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28 febbraio 2009

Enjoy

Gran Torino




Produzione: Double Nickel Entertainment, Gerber Pictures, Malpaso Productions, Village Roadshow Pictures, Warner Bros

Paese: USA 2008



The Visitor (L'ospite inatteso)
Sceneggiatura: Thomas McCarthy
Attori: Hiam Abbass, Amir Arison, Danai Jekesai Gurira, Richard Jenkins, Maggie Moore Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Oliver Bokelberg
Montaggio: Tom McArdle
Musiche: Jan A.P. Kaczmarek
Produzione: Groundswell Productions, Next Wednesday Productions, Participant Productions

Paese: USA 2007


Forse perché ho rischiato di perdere il visto e mi sono sentita minacciare di allontanamento forzato dagli Stati Uniti.
Forse perché ho provato se pur in modo blando la condizione dell'immigrato: la semplice percezione di non capire (e non solo a livello linguistico) e la frustazione di non essere presa in considerazione. Lo shock culturale. Il nervosismo davanti allo sguardo compiaciuto e compassionevole di chi è convinto di offrirti la luna, mentre a te pare di averla appena lasciata e ti trattieni dall'urlare che speri di non diventare mai come loro.

Pensieri sparsi, incazzature, amarezze. E sono italiana: ho una casa e una famiglia dove tornare.
Ho iniziato a guardare la realtà da prospettive che mai avrei immaginato e ho aperto gli occhi. Questi due film, entrambi americani e tutti due sul medesimo argomento sono l'ennesima conferma di quanto sto, forse per la prima volta, osservando.


Gran Torino
parla dell'immigrazione negli Stati Uniti tessendo una storia tremenda e toccante che offre squarci di vita quotidiana ai margini di una grande città americana del Midwest (forse Detroit) dove vivono soprattutto, ma non solo, immigrati di vecchia e nuova generazione.
L'aver parlato con un professore, una donna che lavora alla DePauw ed è per metà messicana e alcuni studenti, mi ha reso la visione ancora più cosciente.
Credo, infatti, che su queste tematiche, noi italiani, dovremmo guardare agli Stati Uniti : non ripetere i loro errori. I problemi legati all'immigrazione che noi andiamo scoprendo sono qui parte integrante della storia, quale migliore grande fratello? Perché ci si limita sempre solo alle analisi economiche?
Ad esempio, da qualche anno, anche nelle grosse città italiane si sono formate le gang di ragazzi ispanici, asiatici... Cosa fare? Dal film emerge chiaramente come la speranza di un lavoro e la dignità possano salvare. In primis però bisogna garantire l'istruzione. La scuola è fondamentale. Perché se no Obama vuole dare la possibità a tutti di accedervi? Da noi si fa come i gamberi...

Credo che molte delle nostre difficoltà e i tanti dubbi derivino dal fatto che siamo sempre stati abituati a considerare l'Italia terra di emigrati non il contrario. Soliti ad essere solo italiani tra italiani. I pochi stranieri fino almeno un quindici, vent'anni fa erano guardati in modo quasi esotico. Ora che le cose sono cambiate i nuovi inquilini sono genericamente clandestini. Ma cosa significa essere clandestino?

Il film The visitor pone allo spettatore questa domanda. La trama è semplice, la vicenda cade in un quotidiano che ci è contiguo, ma che non realizziamo. La risposta è forse un'altra domanda. "Cos'è un permesso di soggiorno? Quale unzione ti permette di concedermelo o meno? Cosa ti dà il diritto di cacciarmi da un territorio? Forse perché sei nato qui? E i tuoi genitori pure? E i tuoi nonni? I bisnonni... non lo sai più? Ma se anche, cosa ti fa pensare di poter disporre della mia di vita?"
Consiglio il film perché semplifica il fatto in modo magistrale dando una visione chiara dell'assurdità che io non riesco a spiegare.

Naturalmente è altro il discorso per chi commette dei crimini, ma in quel caso non si parla più di clandestinità, bensì di criminalità e il trattamento dovrebbe essere uguale per tutti, senza buonismi e cadute in prescrizione...
Scrivo queste righe dopo aver ascoltato tante notizie tragiche sia per gli italiani (i tg sembrano bollettini di stupri), sia per gli stranieri (mi viene in mente Rumesh, il giovane ragazzo cingalese di Como a cui un vigile ha sparato perché non si era fermato all'alt) e credo che la soluzione non stia in banali reimpatrii. Mi stupisco, ogni volta come se fosse la prima, davanti alla comune cecità blindata che non permette di vedere come alla radice del problema ci sia un sistema economico globale malato, basato sullo sfruttamento guarda caso proprio di quelle zone da cui i cosiddetti clandestini provengono.
Sintanto che la politica economica procederà in questo modo non illudiamoci di vedere diminuire il flusso di arrivi in Italia, nonostante i populistici annunci pro securitate.
Tanto vale trovare soluzioni alternative e arricchirsi scoprendo il futuro vicino. Nel mio piccolo posso dire che, nonostante i dubbi iniziali, gli immigrati seduti nelle mie classi italiane l'anno scorso, non hanno mancato di dare importanti contributi.

Enjoy.

30 settembre 2008

Bigiata proficua

Lunedì mattina (cioè ieri per onor di cronaca) arrivo alla lezione con i miei frequenti dieci minuti di ritardo. Mi siedo, apro con fatica la borsa e simulo attenzione. Si sta discutendo dell'argomento trattato nel capitolo assegnato: Marijuna (da The Botany of Desire di M.Pollan). Pur essendomi limitata alle prime pagine cerco di dare prova del contrario: rispondo mea sponte a banali domande di cui già conosco le risposte, a prescindere dal testo. Ho un attimo di titubanza quando con forse eccessiva sfacciataggine chiedo la definizione di un termine che non so ritrovare tra le righe. L'insegnante tenta comunque di darmi una risposta e non si capisce se sia riuscita a "ingannarla" o semplimente avalli il tranello.

Terminata la noiosa ora di farsa, decido che ho troppo sonno per un'ora di letteratura sulle balene (n.d.r. American Writers, nello specifico Melville). Il caso vuole però che quel corso si tenga nel medesimo edificio, dunque, devo evitare il professore. Mi spiacerebbe bigiargliela in faccia dato che è gentile e simpatico.

Colgo l'occasione per andare in bagno, esco, aspetto altri cinque minuti circa. Sono le 10.33, ormai do per scontato che stia appoggiando i libri sulla cattedra. Così mi dirigo all'uscita. Dalla porta di vetro, della quale mi rallegro, lo scorgo avvicinarsi, capo chino. Non sto nemmeno a pensarci: giro i tacchi e fuggo (letteralmente) dal lato posteriore.

Finalmente libera mi avvio verso casa, ma arrivata al viale noto il docente del corso di migrazioni, abbandonato sin dall'inizio. E' un anarchico filozapatista a cui ho recentemente scritto scusandomi per la scomparsa, in fondo le sue idee mi piacevano.
Tuttavia una mail non è ancora sufficiente: se si decide di non seguire più una classe (come dicono qui) si è costretti a una noiosa trafila burocratica che ancora non ho portato a compimento per nessuna lezione.
Meglio evitare anche lui dunque. Penso "mi... che sfiga... - e poi - un classico per me".

Dunque invece di svoltare a destra prendo la strada di sinistra e mi trovo davanti al cinema. Stasera danno la "Lolita" di S. Kubrick del 1962. Spettacolo gratuito. Mi rallegro. Tra l'altro dovrei uscire con un amico e almeno ho qualcosa da proporre.

LOLITA

Paese: Gran Bretagna
Anno: 1962
Durata: 153'
Colore: B/N
Genere: drammatico
Regia:
Stanley Kubrick
Soggetto: Vladimir Nabokov (romanzo)
Sceneggiatura: Vladimir Nabokov

Ho già visto la versione di Adrian Lyne del 1997, appena uscita in Italia. Non mi era dispiaciuta allora, ma ricordo di aver provato un grande senso di smarrimento. Dunque decido seduta stante di godermi la versione di Kubrick. Alle 7.30 (qui è tutto anticipato) sono seduta in una vecchia sala cinematografica e, mentre un forte odore di melassa mischiata a popcorn pervade le mie narici, scopro di essere finita al primo appuntamento (perlomeno dell'anno) di un cineforum che promette altre interessanti opere.

Il film è abbastanza lungo, ma nonostante manchino le scene di sesso, il modo di presentare la vicenda è sufficientemente ammiccante e forse anche più coinvolgente e ironico insieme.

Insomma mi compiaccio della bigiata che ho aspettato ventisett'anni a fare (ok all'università, ma da noi è un'altra cosa).

28 settembre 2008

Questione non solo di Forma

ROMANZO CRIMINALE

Paese: Italia/Francia/Gran Bretagna
Anno: 2005
Durata: 152'
Genere: noir, poliziesco, drammatico
Regia: Michele Placido
Soggetto: Giancarlo De Cataldo (romanzo)
Sceneggiatura: Giancarlo De Cataldo, Sandro Petraglia, Stefano Rulli


Siccome sabato sera volevo rilassarmi, ho deciso di cercare fra i film (che qui devo definire movies altrimenti non mi capiscono) un lavoro italiano. Ne hanno pochi e per la maggior parte visti, tuttavia "Romanzo criminale" mi mancava e devo dire che mi è piaciuto. Se all'inizio si rifa a un genere gangster di stile americano (di quello alla Scorsese però) e verso la metà scivola un po' troppo in sentalismi, forse poco credibili, descrivendo l'attrazione che lega il commissario a Patrizia (prostituta e fidanzata con uno dei protagonisti malavitosi) nel complesso è un bel film che non manca di mostrare la sua anima italiana.

Mentre me ne tornavo a casa dopo la visione, infatti, pensavo all'attitudine che contraddistingue l'atteggiamento nostrano da quello che sto osservando qui. Un modo di porsi che credo si possa riscontrare su molteplici livelli e che si ripercuote anche nelle attività professionali, nell'insegnamento, come pure nell'arte deduco: nel cinema in questo caso.
Gli americani, già lo si sapeva sono maledettamente informali e uso l'avverbio non a caso perché, dopo un mese e mezzo, l'eccesso inizia a storpiare, soprattutto quando, a questa semplicità, non segue il tanto decantato "take it easy" (ma questo meriterebbe una riflessione a parte che non mancherò di rendere nota) ed è totalmente sconosciuta la flessibilità (come già accennato).
Al contrario la nostra cultura ci porta a prestare grande attenzione anche alla forma. Pratica difficile da tollerare quando diventa mero formalismo (espediente che consente agli scaltri di far risaltare contenuti minori), ma a mio parere di vitale importanza per dare compiutezza all'impegno messo nel lavoro svolto, nel perseguire uno scopo, nel mostrare l'importanza di un avvenimento o un concetto. C
redo quindi che questa attenzione serva a sottolineare ciò che facciamo o diciamo.
Insomma, per parlare come si mangia: noi ci prendiamo sul serio, può darsi anche troppo talvolta. Gli americani, invece fanno l'esatto opposto: sembra stiano sempre a cercar battute: magari perché devono rallegrarsi le giornate (è un'ipotesi come un'altra).

Noi, più o meno consapevolmente, utilizziamo tutta la nostra storia per arrivare a definire ciò che siamo, quello che facciamo. "Siamo nani sulle spalle di giganti" e mai ci permetteremmo di prendere alla leggera le fondamenta e gli appigli grazie ai quali siamo saliti così in alto. Perciò "Romanzo criminale" è italianissimo: non è un semplice film di gangster, ma ripercorre venticinque anni di storia italiana con immagini d'archivio del rapimento di Moro, della strage alla stazione di Bologna, del tentato omicidio a Giovanni Paolo II e altro ancora. E a chi dopo aver letto il Morandini mi facesse notare che Placido si è ampiamente ispirato alle opere di Scorsese, giro la domanda: che origini ha Scorsese? Su quali film si è formato? Ce lo dice lui stesso col documentario Il mio viaggio in Italia (2000).

La prima volta che la sensazione descritta, che fino ad allora era stata catalogata tra le impressioni, ha preso corpo (forma non a caso) è stato in occasione di un incontro all'università con Madeleine Albright, primo segretario di Stato donna durante il secondo mandato del presidente Bill Clinton. Un personaggio con un curriculum vitae da far strabuzzare gli occhi che, dopo essere stata brevemente introdotta, ha raccontato la sua vita, dalla nascita ad ora. Pur essendo cresciuta in una famiglia benestante ha dovuto superare i disagi della guerra e la provenienza ebraica e chissà quante altre difficoltà, tuttavia il racconto della sua biografia è stato costellato di aneddoti più o meno divertenti (e non particolarmente difficili da cogliere se anch'io col mio inglese li ho capiti) che non hanno mancato di suscitare risate. In uno splendido auditorium dai colori caldi del legno, mentre sorridevo pure io, stretta nella poltroncina rossa per il freddo del solito impianto d'ibernamento, mi chiedevo se una tal presentazione non sminuisse l'evento, ma soprattutto lei stessa. Perché è vero, e noi italiani lo dovremmo imparare, che in fondo siamo tutti uomini e donne con le medesime esigenze primarie, ma davanti a certi personaggi bisogna rendere merito, di fronte a certe carriere rimanere attoniti, ascoltare.

Mi domandavo pure quale fosse il fine. L'intrattenimento? Si considerano un'orda che deve essere intrattenuta? Panem et circenses in ogni occasione? A giudicare da alcune lezioni a cui ho dovuto assistere la testa annuisce senza che riesca a fermarla. Al corso sul governo americano mi sono dovuta sorbire una sorta di cartone animato che spiegava i diritti fondamentali acquisiti con la rivoluzione americana ('na roba agghiacciante). Ma la chicca è giunta venerdì scorso, il professore di letteratura americana entra in classe con dei libri sopra i quali ha impignato diverse balene di plastica, riproduzioni relativamente precise appartenenti al figlio, come mi ha poi spiegato. Non vorrei sembrare presuntuosa, soprattutto date le difficoltà che sto riscontrando nello studio (qui non ci riesco proprio), ma devo ammettere che certi episodi sono lungi dal coinvolgermi... Anzi, se penso alle noie che mi danno relativamente a: obbligo di frequenza, acquisto libri e svolgimento dei compiti assegnati, non fanno che accrescere la mia vis polemica...

Fortunatamente il professore di letteratura è un tipo simpatico e flessibile che pare sappia il fatto suo, altrimenti quella balena bianca gliela spaccavo in testa.

*la balena bianca, nella foto sopra il mio libro preso in prestito in biblioteca, non è Moby dick. Il tipo di balena a cui Moby Dick appartiene è solitamente grigio, ci ha mostrato anche quello.

13 settembre 2008

Senza parole

TROPIC THUNDER
Regista:Ben Stiller
Writers (WGA):Ben Stiller (screenplay) & Justin Theroux (screenplay)
Data di uscita:13 agosto 2008 (USA)
Genere:
Action Adventure Comedy

Fosse anche l'ultima cosa che vi rimane da fare: non fatela, non andate a vedere questo film.
La persona che mi ci ha portato, imbarazzata, alla fine sorridendo ha affermato: "Welcome to America...".
Sicuramente la mia conoscenza dell'inglese ha reso la visione più complicata, molti dialoghi usavano lo slang e di questi riuscivo a comprendere solo le decine di fuck e affini che gli attori continuavano a ripetere. Tuttavia non mi so spiegare perché le rare scene che hanno provocato in meno una sommessa risatina non hanno avuto lo stesso effetto sugli altri spettatori che, al contrario, si sono sbellicati in modo piuttosto rumoroso, proprio nei momenti che io ho trovato più intollerabili.
Da domani andrò a consultare la videoteca dell'Università: guardando i trailer trasmessi prima del film non credo ci sia altra soluzione. A peggiorare la già orrenda visione, inoltre, hanno pure trasmesso il video di propaganda militare statunitense. Non capendo bene di cosa si trattasse ho chiesto al mio accompagnatore "Is it ironic?", ha scosso la testa. Appena lo trovo, ve lo posto... Senza parole...