potenti mezzi della rete gli hanno permesso la lettura)

y vorrebbe sprofondare o ancor meglio avere un rewind. Ma non è possibile.

*se considerate che "x" è il ragazzo che "y" aveva definito un probabile "repubblicano, conservatore, antiabortista" (cfr. post "una musica può fare") capite perché verrà aggiunta un'altra etichetta alla catalogazione dei post, cioè questa: figure di merda.

x: anyway I'm not a conservative
y è troppo imbarazzata per esserne sollevata e soprattutto si sente veramente pirla.

9 settembre 2008

(book)STORE

Mi sono arresa. Ammetterlo è dura, ma s'ha da fare: ho comprato i libri per il corso sul Governo americano. Non posso più procrastinare sperando che qualche anima pia mi ceda i suoi riassunti perché la settimana prossima c'è il primo compitino e, volente o nolente (e assurdità a parte), lo devo sostenere. Qualcuno mi aveva consigliato di ordinarli usati sul web per risparmiare, ma, calcolando le spese di spedizione, il prezzo finiva per essere molto simile a quello del negozio e inoltre avrei dovuto attendere vari giorni per la consegna.

Dunque, con il sostegno dell'insegnante di italiano rumena e della mia carta di credito, mi sono diretta alla libreria dell'università. Si trova sotto la mensa, è l'unica del campus. In centro c'è n'è solo un'altra.

Se non fosse per il nome riportato sopra la porta si stenterebbe a capire di fronte a quale negozio ci si trovi. Una volta entrati il disorientamento permane e sorge la domanda se quel "bookstore" sia veramente da legarsi alla parola libro o non piuttosto da considerarsi un nome, un marchio, o brand che dir si voglia. I quattro quinti del locale, infatti, sono occupati da felpe, magliette, tute, pantaloni sportivi corti, lunghi e di molteplici colori. Poi si possono trovare tazze, ombrelli, asciugamani e perfino coperte e altro che il mio cerebro non ha memorizzato. Su tutta questa mercanzia c'è ovviamente impresso il nome dell'università.
Nell'esiguo spazio restante finalmente si trovano anche dei libri.

Per evitare le sterili polemiche e i noiosi pregiudizi sinistrorsi, ho cercato una possibile soluzione. L'ho trovata nella sineddoche, figura retorica che permette di indicare il tutto con una parte. Del resto anche zainetti, shorts e t-shirts sono legate al mondo universitario... Deduzione: avranno applicato la sineddoche.

Dopo aver trovato i tre volumi richiesti, soddisfatta per essermene conquistata uno usato mi sono diretta alla cassa. Totale:145 $. Ho esitato guardando la cassiera e i banalissimi libri davanti a me. Il pagamento ha annientato l'assioma poco prima accettato.


*Il nome della University è stato oscurato dall'autrice che, beccata da una commessa a fotografare, è stata rimproverata con astio. Dicono sia proibito.
Se mi dovessero mettere in gabbia ricordatevi che alle arance preferisco la frutta di stagione.

8 settembre 2008

Ritmo

La vita può essere ritmata da molte attività.
Quelle delle mie due coinquiline sono studio e riposo. Tempo costante.
Il mio cronometro, invece, dev'essere difettato. Ultimamente, fuorché il sonnecchiare e lo studiare, batte quasi tutto, insieme. Sarà che mi piacciono le commistioni musicali.

Tuttavia non posso passare nove mesi con la patchanka in corpo perciò, stasera, mi concedo un massimo di altri venti, trenta minuti davanti al pc.
Il tempo per una mail e per postarvi il video dei Calexico, gruppo statunitense che mi piace e che suonerà il 18 ottobre, al Rolling Stones, a Milano. Andate a vederli per me, di date a Indianapolis fin'ora nessuna traccia. Meglio che vada a letto senza pensarci...


7 settembre 2008

Teoria flessibile

Qualcuno (io) quando andava a scuola diceva che i programmi sono fatti per essere disattesi. Mai giunse smentita.
Dopo avere pianificato di riposarmi e studiare sodo l'intero fine settimana, ho rispettato la sopracitata teoria.
Sabato è stato il giorno per: sistemare casa, fare la spesa, cucinare e pranzare con gli insegnanti di tedesco e russo (contentissimi delle bavette con le zucchine) e, la sera, andare a Indianapolis. Qui mi sono sorpresa a discutere di stile nel vestire con il tedesco e il russo che, in quanto europei, criticavano gli americani. Resami conto del paradosso ho iniziato a ridere da sola... Loro non sono riusciti a cogliere sino in fondo l'aspetto grottesco della situazione.

*sullo sfondo il palazzo del Parlamento dell'Indiana

Domenica. Innanzitutto messa, durante la quale ho finalmente deciso di provare il vino: buonissimo, dolcino come piace a me. L'ostia va giù che è una meraviglia.

Tornata a casa mi sono preparata una zuppa dignitosa e sana e ho già lavato l'insalata per i prossimi giorni ascoltando radio popolare. Dopo il tg, è stata la volta di una telefonata intercontinentale alla cara Sissi, grazie all'idea geniale di mia madre (sempre più tecnologica), che l'ha chiamata e ha poi appoggiato la cornetta accanto al pc, collegato col mio tramite skype. Ora aspetto la mail promessa dall'amica (anche lei seguace del teorema sopra esposto).

Nel pomeriggio bucato con annessa stiratura. Nell'attesa lavatrice-asciugatrice, due passi e poche pagine lette.Stasera sarei dovuta andare in biblioteca, poi a letto molto presto. Poi mi sono collegata alla rete: mancano dieci minuti a mezzanotte.

Sono una persona flessibile, peccato le date degli esamini interne al semestre siano, al contrario, rigide e vicine.

6 settembre 2008

Feel Free (n.d.r. but not too much:-)

Gita serale a Indy (Indianapolis). Con una certa fatica abbiamo trovato un "locale normale" (un irish pub con musica altissima e soprattutto inappropriata all'ambiente).
Ci siamo seduti in disparte, in un posto relativamente tranquillo che concedesse perlomeno di interagire tra noi tre (un russo, un tedesco, un'italiana)
"In America people believe that they have to show their personality: how much you are cool, hot and feel good". Jeorg (l'insegnante di tedesco) aveva appena terminato la frase quando davanti al bar ha parcheggiato questa moto. "Sometimes they are extreme".

*notare il casco in pandane sulla sinistra: che finezza.

5 settembre 2008

The importance of Being Earnest

"Gwendolen, it is a terrible thing for a man to find out suddenly that all his life he has been speaking nothing but the truth. Can you forgive me?"

Potrei dire lo stesso. Solo la pura verità in questi reportage giornalieri.

Due giorni fa ho accettato, senza ben capire di cosa si trattasse, l'invito per un'uscita di una delle signore americane conosciute a Grado.
E stasera senza aspettarmelo mi sono trovata seduta a teatro. Well done.
Con gioia ho scoperto che avrei assistito a "The importance of Being Earnest". Il luogo che ha ospitato lo spettacolo è una vecchia fattoria riadattata. Non solo insolito, direi bello: all'interno poteva ricordare vecchissimi teatri, non più esistenti, in solo legno.
Non credo gli attori fossero professionisti, ma hanno recitato bene. Anche i costumi e le scene erano curate. Peccato che per cambiarle si sono avvalsi di scenette a momenti abbastanza trash (o molto american? ;-) interpretate da ulteriori personaggi: camerieri, cameriere e una sorta di bambina odiosa che girava per il palco facendo dispetti agli altri. Il pubblico rideva tantissimo. Un uomo americano che era con noi si domandava se anche quelle facessero parte della sceneggiatura. Penso di essere stata l'unica del gruppo ad aver letto il testo di Wilde.

"Gwendolen is devoted to bread and butter"

E gli americani ai pop corn. Anche a teatro.Speranza: mi auguro che da noi si fermino al cinema.

4 settembre 2008

(de)cadente

Temo che la definizione "decadente" che tanto mi era piaciuta dare a questa casa sia sempre più azzeccata.
Tuttavia è necessario spostare il campo semantico da quello letterario a quello letterale.
Oggi piove.
Anche in casa.
Abbiamo riso per non piangere, e parecchio.
Prima che io uscissi Sooran ha sistemato sotto l'angolo gocciolante una bacinella.

Ho scattato una foto da caricare al rientro e divertito tutti mostrandola sullo schermo della macchina fotografica. L'insegnante di tedesco, scusandosi per l'ilarità, mi ha offerto un letto (pure loro ne hanno uno in più).



Quando ho aperto la porta, ancora sorridente per le battute, questa è stata la nuova natura morta che ha ispirato l'ennesima foto.

Quando si dice che le immagini parlano da sole...


3 settembre 2008

Prospettive

Di seguito un video su Greencastle. Credo sia fatto da alcuni studenti della DePauw, luogo da cui il video prende avvio. Nelle intenzioni dei ragazzi c'è il tentativo di promuove le attrattive del paese. A me, tuttavia, non verrebbe voglia di passarci le ferie.





Non si può definire falso ciò che si guarda e ascolta. Sono tante, però, le prospettive da cui osservare la realtà. Di seguito la mia.

Cominciamo con una foto del "centro".
I negozi inquadrati nel video sono soprattutto rivendite di oggetti usati, non a caso il regista non mostra le vetrine. Io nemmeno perché fanno rabbrividire.

In fondo a questa strada il supermercato dove faccio la spesa. Non il tanto osannato WAL-MART del video: economico per alcuni versi, ma troppo vasto e provvisto di prodotti qualitativamente scarsi.


Un fast-food che vende intrugli tipo yogurt, gelati e qualcos'altro. Mai andata. Le persone nelle auto in fila aspettano il loro turno.
Una via parallela a quella in cui abito.

Appena fuori il campus.

Mentre percorrevo questa strada (v.foto seguente) ho avuto per un attimo la percezione di trovarmi in uno dei tanti desolati luoghi del nostro sud Italia, dove hanno iniziato a costruire senza logica, solo per speculare. Sensazione aiutata forse dal sole caldo e generoso, fortunatamente dissoltasi vedendo auto e alberi assai diversi.
Ad ogni modo avrei preferito essere in puglia o in calabria, magari non lontana dal mare.

La cosa divertente, e a tratti imbarazzante, è che la gente pensa che fotografi queste cose perché mi piacciono... "Vagli a spiegare!".

2 settembre 2008

Una musica può fare

Dopo gli sfoghi, una bella scoperta: la biblioteca del campus chiude alle 2 a.m (le nostre 2 di notte), così, ore 23:00 circa, eccomi qui. Luce in abbondanza e finalmente una sedia non sfondata. A disposizione ho, inoltre, un tavolo gigante, dato che ancora non siamo in periodi esami. Mi sono subito allargata: borsa, fogli, orologio, american coffee e laptop collegabile alle molte prese. Ho astutamente portato il cavo dimenticando l'adattore: non me la fa nessuno! Speriamo le batterie resistano un po'.

L'intenzione sarebbe quella di leggere qualcosa sui quotidiani riguardo Obama, i repubblicani, la convention, McCain e compagnia bella, ma qui si ha il vantaggio di potersi connettere ovunque. Perciò la comodità del wireless si trasforma presto in una fonte di distrazione senza soluzione. I'm really becoming web-addicted.

Altre note positive sembrano arrivare dall'organizzazione dei miei corsi. Continuo a calcolare crediti e ore. Devo riuscire ad ottimizzare i tempi dato che sono già riuscita a prendermi troppi impegni e il governo americano pretenda che affronti seriamente le lezioni. Mi piacerebbe capire cosa mi succede se non passo gli esami... mi danno il foglio di via?

Nonostante ciò non ho alcuna intenzione di abbandonare la vita sociale, anzi pretendo di costruirla secondo i miei gusti.

Musica, musica innanzitutto. Ieri sera ho assistito a un concertino all'interno del campus. Un gruppo di ragazzi californiani davanti a una cinquantina di persone vantava un palco da urlo. Li guardavo pensando che avrebbero fatto invidia a qualsiasi gruppo amatoriale nostrano, e forse non solo. L'occasione mi ha permesso di conoscere l'insegnante di russo. Un ragazzo giovane che ha un contratto particolare con l'università perciò se la passa meglio di me. Abita col professore di tedesco e fa il deejay. Il potere unificatore della musica ci ha iniziati alla conversazione. Mi ha detto di abitare nel sud della Siberia. Ho dovuto fare un certo sforzo per collegare il nome a un luogo e non alle purghe staliniane. Riuscitaci ho realizzato che mai prima d'allora avevo incrociato un siberiano e la novità non ha mancato di darmi una certa soddisfazione. Sembra un tipo in gamba e, soprattutto, sufficientemente scafato per organizzare gite fuori Greencastle.

Tuttavia la soluzione più sicura mi sembra ancora quella di sfruttare un autoctono. Perciò, in questi ultimi giorni, me ne vado in giro sbirciando nelle auto, alla ricerca del ragazzo conosciuto sabato sera. Ha la mia età e vive vicino al campus. Lavora al dipartimento di polizia e ha studiato per diventare pastore protestante, ma ha abbandonato il proposito.
Mentre lo conoscevo il mio cervello suggeriva: repubblicano, conservatore, antiabortista... scappa! Al solito: tutti io me li becco! Comunque simpatico e gentile, poi, come gli dicevo, "things change"...
Sebbene il dialogo fosse promettente, ho intelligentemente deciso di tornare a casa prima di reperire le informazioni essenziali per vederlo di nuovo.

Mi ha detto di suonare, ma si era già esibito quando sono arrivata al bar.

Sono riuscita ad ascoltare solo i suoi amici, in piedi appoggiata al bancone. Stavo in un sogno: perfettamente a mio agio, in un'America che mi piace. A casa, se non fosse che, vicino a me, al posto della compagna di ventura Sissi, si ergeva un barista grande e grosso.

Complice il mio fortissimo italico accento (ci sono voluti cinque minuti per fargli capire che desideravo semplicemente un succo d'arancia) ha facilmente trovato lo spunto per attaccare bottone. Mi ha raccontato di essere appena tornato da Las Vegas, consigliato di passare da Duck a mangiare, dove lavora e ogni tanto fanno jazz.
Un tipo semplice di quelli che incontri nei locali alla mano, circoli arci o centri sociali. A poca distanza altri ragazzi molto easy: barbe sfatte, piercing e età vicine alla mia.
Poca gente nel locale, nessuno del campus. Casa, finalmente casa. Penso ci tornerò. Domani sera, magari.

1 settembre 2008

Any ideas?

Oggi un'altra persona mi ha detto che gli sembravo stanca. Perciò meglio se vado a letto. Non prima di aver postato questa foto però.

A cosa diamine serve una quattroruote (non saprei meglio definirla) di queste dimensioni?
Nonostante gli sforzi non ho trovato una risposta soddisfacente.

*La lunghezza è pari a quella di due auto (e almeno tre turchine :-). La cosa incredibile è che non è un'eccezione: a poca distanza ce n'era un modello simile, ma più nuovo.