Ho svuotato le valigie, quasi recuperato il jet lag (non ancora le ore di sonno perse), ripreso possesso della mia stanza, rivisto alcuni amici, ripreso a guardare la tv italiana (e quindi già incazzarmi o amareggiarmi)... ma prima che la nuova storia annebbi l'American way ho qualche post già pensato da scrivere che sarà immesso retrodatato.
30 marzo 2009
Rientro
Ho svuotato le valigie, quasi recuperato il jet lag (non ancora le ore di sonno perse), ripreso possesso della mia stanza, rivisto alcuni amici, ripreso a guardare la tv italiana (e quindi già incazzarmi o amareggiarmi)... ma prima che la nuova storia annebbi l'American way ho qualche post già pensato da scrivere che sarà immesso retrodatato.
22 marzo 2009
to be or not to be proud (2)
Stando qui ho cercato di non rappresentare la "classica italiana" in vacanza che più o meno consapevolmente sostiene il: "in Italia è sempre (o ultimamente "nonostante tutto") meglio..."
Anche se non lo sappiamo siamo un popolo di orgogliosi, l'orgoglio della bella italia e della sua grande cultura come mi hanno fatto notare V. e A. ridicolizzando la mia scoperta (cfr. to be or not to be proud 1).
Infatti, anche se noi italiani non facciamo altro che lamentarci (in casa e fuori), considerarci arretrati e facciamo ancora fatica a pronunciare la parola patria o peggio ad esibire la bandiera (anzi esponiamo quella altrui minacciando la fuga!), in realtà noi questo strano e maledetto paese lo amiamo.
A darne prova non è solo Lapo Elkan che ha fatto altri soldi con le sue felpe ITALIA o ancor peggio FIAT (dopo che l'abbiamo sostenuta per generazioni con le nostre tasse dovrebbero regalarci una cinquecento, non venderci la maglietta!), bensì scrittori e registi che ne analizzano la storia e molti cantautori.
Mi sono resa conto di quante canzoni siano state scritte sul bel paese da italiani solo stando qui. La nostalgia mi ha portato a scoprire cantanti e canzoni che da anni parlano dell'Italia, la criticano e in fondo la celebrano come forse non accade in nessun altro paese.
Così mentre pensiamo la fuga già progettiamo il ritorno.
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Tra gli esempi cantati che ho in mente ci sono i seguenti presi qua e là cercando di seguire un ordine. Ma altri se ne potrebbero trovare.
L'Italiano di Toto Cotugno (la preferita del mio coinquilino); Aida di Rino Gaetano; Viva l'Italia di Francesco De Gregori; Quarant'anni dei Modena City Ramblers; Por Italia di Davide Van De Sfroos; Bella Italia dei Tre allegri ragazzi morti; Buona notte all'Italia di Luciano Ligabue (sebbene sia un tentativo a mio parere molto malriuscito) e tra gli ultimi gli Afterhours che non solo hanno portato al festival di San Remo un testo su "Il paese reale" (che lascia perplessi al primo ascolto, ma mostra un certo valore poi), ma hanno pubbicato coinvolgendo molti nomi della scena indie un album che lo descrive.
20 marzo 2009
La "mia" testimonianza
Parlare della crisi, in America, oggi è un vero e proprio tabù. Ho provato a discutere con loro, soprattutto con i giovani. E la reazione era sempre la stessa: risposte generiche, mezze frasi, scarsa voglia di parlarne.
In gennaio a New York faceva freddissimo: non c'erano ambulanti per le strade. Ora che il clima inizia a mitigarsi, non si vedono comunque molte bancarelle agli angoli delle vie, nemmeno nelle giornate più calde.
La società capitalistica statunitense, infatti, aveva abituato i propri cittadini ad uno shopping frequente, nonostante il paese ormai da anni non produca più nulla, ma si basi sull'importazione di prodotti.
Ora la crisi, provocata anche da questo sbilanciamento, inizia a modificare l'atteggiamento degli americani. La gente sta perdendo il lavoro, a tutti i livelli, quindi potere d'acquisto e molto altro: negli Stati Uniti aumenta considerevolmente il numero di persone che non ha l'assicurazione sanitaria per esempio e, da quando la bolla legata ai mutui è rovinosamente esplosa, la casa.
Tra i motivi della crisi partita dagli Stati Uniti vi è, infatti, proprio l'eccessiva flessibilità del mercato immobiliare. Le banche elargivano prestiti facilmente agli acquirenti anche con situazioni instabili o precarie. I tassi erano favorevoli perché gli operatori finanziari erano sicuri che i prezzi sarebbero andati aumentando e il guadagno sarebbe stato continuamente garantito.
Un amico che lavora per una società di investimento ha cercato di darmi una spiegazione semplice di quanto è accaduto.
Un ipotetico Sig. Doherty poteva, per esempio, decidere di acquistare una casa chiedendo un mutuo che gli veniva concesso al tasso X. Qualche giorno dopo lo stesso Sig. Doherty scopriva un'altra compagnia che gli avrebbe coperto interamente la spesa garantendogli un tasso più basso. La fiducia nel mercato garantiva al sig. Doherty di evadere il primo mutuo, contraendo un debito con il secondo investitore. Questi passaggi potevano continuare e andavano a gonfiare la cosiddetta bolla del mercato immobiliare, basata su mere speculazioni e non sul valore effettivo degli immobili.
L'estrema fiducia nel mercato consentiva, inoltre, alle banche di attuare manovre di securitization (cartolarizzazione). Iniziate nel 2000 queste manovre hanno permesso alle banche di concedere molti mutui (i cosiddetti mutui subprime) perché grazie alla cartolarizzazione potevano rivendere i mutui ad altre istituzioni finanziarie, le società veicolo, liberandosi dal rischio di non ricevere più rate. La società veicolo lucrava da questi passaggi emettendo delle obbligazioni legate ai mutui.
Quando il mercato ha iniziato a incrinarsi la realtà è venuta allo scoperto insieme a una crisi che ha portato gli operatori finanziari a correre ai ripari.
La flessibilità che domina in ambito lavorativo ha permesso ai datori di lavoro in difficoltà di lasciare a casa da un giorno all'altro i propri dipendenti. Questo atteggiamento, che continua, ha fatto scivolare vorticosamente la situazione sempre più in basso. Il tasso di disoccupazione ha ultimamente raggiunto l'8,1%, i disoccupati sono 12,5 milioni: almeno quattro di questi hanno perso il posto negli ultimi mesi. Si dice che saranno necessari almeno 2/3 anni per uscire dalla crisi.
Le banche che sono andate in bancarotta hanno licenziato in maniera selvaggia. Tuttavia gli americani non disperano: malgrado la paura sia tanta, riescono a contenerla dietro un ottimismo perlomeno di facciata.
Ho chiesto ad ex bancario di ventisette anni cosa farà ora che da qualche settimana ha perso il lavoro, se è preoccupato. Ha risposto che aveva un buon posto, qualcosa ha messo via. Sta cercando altro. Non è pessimista, ma non sorride. Almeno per ora può comunque continuare a pagarsi casa. Ora, infatti, nonostante gli affitti siano scesi di un buon 25%, molte persone sono costrette a cercare un alloggio più economico.
Anche lontano dalle grandi metropoli la crisi non manca di far parlare di sé e influire in modo diretto. Molte le università che hanno tagliato il personale gravando i docenti di ruolo con l'insegnamento di più classi per il prossimo anno. E d'altra parte chi ha un posto sicuro se lo tiene ben stretto e non si lamenta certo del maggiore carico di lavoro. Un professore mostra preoccupazione affermando che anche dove lavora, in una piccola università dell'Indiana, frequentata prevalentemente dalla middle e upper middle class, per l'anno prossimo si prevede un numero notevolmente inferiore di iscrizioni. Perciò la politica di risparmio del campus è già iniziata riducendo alcuni servizi offerti agli studenti. È appena stato comunicato, ad esempio, che il servizio gratuito di shuttle per il supermercato del lunedì e giovedì è stato ridotto ad una sola volta a settimana. Dice, inoltre, che molti saranno i lavoratori del settore automobilistico che perderanno il posto e quindi la possibilità di garantire ai propri figli l'istruzione universitaria. Frequentare il college è negli Stati Uniti un vero privilegio e se non si ha un reddito medio alto (o la fortuna di una borsa di studio) è impossibile pensare di accedervi.
Le uniche attività che non sono state danneggiate sono quelle che in tempi di crisi fanno consulenza e riescono a lucrare sui cattivi investimenti altrui.
Tuttavia gli americani non si lamentano: hanno la percezione che in Europa la situazione sia persino peggiore e ripongono una grande speranza nel nuovo presidente.
da L'Ordine (quotidiano del comasco), 18 marzo 2009
*L'articolo è mio: l'ho scritto su richiesta di un amico ed è stato pubblicato in toto. Ho cercato di raccogliere varie informazioni, ma le testimonianze dirette sono state difficili da reperire: perciò quelle righe (da me indicate in corsivo) in apertura rubate da un dialogo via facebook.
R.S.P.
Ammetto, come già accennato nel post sul Thanksgiving day, di sentirmi una persona fortunata, negli ultimi anni, nei viaggi fatti ed anche a casa (ma in Italia sono state attentamente scelte), sono attorniata da persone squisite da cui mi sento voluta bene.
L'ultima volta che l'ho vista, Deb mi ha definita "a sweetheart" e ha affermato che sicuramente molte persone hanno desiderato trascorrere del tempo con me, ma lei per prima è un cuore al quale è facile voler bene.
Ma anche altre sono state le persone che mi hanno dimostrato un affetto, spesso del tutto inaspettato e con una semplicità tutta americana.
Tra le RSP (really special persone: sigla da me coniata in questo istante): Katherine e suo fratello John. A New York, ad esempio, dove mi hanno ospitata, non solo John mi ha più volte pagato il pasto, ma, la sera prima della mia partenza, a fine cena (avevo cucinato, Kathrine apparecchiato e acquistato dei fiori) è entrato in sala con una torta per il mio compleanno passato da soli pochi giorni. Ho festeggiato 28 anni tra "quasi sconosciuti" tra i quali mi sentivo "a casa".
Ma la gentilezza che forse più mi ha sconcertato è stata quella di Ken, il ragazzo di origine sudamericana, che ci ha scorazzato in giro per Manhattan a gennaio e che, nonostante non fosse assolutamente benestante (parlando ci ha spiegato di non potersi ancora permettere l'assicurazione sanitaria), ci ha pagato il pranzo e i due biglietti per salire in cima al Rockfeller center per ammirare una New York quasi notturna. Non c'è stato verso di rifiutare: ho provato a sottrargli la debit card al momento del pagamento per allungare la mia, provocando un'occhiata che mi ha quasi spaventata. Ho lasciato che facesse.
Già ho raccontato di Joshua (l'ormai famoso "quasi pastore") che ha cucinato, mi ha portato a un matrimonio, prestato la coperta, Anthony e Denis che mi hanno fatto vivere almeno un concerto a Indy e quest'ultimo mi ha inoltre fatto un cd ad hoc di Ryan Adams oltre a offrirmi il caffè ogni qualvolta finissi nel suo bar.
Altre studentesse mi hanno invitato a cena nelle rispettive sorority e tre ieri durante la cena mi hanno fatto trovare un mazzo di fiori e un pacchetto: una loro foto incorniciata perché non le dimentichi.
Prima di partire (e ancora durante la mia permanenza) alcuni mi avevano messo in guardia sugli americani descritti come molto friendly, ma incapaci di stringere rapporti profondi.
Quanti italiani sono capaci di stringere rapporti intensi e autentici? Se ascolto i dialoghi volanti colgo spesso delusioni e tradimenti.
Perciò la differenza credo stia solo nel diverso approccio. Gli statunitensi sono semplici e affabili, talvolta con un apparente entusiasmo che può sconcertare. Gli italiani al contrario vanno più cauti, spesso appaiono chiusi e caratterizzati da un atteggiamento magari persino retrivo.
Ma americani, italiani, tedeschi svizzeri... people are people... and lovely people are everywhere (fucking bastards also, unfortunately).
28 febbraio 2009
Enjoy
Fotografia: Tom Stern
Montaggio: Joel Cox
Paese: USA 2008
Attori: Hiam Abbass, Amir Arison, Danai Jekesai Gurira, Richard Jenkins, Maggie Moore Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Oliver Bokelberg
Montaggio: Tom McArdle
Musiche: Jan A.P. Kaczmarek
Produzione: Groundswell Productions, Next Wednesday Productions, Participant Productions
Paese: USA 2007
Forse perché ho rischiato di perdere il visto e mi sono sentita minacciare di allontanamento forzato dagli Stati Uniti.
Pensieri sparsi, incazzature, amarezze. E sono italiana: ho una casa e una famiglia dove tornare.
Gran Torino parla dell'immigrazione negli Stati Uniti tessendo una storia tremenda e toccante che offre squarci di vita quotidiana ai margini di una grande città americana del Midwest (forse Detroit) dove vivono soprattutto, ma non solo, immigrati di vecchia e nuova generazione.
Credo che molte delle nostre difficoltà e i tanti dubbi derivino dal fatto che siamo sempre stati abituati a considerare l'Italia terra di emigrati non il contrario. Soliti ad essere solo italiani tra italiani. I pochi stranieri fino almeno un quindici, vent'anni fa erano guardati in modo quasi esotico. Ora che le cose sono cambiate i nuovi inquilini sono genericamente clandestini. Ma cosa significa essere clandestino?
Il film The visitor pone allo spettatore questa domanda. La trama è semplice, la vicenda cade in un quotidiano che ci è contiguo, ma che non realizziamo. La risposta è forse un'altra domanda. "Cos'è un permesso di soggiorno? Quale unzione ti permette di concedermelo o meno? Cosa ti dà il diritto di cacciarmi da un territorio? Forse perché sei nato qui? E i tuoi genitori pure? E i tuoi nonni? I bisnonni... non lo sai più? Ma se anche, cosa ti fa pensare di poter disporre della mia di vita?"
Naturalmente è altro il discorso per chi commette dei crimini, ma in quel caso non si parla più di clandestinità, bensì di criminalità e il trattamento dovrebbe essere uguale per tutti, senza buonismi e cadute in prescrizione...
Enjoy.
25 febbraio 2009
to be or not to be proud (1)
Per avere un altro parere ho chiesto pure alla francese. L'approccio è stato il medesimo: "I don't think that we Italians are patriotic, b..." non ho fatto in tempo a terminare la frase che già A. si stava rotolando dalle risate "What are you saying???", "hmmm...". La conclusione del discorso è stata sua: francesi e italiani sono molto orgogliosi del loro paese: "Because we know we are the best", "who?" ho chiesto ammiccando "Both of us" molto diplomatica e bugiarda ha risposto la francese.
*Sia V. sia A. sono stati in Italia diverse volte. Il mio coinquilino inoltre si sta facendo una full immersion di cultura italiana popolare latu sensu: si è scritto per intero il testo di Bella ciao e sta imparando a memoria qualche verso di una vecchia canzone dei Litfiba (Lacio drom) con la quale spera di stupire le turiste italiane a Berlino. Ovviamente non manca di autoinvitarsi a cena appena ne vede l'occasione.
22 febbraio 2009
Sad global reality
20 febbraio 2009
Conversazioni in Italia (con assoluta fedeltà)
X da un paio d'anni fa il dottorato in filosofia, Y da qualche mese se ne sta negli Stati Uniti.
Dicembre 2008.
X chiama Y.
X entusiasta: fra poco ti raggiungo! Sto preparando tutto, hanno accettato la mia domanda di studio!
Y contenta: bene, ma cosa vieni a fare qui? Vale la pena studiare filosofia negli States?
X ancora più entusiasta: Perché no? Ho scritto ad alcuni professori. Non vedo l'ora! Ho letto il tuo blog... ma sei troppo polemica... ma su! ecche ti lamenti!? l'America è bella... Su esci, guardala con altri occhi, pensa...
Y: vieni, ti aspetto qui. Ma quanto ti fermi?
X: penso un anno. Quest'estate faccio il coast to coast. Non vedo l'ora!
Febbraio 2009.
X scrive a Y.
X: che ore sono da te?
Y: 5 e mezza.
X: anche da me :-) ti chiamo
X chiama Y.
Y: allora sei arrivato???
X: ebbene sì, da una settimana e mezza circa...
Y: allora, come va?
X: sto cercando di non lamentarmi...
Y: Uuuhhh, guarda non faccio manco la finta di starmene zitta... Te lo dico proprio: CHE T'AVEVO DETTO? Eh? Pensa che sei arrivato da sole due settimane! Il peggio ha da venire... hihihihi
X: ma secondo te perché? Perché non ci piace?
Y: Perchè siamo italiani X! Siamo viziati! Vivi in centro a Firenze come cazzo fanno a piacerti gli States???
X: uhmmm...
-pausa-
Pensavo che forse quest'estate vado in Argentina... telefono al mio amico e glielo dico: cambio di programma, niente più coast to coast. Cosa dici?
Y: vedo che hai capito. Tornassi indietro forse anch'io passerei gennaio in Sud America, spendendo probabilmente anche molto meno...
X racconta i primi grotteschi anedotti nel nuovo mondo e già tesse confronti fra i popoli
X: ma secondo te perché Dresda ci piaceva così tanto? forse perché eravamo più giovani?
Y: NO, Dresda è bella! Dresda è Europa, qui gira che ti rigira le città si assomigliano tutte... togli San Francisco, New York...
X: New York non mi ha particolarmente colpito...
Y: ok, risposta definitiva: vai in Argentina senza nemmeno pensarci.
X: pensare che in Italia avevo pure appena trovato l'amore...
Y: ahhh ma allora te le vai proprio a cercare!
Alla fine della telefonata Y confrontando le condizioni di X che si trova in un campus con circa 25ooo studenti, vive in un dormitorio per soli grad students (vale a dire dottorandi) e ha a disposizione i mezzi pubblici, con le sue si chiede con timore se abbia sviluppato un sistema di sopportazione particolarmente alto o sia diventata una cosiddetta sfigata...
15 febbraio 2009
Happy Valentine's day!
Appendice a conferma: mentre scrivo l'addetta al bar della biblioteca chiede ai ragazzi se hanno avuto un buon San Valentino e pure il sacerdote, durante la predica, vi ha fatto riferimento.
12 febbraio 2009
People are people (forse), ma certi americani, li amo.
Oggi torno perché domani devo cucinare il risotto alla milanese per le due anziane coppie di americani che ogni tanto si prendono cura di me (sono riuscita a guadagnarmi pure un'aspirapolvere) e dunque vado in perlustrazione. Mi serve il riso arborio (non c'è), il parmigiano, ma soprattutto lo zafferano. Per evitare inutili ricerche decido di rivolgermi subito al personale. Vedo il commesso della scorsa settimana e mi avvicino. Lui si prende a cuore la missione. Guardiamo tra i prodotti naturali/biologici: nulla. Mi assicura che c'è. Lo seguo tra le spezie, un collega glielo indica. Prima che io me ne accorga, è lui ad indicarmi il prezzo: 23 dollari!!! "I think I will cook something else!".
Mi chiede com'è quello che mi serve, racconto che in Italia lo compro in polvere ed è pure caro, ma non così tanto, magari lì ce n'è di più e bla bla... Mentre parlo accovacciata accanto a lui davanti a decine di boccettine di spezie, inizia con tutta naturalezza ad armeggiare col barattolo: lo apre, estrae la busta di carta bianca, mi mostra il prodotto "is this?" chiede, giusto il tempo di pronunciare yes, "Have you something to put it?". Apro istantaneamente il biglietto con la lista della spesa e me ne trovo mezza confezione in mano. "Is it enough?", stupita, disorientata e contenta dico un altro yes e lui afferma che non si può pagare così tanto per una spezia. Come dargli torto?! Poi richiude il contenitore di cui non ha nemmeno rotto la plastica protettiva... Ringrazio con 32 sinceri denti in vista. Penso che questo è "take it easy" e continuo giuliva la mia spesa.
L'educazione ricevuta però fa digitare al mio cerebro la parola "furto".
Poi mi viene in mente la confidenza del mio coinquilino (from Austria!) che spesso evita di pagare il caffè in mensa riempiendo la sua tazza senza dichiararne il contenuto alla cassa.
Dunque tutto mondo è paese?
Così pare, solo che da noi ci si vanta delle truffe!
Infatti, a dimostrazione, l'autrice pirla riporta il suo episodio con soddisfazione.
9 febbraio 2009
Per amor di patria
Ma veramente ogni stato si merita i politici che ha???
5 febbraio 2009
Arte e cucina non basteranno a salvarci.
Ecco l'intervista (se così si può chiamare) di un giornalista della nota tv americana Cnbc a Giulio Tremonti.
Già il titolo potrebbe essere esaustivo:
Don't Mention the Italian Economy
CNBC's Geoff Cutmore spoke to Italian Finance Minister Giulio Tremonti at the World Economic Forum in Davos in Switzerland, but when the subject turned the Italian economy the interview was abruptly ended.
Per chi come me ama l'Italia in modo che ora mi sento di definire autolesionista, il video.
http://www.cnbc.com/id/15840232?video=1017519662
Ringrazio Pluto per averlo postato sul suo blog Italia America one way dal quale ho attinto (http://www.plutousa.blogspot.com/)
4 febbraio 2009
Desperate (what?)
2 febbraio 2009
Cosa mi piace degli Stati Uniti / What I like in the U.S.
Nonostante credo la definizione sia stata data più con vis polemica che raziocinio, raccolgo volentieri l'invito.
New York. Questa città mi è piaciuta, ho apprezzato tanto anche New Orleans. Sono città vive, dove ci sono i caffè per trovarsi e i locali nei quali sentire musica. Tuttavia ci sono stata poco, soprattutto a New Orleans e l'opinione risulta parziale.
Nella grande mela ho trascorso una settimana. Finalmente una città vera: un luogo dove poter trovare di tutto, fare di tutto. Immensa, ma ben collegata dai mezzi. Un luogo dove perdersi, nascondersi, ritrovarsi. Io ci ho vagabondato stanca sperando di tornarci.
Ma devo dire quel che mi piace.
In prima posizione metto la semplicità e la gentilezza degli americani. Iniziare a chiacchierare col vicino mentre si aspetta l'aereo, o conoscere l'avventore del bar o del ristorante accanto al quale siamo seduti è molto comune.
Insieme alla facilità di relazione, c'è una certa noncuranza verso l'abbigliamento che di sicuro preferisco all'ossessione nostrana. Tuttavia sapendo dove e quando andarci è facile trovare pure abiti e accessori dignitosi e di marca a prezzi ridotti.
Altro apprezzamento va alla stima che nutrono verso la propria classe politica. Assodato che George Bush sia stato il peggior presidente degli Stati Uniti e un idiota, ora i democratici incontrati nutrono una speranza verso l'uomo e il politico Barack Obama che in Italia non ho mai visto nè vagamente ipotizzato (e forse non è difficile capirne il perché).
Mi sto abituando alla fantastica comodità della rete: qui è piuttosto semplice trovare una rete-wireless non protetta da poter usare e la gente legge quotidianamente la posta e risponde subito alle mail.
Come anche in Germania, anche qui ci si porta caffè e tè appresso. Pratica che già avevo importato persino nella biblioteca comasca. Tuttavia gli americani non hanno grandi thermos come gli Alemanni, ma capienti tazze col tappo, da cui bere direttamente.
I bagni. La maggior parte dei bagni pubblici sono puliti e provvisti di carta. Evito l'ovvia comparazione.
Infine, ma di questi tempi, dovrebbe essere la prima, l'attitudine che le persone mostrano di fronte alla possibilità di perdere il lavoro o una posizione economica raggiunta. Ricominciano.
Quest'ultima constatazione apre confronti immensi che sento constantemente ripetere quando guardo la tv italiana in rete. Non si fa altro che guardare agli States eppure non è tutto oro quel che luccica e noi italiani ci autodemoliamo continuamente.
30 gennaio 2009
28 gennaio 2009
Ecche culo!
(n.d.r. non fatevi ingannare dalla prima parte, procedete)
Ore 13.00
Triste e stanca (sarà per il taglio che mi è stato fatto ad agosto che ogni cosa qui mi sembra di così difficile realizzazione?) aspetto la partenza su un aereo diretto a Boston pregando che non tardi dato che ho poi la coincidenza con quello per Indianapolis dove alle cinque e mezza ho l'unico passaggio trovato dall'areoporto alla DePauw (se lo perdessi avrei una distanza di quaranta miglia da coprire a piedi o in autostop).
Ore 17.00
Il tempo di chiudere la parentesi e mi è stato detto che dovevo cambiare aereo. Il volo per Boston delle 13.00 era stato cancellato. Il prossimo sarebbe partito alle 14.00 facendomi quindi perdere la coincidenza.
Al special desk service mi hanno dato tuttavia un'ottima notizia: sarei partita un'ora e mezza dopo con un diretto che mi avrebbe fatto raggiungere l'Indiana persino in anticipo rispetto all'altro. Cioè alle 17.00, qui meglio dette 5 pm.
Sono ora le 17.00 o 5 pm come diamine si vuole chiamarle e sto per la terza volta tentando di lasciare La Guardia airport di New York (quasi quasi scendo e resto qui... non fosse che ho tutto a Greencastle e nessun posto dove andare a NYC).
Il secondo volo in realtà era partito puntuale, ma una volta addormentatami ero stata svegliata dal pilota che ci annunciava il rientro (dopo una buona mezz'ora di volo) a La Guardia airport per problemi meccanici del velivolo.
Ho sperato di aver frainteso, "mesi che piglio fischi per fiaschi, avrò capito male pure 'sta volta". Inoltre i passeggeri mi sembravano troppo tranquilli alla notizia.
Purtroppo la mia comprensione era stata corretta.
Tornati all'areoporto mi hanno assegnato un altro posto sul volo successivo (questo).
Ora sono in cielo e il mio laptop nella stiva: il trolley non ci stava sotto il sedile così l'assistente di volo me l'ha requisito ed io che nel mentre stavo cercando un nuovo passaggio per Greencastle, esausta, ho realizzato troppo tardi che avrei potuto toglierlo dalla borsa. Lei si è scusata per essersi dimenticata di avvertirmi, detto comunque di non preoccuparmi. Facile!
Se state leggendo queste righe probabilmente il mio portatile è salvo (come auspico) oppure sto battendo i tasti di un computer altrui. - Fortunatamente si è realizzata la prima ipotesi -
A breve flashback e souvenirs dal viaggio.
Sfiga in appendice: atterrata all'aeroporto, non ho ricevuto il mio bagaglio, era stato mandato forse a Filadelfia. Ad ogni modo mi è stato consegnato quella stessa sera verso l'una. Again: Ecche culo!
22 gennaio 2009
Couchsurfing
First of all... I am not American, you are not Italian... but HUMAN BEINGS and that's COUCHSURFING."
Da ormai quattro giorni siamo a New York city e dopo averne sentito parlare in Italia e soprattutto qui (il mio coinquilino l'ha sperimentato e me l'ha vivamente suggerito) abbiamo anche noi di fare un'esperienza come couchsurfers.
Couch significa divano ed è quello che ti aspetta dalla persona che contatti e ti risponde tramite il sito creato ad hoc (clicca sul titolo del post per il link).
Si chiama couchsurfing ed il nuovo modo di Viaggiare (non a caso con la maiuscola) in modo economico. Permette non solo di evitare la "triste" visita turistica, ma dà la possibilità di conoscere gente e viverne i luoghi, respirandone l'atmosfera.
Dopo essersi iscritti al sito si è in contatto con persone da tutto il mondo che offrono e cercano un alloggio gratuito per qualche notte. In cambio un vero scambio culturale con tutto quello che questo può comportare.
Questa è la nostra quarta notte a Manhattan da Mike che ci ha offerto un divano letto (e pure le lenzuola che noi manco quelle!) nel suo appartamento a quindici minuti a piedi da Times square. Non paghiamo nulla, la sera compriamo del cibo e cuciniamo anche per lui. La casa è relativamente pulita (e comunque mille volte meglio dell'ostello) e lui è veramente gentile.
Stasera ci ha invitato a vedere la prima puntata della quarta serie di Lost in un bar in zona, poi birra e free hot dogs da Rudy, dove si è svolto il dialogo sopra citato.
Couchsurfing iperconsigliato a tutti.
13 gennaio 2009
Ostelli
Come ogni biblioteca che si rispetti, anche ogni ostello ha i suoi matti. Se vi si passano più di tre giorni consecutivi li si distingue, dopo i cinque si rischia di farne la conoscenza.
A San Diego, ad esempio, c'era un soggetto vestito Asempre con pantaloni e canotta nera, con unghie di mani e piedi laccate, che passava le sue giornate su una poltrona a leggere.
L'ostello di Venice Beach era talmente pietoso che ci trascorrevamo meno tempo possibile. La cucina era impraticabile e i bagni tutt'altro che comodi. Tuttavia penso passassimo noi per gli anomali dato che eravamo tra i pochi a calpestare la lisa moquette con le scarpe e un certo schifo mentre gli altri ospiti vi si aggiravano incuranti a piedi scalzi: ma che anticorpi hanno gli stranieri?!
A conferma di ciò, riporto qualche battuta ascoltata la penultima sera. Ero davanti al pc e al mio fianco stava un tizio sui quaranta che parlava al telefono cercando di convincere una ragazza a stare con lui. Io, disinteressata scrivevo sui facebook-walls altrui. Ad un certo punto la sua insistenza attira però la mia attenzione e lo sento dire : “Think with your mind! What you want... not what your parents do want for you! Do you want to stay with me?... I'm not sure... Yes I love you. So do you like me? Why aren't you sure? ...if you are ok with our age difference, my story, my way of living, the fact that I was in jail...”. Ho finto di non sentire e continuato a battere i tasti con un “epperò” tra i denti.
Tra gli altri soggetti curiosi un italo brasiliano che pur essendo un ingegnere, lavorando per l'interpol e avendo conoscenze importanti pressochè ovunque stava in ostello... L'amico C. ha finito per credere a tutte le sue panzane contribuendo a incrementare lo standard di furbizia. Ancora qualche giornata e avrebbe persino creduto alla trovata da lui stesso ideata: col mio reale brother ha infatti pensato di essere geniale spacciandomi per la sorella di entrambi così da non dare dubbi sul rapporto che ci legava di fronte al gentil sesso.
Oggi finalmente sono riuscita a stirare, così da evitare lo stato da punkabbestia per la prossima settimana. A San Francisco ero arrivata infatti al punto che i barboni non mi chiedevano nemmeno più i soldi, e se lo facevano ad un mio scuotere del capo sorridevano, vedendo forse una futura collega.
Ha ragione mamma che devo bere il caffè seduta, altrimenti divento povera.
10 gennaio 2009
Pershing square L.A.
[...]
In the center of the park, a little self conscious of my evening clothes, I stopped to watch a typical Pershing Square divertissement: an aged and frowsy blonde, skirts held above her knees, cheered by a crowd of grimacing and leering old goats, was singing a gospel hymn as she danced gaily around fountain. Then it suddenly occured to me that, in all the world, there neither was nor would ever be another place like this city of Angels. Here the American people were erupting, like lava from a volcano; here indeed, was the place for me - a ringside seat at the circus.
Carey McWilliams 1946
in Southern California country
4 gennaio 2009
The american way
Pesci (19 febbraio - 20 marzo)
Cosa ti costerebbe collaborare con le forze del cambiamento? Ma non in modo rassegnato e risentito. Non con un senso di sconfitta, desiderando che tutto resti sempre uguale. E cosa dovresti fare, invece, per adattarti con entusiasmo ai cambiamenti in arrivo? Come potresti imparare a essere grato e felice per l’eterno fluire delle cose? Il tuo compito nel 2009, Pesci, sarà diventare un surfista esperto per cavalcare le magnifiche, allegre, gioiose onde della vita.
Le visite sono interessanti, ma anche in California dove fin'ora siamo prevalentemente stati non riesco a trovare quell'America letta in certi libri e vista in certi film. Gli States che desidero visitare fanno dunque parte solo di quella subculture che come turista non riesco a scovare? Non sono l'unica a provare queste sensazioni, mio fratello ha confessato di essere deluso nonostante sia contento del viaggio.
Per ricapitolare le tante miglia percorse.
Il giorno dopo Grand Canyon con la neve. Guidare nel deserto ha dato soddisfazione, limitarsi a vedere gli ammassi rocciosi coperti di neve, da un sentiero in mezzo ad altri turisti infreddoliti che come noi avevano pagato 25 $ per avere accesso al parco, meno.
Terza tappa Los Angeles dove abbiamo festeggiato Natale in un American bar a fish and chips. Il maltempo ci ha seguito e nello squallido ostello dove abbiamo alloggiato è mancata l'acqua calda per i primi tre giorni. Due docce in cinque giorni e dormito quasi vestita, ma L.A. m'è piaciuta. Le vie principali di downtown ospitano bei grattacieli da tipica città statunitense mentre altre aree fanno desiderare una vacanza estiva.
Il nostro alloggio era a Venice Beach, posto carino, ma particolare, forse quartiere alternative e non particolarmente ricco dato i personaggi che l'hanno affollato nel primo giorno di sole.
Col bel tempo l'indice di apprezzamento è sicuramente aumentato e finalmente c'era aria da "sognando California".
*Qui sono sulla spiaggia di Venice Beach nel giorno che ritengo il migliore sin'ora. Sole e mare hanno permesso una felice rilassatezza. Inizio a pensare che per la mia salute psicofisica mi dovrei trasferire al mare.
A qualche miglia di distanza Santa Monica e Beverly Hills, quest'ultimo è veramente bello. Sicuramente ricco, ma non kitsch come invece lo è Holliwood che mi ha lasciato quantomeno perplessa. Inoltre Beverly hills è stato l'unico posto dove ho sentito forte l'atmosfera natalizia, in tutte le altre città, infatti, gli addobbi erano minimi e miseri.
E se i pesanti lampadari sistemati sulla via principale di Beverly hills erano forse un po' eccessivi, li ho comunque preferiti al nulla di altre zone o all'atteggiamento "politically correct" della DePauw university che per non rischiare di offendere chi non è cristiano ha deciso di eliminare le decorazioni. Infatti prima di partire, nel midwest più conservatore quasi nessuno mi ha augurato Merry Christmas, ma Good holidays. E davanti al mio Why? mi è stato fatto notare che Christmas contiene il nome Christ. Le assurdità di questo paese vanno ingigantendosi ai miei occhi.
Le prossime tappe sono Miami, New Orleans e New York, ma potrei scrivere ancora a lungo sulle citta' visitate e insieme potrei unirci tanto altro come ho appena fatto in questo post che perde il capo e la coda, ma pazienza: this is the American way guys!