2 settembre 2008

Una musica può fare

Dopo gli sfoghi, una bella scoperta: la biblioteca del campus chiude alle 2 a.m (le nostre 2 di notte), così, ore 23:00 circa, eccomi qui. Luce in abbondanza e finalmente una sedia non sfondata. A disposizione ho, inoltre, un tavolo gigante, dato che ancora non siamo in periodi esami. Mi sono subito allargata: borsa, fogli, orologio, american coffee e laptop collegabile alle molte prese. Ho astutamente portato il cavo dimenticando l'adattore: non me la fa nessuno! Speriamo le batterie resistano un po'.

L'intenzione sarebbe quella di leggere qualcosa sui quotidiani riguardo Obama, i repubblicani, la convention, McCain e compagnia bella, ma qui si ha il vantaggio di potersi connettere ovunque. Perciò la comodità del wireless si trasforma presto in una fonte di distrazione senza soluzione. I'm really becoming web-addicted.

Altre note positive sembrano arrivare dall'organizzazione dei miei corsi. Continuo a calcolare crediti e ore. Devo riuscire ad ottimizzare i tempi dato che sono già riuscita a prendermi troppi impegni e il governo americano pretenda che affronti seriamente le lezioni. Mi piacerebbe capire cosa mi succede se non passo gli esami... mi danno il foglio di via?

Nonostante ciò non ho alcuna intenzione di abbandonare la vita sociale, anzi pretendo di costruirla secondo i miei gusti.

Musica, musica innanzitutto. Ieri sera ho assistito a un concertino all'interno del campus. Un gruppo di ragazzi californiani davanti a una cinquantina di persone vantava un palco da urlo. Li guardavo pensando che avrebbero fatto invidia a qualsiasi gruppo amatoriale nostrano, e forse non solo. L'occasione mi ha permesso di conoscere l'insegnante di russo. Un ragazzo giovane che ha un contratto particolare con l'università perciò se la passa meglio di me. Abita col professore di tedesco e fa il deejay. Il potere unificatore della musica ci ha iniziati alla conversazione. Mi ha detto di abitare nel sud della Siberia. Ho dovuto fare un certo sforzo per collegare il nome a un luogo e non alle purghe staliniane. Riuscitaci ho realizzato che mai prima d'allora avevo incrociato un siberiano e la novità non ha mancato di darmi una certa soddisfazione. Sembra un tipo in gamba e, soprattutto, sufficientemente scafato per organizzare gite fuori Greencastle.

Tuttavia la soluzione più sicura mi sembra ancora quella di sfruttare un autoctono. Perciò, in questi ultimi giorni, me ne vado in giro sbirciando nelle auto, alla ricerca del ragazzo conosciuto sabato sera. Ha la mia età e vive vicino al campus. Lavora al dipartimento di polizia e ha studiato per diventare pastore protestante, ma ha abbandonato il proposito.
Mentre lo conoscevo il mio cervello suggeriva: repubblicano, conservatore, antiabortista... scappa! Al solito: tutti io me li becco! Comunque simpatico e gentile, poi, come gli dicevo, "things change"...
Sebbene il dialogo fosse promettente, ho intelligentemente deciso di tornare a casa prima di reperire le informazioni essenziali per vederlo di nuovo.

Mi ha detto di suonare, ma si era già esibito quando sono arrivata al bar.

Sono riuscita ad ascoltare solo i suoi amici, in piedi appoggiata al bancone. Stavo in un sogno: perfettamente a mio agio, in un'America che mi piace. A casa, se non fosse che, vicino a me, al posto della compagna di ventura Sissi, si ergeva un barista grande e grosso.

Complice il mio fortissimo italico accento (ci sono voluti cinque minuti per fargli capire che desideravo semplicemente un succo d'arancia) ha facilmente trovato lo spunto per attaccare bottone. Mi ha raccontato di essere appena tornato da Las Vegas, consigliato di passare da Duck a mangiare, dove lavora e ogni tanto fanno jazz.
Un tipo semplice di quelli che incontri nei locali alla mano, circoli arci o centri sociali. A poca distanza altri ragazzi molto easy: barbe sfatte, piercing e età vicine alla mia.
Poca gente nel locale, nessuno del campus. Casa, finalmente casa. Penso ci tornerò. Domani sera, magari.

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