Dopo un intero percorso negli States non è più necessario tornare a descrivere le caratteristiche che ci differenziano dagli americani, se avete letto i post precedenti sapete bene cosa intendo, se avete altre o ulteriori idee mi piacerebbe saperle perché l'osservazione e la comparazione è diventato ormai il mio hobby preferito.
Stando qui ho cercato di non rappresentare la "classica italiana" in vacanza che più o meno consapevolmente sostiene il: "in Italia è sempre (o ultimamente "nonostante tutto") meglio..."
Anche se non lo sappiamo siamo un popolo di orgogliosi, l'orgoglio della bella italia e della sua grande cultura come mi hanno fatto notare V. e A. ridicolizzando la mia scoperta (cfr. to be or not to be proud 1).
Infatti, anche se noi italiani non facciamo altro che lamentarci (in casa e fuori), considerarci arretrati e facciamo ancora fatica a pronunciare la parola patria o peggio ad esibire la bandiera (anzi esponiamo quella altrui minacciando la fuga!), in realtà noi questo strano e maledetto paese lo amiamo.
A darne prova non è solo Lapo Elkan che ha fatto altri soldi con le sue felpe ITALIA o ancor peggio FIAT (dopo che l'abbiamo sostenuta per generazioni con le nostre tasse dovrebbero regalarci una cinquecento, non venderci la maglietta!), bensì scrittori e registi che ne analizzano la storia e molti cantautori.
Mi sono resa conto di quante canzoni siano state scritte sul bel paese da italiani solo stando qui. La nostalgia mi ha portato a scoprire cantanti e canzoni che da anni parlano dell'Italia, la criticano e in fondo la celebrano come forse non accade in nessun altro paese.
Così mentre pensiamo la fuga già progettiamo il ritorno.
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Tra gli esempi cantati che ho in mente ci sono i seguenti presi qua e là cercando di seguire un ordine. Ma altri se ne potrebbero trovare. L'Italiano di Toto Cotugno (la preferita del mio coinquilino); Aida di Rino Gaetano; Viva l'Italia di Francesco De Gregori; Quarant'anni dei Modena City Ramblers; Por Italia di Davide Van De Sfroos; Bella Italia dei Tre allegri ragazzi morti; Buona notte all'Italia di Luciano Ligabue (sebbene sia un tentativo a mio parere molto malriuscito) e tra gli ultimi gli Afterhours che non solo hanno portato al festival di San Remo un testo su "Il paese reale" (che lascia perplessi al primo ascolto, ma mostra un certo valore poi), ma hanno pubbicato coinvolgendo molti nomi della scena indie un album che lo descrive.
Intanto in America non ne parlano. Però provano a raccogliere i cocci.
Parlare della crisi, in America, oggi è un vero e proprio tabù. Ho provato a discutere con loro, soprattutto con i giovani. E la reazione era sempre la stessa: risposte generiche, mezze frasi, scarsa voglia di parlarne.
In gennaio a New York faceva freddissimo: non c'erano ambulanti per le strade. Ora che il clima inizia a mitigarsi, non si vedono comunque molte bancarelle agli angoli delle vie, nemmeno nelle giornate più calde.
Una donna keniota espone della bigiotteria e spiega che parecchi venditori erano soliti ritrovarsi in quel punto, ma a poco a poco hanno lasciato, sono rimasti solo in due. - A causa della crisi la gente non acquista più, e così facendo - aggiunge - va sempre peggio -. La società capitalistica statunitense, infatti, aveva abituato i propri cittadini ad uno shopping frequente, nonostante il paese ormai da anni non produca più nulla, ma si basi sull'importazione di prodotti. Ora la crisi, provocata anche da questo sbilanciamento, inizia a modificare l'atteggiamento degli americani. La gente sta perdendo il lavoro, a tutti i livelli, quindi potere d'acquisto e molto altro: negli Stati Uniti aumenta considerevolmente il numero di persone che non ha l'assicurazione sanitaria per esempio e, da quando la bolla legata ai mutui è rovinosamente esplosa, la casa. Tra i motivi della crisi partita dagli Stati Uniti vi è, infatti, proprio l'eccessiva flessibilità del mercato immobiliare. Le banche elargivano prestiti facilmente agli acquirenti anche con situazioni instabili o precarie. I tassi erano favorevoli perché gli operatori finanziari erano sicuri che i prezzi sarebbero andati aumentando e il guadagno sarebbe stato continuamente garantito. Un amico che lavora per una società di investimento ha cercato di darmi una spiegazione semplice di quanto è accaduto. Un ipotetico Sig. Doherty poteva, per esempio, decidere di acquistare una casa chiedendo un mutuo che gli veniva concesso al tasso X. Qualche giorno dopo lo stesso Sig. Doherty scopriva un'altra compagnia che gli avrebbe coperto interamente la spesa garantendogli un tasso più basso. La fiducia nel mercato garantiva al sig. Doherty di evadere il primo mutuo, contraendo un debito con il secondo investitore. Questi passaggi potevano continuare e andavano a gonfiare la cosiddetta bolla del mercato immobiliare, basata su mere speculazioni e non sul valore effettivo degli immobili. L'estrema fiducia nel mercato consentiva, inoltre, alle banche di attuare manovre di securitization (cartolarizzazione). Iniziate nel 2000 queste manovre hanno permesso alle banche di concedere molti mutui (i cosiddetti mutui subprime) perché grazie alla cartolarizzazione potevano rivendere i mutui ad altre istituzioni finanziarie, le società veicolo, liberandosi dal rischio di non ricevere più rate. La società veicolo lucrava da questi passaggi emettendo delle obbligazioni legate ai mutui. Quando il mercato ha iniziato a incrinarsi la realtà è venuta allo scoperto insieme a una crisi che ha portato gli operatori finanziari a correre ai ripari. La flessibilità che domina in ambito lavorativo ha permesso ai datori di lavoro in difficoltà di lasciare a casa da un giorno all'altro i propri dipendenti. Questo atteggiamento, che continua, ha fatto scivolare vorticosamente la situazione sempre più in basso. Il tasso di disoccupazione ha ultimamente raggiunto l'8,1%, i disoccupati sono 12,5 milioni: almeno quattro di questi hanno perso il posto negli ultimi mesi. Si dice che saranno necessari almeno 2/3 anni per uscire dalla crisi. Le banche che sono andate in bancarotta hanno licenziato in maniera selvaggia. Tuttavia gli americani non disperano: malgrado la paura sia tanta, riescono a contenerla dietro un ottimismo perlomeno di facciata. Ho chiesto ad ex bancario di ventisette anni cosa farà ora che da qualche settimana ha perso il lavoro, se è preoccupato. Ha risposto che aveva un buon posto, qualcosa ha messo via. Sta cercando altro. Non è pessimista, ma non sorride. Almeno per ora può comunque continuare a pagarsi casa. Ora, infatti, nonostante gli affitti siano scesi di un buon 25%, molte persone sono costrette a cercare un alloggio più economico. Anche lontano dalle grandi metropoli la crisi non manca di far parlare di sé e influire in modo diretto. Molte le università che hanno tagliato il personale gravando i docenti di ruolo con l'insegnamento di più classi per il prossimo anno. E d'altra parte chi ha un posto sicuro se lo tiene ben stretto e non si lamenta certo del maggiore carico di lavoro. Un professore mostra preoccupazione affermando che anche dove lavora, in una piccola università dell'Indiana, frequentata prevalentemente dalla middle e upper middle class, per l'anno prossimo si prevede un numero notevolmente inferiore di iscrizioni. Perciò la politica di risparmio del campus è già iniziata riducendo alcuni servizi offerti agli studenti. È appena stato comunicato, ad esempio, che il servizio gratuito di shuttle per il supermercato del lunedì e giovedì è stato ridotto ad una sola volta a settimana. Dice, inoltre, che molti saranno i lavoratori del settore automobilistico che perderanno il posto e quindi la possibilità di garantire ai propri figli l'istruzione universitaria. Frequentare il college è negli Stati Uniti un vero privilegio e se non si ha un reddito medio alto (o la fortuna di una borsa di studio) è impossibile pensare di accedervi. Le uniche attività che non sono state danneggiate sono quelle che in tempi di crisi fanno consulenza e riescono a lucrare sui cattivi investimenti altrui. Tuttavia gli americani non si lamentano: hanno la percezione che in Europa la situazione sia persino peggiore e ripongono una grande speranza nel nuovo presidente.
da L'Ordine (quotidiano del comasco), 18 marzo 2009
*L'articolo è mio: l'ho scritto su richiesta di un amico ed è stato pubblicato in toto. Ho cercato di raccogliere varie informazioni, ma le testimonianze dirette sono state difficili da reperire: perciò quelle righe (da me indicate in corsivo) in apertura rubate da un dialogo via facebook.
La sera dopo durante una cena con un paio di anziane coppie qualche aneddoto in realtà è uscito, ma la situazione generale è quella indicata.
Gli americani parlano di: sport, tempo, televisione... questo quello che più di uno studente ha risposto all'ovvia domanda "Ma se non parlate di politica (in senso lato)... di che parlate???"
Forse perché ho rischiato di perdere il visto e mi sono sentita minacciare di allontanamento forzato dagli Stati Uniti.
Forse perché ho provato se pur in modo blando la condizione dell'immigrato: la semplice percezione di non capire (e non solo a livello linguistico) e la frustazione di non essere presa in considerazione. Lo shock culturale. Il nervosismo davanti allo sguardo compiaciuto e compassionevole di chi è convinto di offrirti la luna, mentre a te pare di averla appena lasciata e ti trattieni dall'urlare che speri di non diventare mai come loro.
Pensieri sparsi, incazzature, amarezze. E sono italiana: ho una casa e una famiglia dove tornare.
Ho iniziato a guardare la realtà da prospettive che mai avrei immaginato e ho aperto gli occhi. Questi due film, entrambi americani e tutti due sul medesimo argomento sono l'ennesima conferma di quanto sto, forse per la prima volta, osservando.
Gran Torino parla dell'immigrazione negli Stati Uniti tessendo una storia tremenda e toccante che offre squarci di vita quotidiana ai margini di una grande città americana del Midwest (forse Detroit) dove vivono soprattutto, ma non solo, immigrati di vecchia e nuova generazione.
L'aver parlato con un professore, una donna che lavora alla DePauw ed è per metà messicana e alcuni studenti, mi ha reso la visione ancora più cosciente.
Credo, infatti, che su queste tematiche, noi italiani, dovremmo guardare agli Stati Uniti : non ripetere i loro errori. I problemi legati all'immigrazione che noi andiamo scoprendo sono qui parte integrante della storia, quale migliore grande fratello? Perché ci si limita sempre solo alle analisi economiche?
Ad esempio, da qualche anno, anche nelle grosse città italiane si sono formate le gang di ragazzi ispanici, asiatici... Cosa fare? Dal film emerge chiaramente come la speranza di un lavoro e la dignità possano salvare. In primis però bisogna garantire l'istruzione. La scuola è fondamentale. Perché se no Obama vuole dare la possibità a tutti di accedervi? Da noi si fa come i gamberi...
Credo che molte delle nostre difficoltà e i tanti dubbi derivino dal fatto che siamo sempre stati abituati a considerare l'Italia terra di emigrati non il contrario. Soliti ad essere solo italiani tra italiani. I pochi stranieri fino almeno un quindici, vent'anni fa erano guardati in modo quasi esotico. Ora che le cose sono cambiate i nuovi inquilini sono genericamente clandestini. Ma cosa significa essere clandestino?
Il film The visitor pone allo spettatore questa domanda. La trama è semplice, la vicenda cade in un quotidiano che ci è contiguo, ma che non realizziamo. La risposta è forse un'altra domanda. "Cos'è un permesso di soggiorno? Quale unzione ti permette di concedermelo o meno? Cosa ti dà il diritto di cacciarmi da un territorio? Forse perché sei nato qui? E i tuoi genitori pure? E i tuoi nonni? I bisnonni... non lo sai più? Ma se anche, cosa ti fa pensare di poter disporre della mia di vita?"
Consiglio il film perché semplifica il fatto in modo magistrale dando una visione chiara dell'assurdità che io non riesco a spiegare.
Naturalmente è altro il discorso per chi commette dei crimini, ma in quel caso non si parla più di clandestinità, bensì di criminalità e il trattamento dovrebbe essere uguale per tutti, senza buonismi e cadute in prescrizione...
Scrivo queste righe dopo aver ascoltato tante notizie tragiche sia per gli italiani (i tg sembrano bollettini di stupri), sia per gli stranieri (mi viene in mente Rumesh, il giovane ragazzo cingalese di Como a cui un vigile ha sparato perché non si era fermato all'alt) e credo che la soluzione non stia in banali reimpatrii. Mi stupisco, ogni volta come se fosse la prima, davanti alla comune cecità blindata che non permette di vedere come alla radice del problema ci sia un sistema economico globale malato, basato sullo sfruttamento guarda caso proprio di quelle zone da cui i cosiddetti clandestini provengono.
Sintanto che la politica economica procederà in questo modo non illudiamoci di vedere diminuire il flusso di arrivi in Italia, nonostante i populistici annunci pro securitate.
Tanto vale trovare soluzioni alternative e arricchirsi scoprendo il futuro vicino. Nel mio piccolo posso dire che, nonostante i dubbi iniziali, gli immigrati seduti nelle mie classi italiane l'anno scorso, non hanno mancato di dare importanti contributi.
Se pur da lontano mi unisco all'INDIGNAZIONE di questi giorni sul caso Englaro che mostra per l'ennesima volta l'atteggiamento di un governo che non ho più parole per definire: tutto il peggio. Ma veramente ogni stato si merita i politici che ha???
Purtroppo non mi sono iscritta alla lotteria per la green card ed ora i termini sono scaduti (davanti a taluni fatti è facile trovarsi certe idee in testa. AMAREZZA).
Come poi lamentarsi se gli stranieri pensano a noi solo in termini truffaldini? Ecco l'intervista (se così si può chiamare) di un giornalista della nota tv americana Cnbc a Giulio Tremonti.
Già il titolo potrebbe essere esaustivo: Don't Mention the Italian Economy CNBC's Geoff Cutmore spoke to Italian Finance Minister Giulio Tremonti at the World Economic Forum in Davos in Switzerland, but when the subject turned the Italian economy the interview was abruptly ended.
Per chi come me ama l'Italia in modo che ora mi sento di definire autolesionista, il video.
Cosa mi piace degli Stati Uniti è un post su commissione. Non che mi paghino per scriverlo (già molto che non debba pagare io per caricare parole in rete!), ma è stato richiesto da un amico che mi ha accusata di essere antiamericana... Nonostante credo la definizione sia stata data più con vis polemica che raziocinio, raccolgo volentieri l'invito.
New York. Questa città mi è piaciuta, ho apprezzato tanto anche New Orleans. Sono città vive, dove ci sono i caffè per trovarsi e i locali nei quali sentire musica. Tuttavia ci sono stata poco, soprattutto a New Orleans e l'opinione risulta parziale. Nella grande mela ho trascorso una settimana. Finalmente una città vera: un luogo dove poter trovare di tutto, fare di tutto. Immensa, ma ben collegata dai mezzi. Un luogo dove perdersi, nascondersi, ritrovarsi. Io ci ho vagabondato stanca sperando di tornarci.
Mi avevano detto che avrei visto la frenesia fatta carne, invece ho semplicemente ritrovato un po' d'atmosfera europea a cui già ero abituata. A Milano ne ho visto esempi peggiori, e la stessa DePauw University con la sua inutile pretesa pianificatrice è a mio avviso persino più estenuante.
Ma devo dire quel che mi piace. In prima posizione metto la semplicità e la gentilezza degli americani. Iniziare a chiacchierare col vicino mentre si aspetta l'aereo, o conoscere l'avventore del bar o del ristorante accanto al quale siamo seduti è molto comune.
A New Orleans ad esempio abbiamo conosciuto un professore universitario di psichiatria che stava cenando su un tavolo adiacente al nostro, alla fine ci ha dato il suo indirizzo mail; a Manhattan un amico del nostro ospite (un colombiano nato e cresciuto negli States) ci ha mostrato per un'intera giornata la città, offerto il pranzo e pagato i venti dollari a testa per salire sul Rockfeller center. Nonostante versasse in condizioni tutt'altro che floride, non c'è stato verso di rifiutare.
E non ci si dà del Lei, non esiste (qualcuno mi ha detto ci fosse, tuttavia ora non si usa). Con la gentilezza che conviene ci si rivolge allo stesso modo al professore, al compagno di classe, al medico e all'autista del bus. E se è vero che alle volte mi smarrisco in questa abitudine e vorrei trovare modi più ossequiosi per taluni soggetti, arrivo alla conclusione che il rispetto non si misura sulla base di un pronome.
Insieme alla facilità di relazione, c'è una certa noncuranza verso l'abbigliamento che di sicuro preferisco all'ossessione nostrana. Tuttavia sapendo dove e quando andarci è facile trovare pure abiti e accessori dignitosi e di marca a prezzi ridotti.
Non vi dico lo sconcerto quando in pieno centro a New York sono andata da Daffy's dove, insieme ad altri indumenti dell'italianissima Deha, ho notato un paio di pantaloncini simili a quelli acquistati l'estate scorsa a Milano con un esborso di oltre quaranta euro. Il cartellino Daffy's price aveva un ammonto di soli tredici dollari. Certo però i capi non sono dell'ultima stagione né ben disposti... Invidia!!!
L'idea che la legge vada rispettata è fondamentale nella mente degli americani. Poi non lo so se lo facciano, i furbi ci sono ovunque però perlomeno non vanno in giro a vantarsi per le truffe realizzate! Anzi la maggior parte delle persone mostra sgomento all'idea di trasgredire la norma. Più di una volta ho sorriso... più di una volta avrei pure mozzato il capo al mio interlocutore per la rigidità e la ristrettezza mentale mostrata in termini legislativi burocratici.
Altro apprezzamento va alla stima che nutrono verso la propria classe politica. Assodato che George Bush sia stato il peggior presidente degli Stati Uniti e un idiota, ora i democratici incontrati nutrono una speranza verso l'uomo e il politico Barack Obama che in Italia non ho mai visto nè vagamente ipotizzato (e forse non è difficile capirne il perché).
Mi sto abituando alla fantastica comodità della rete: qui è piuttosto semplice trovare una rete-wireless non protetta da poter usare e la gente legge quotidianamente la posta e risponde subito alle mail.
Come anche in Germania, anche qui ci si porta caffè e tè appresso. Pratica che già avevo importato persino nella biblioteca comasca. Tuttavia gli americani non hanno grandi thermos come gli Alemanni, ma capienti tazze col tappo, da cui bere direttamente.
Non ho resistito: è stato l'ultimo acquisto.
Altra libertà "inappagabile": si può mangiare quasi ovunque. Per le strade la gente mangia qualsiasi cosa. Ok è vero, non sempre è un bello spettacolo...
I bagni. La maggior parte dei bagni pubblici sono puliti e provvisti di carta. Evito l'ovvia comparazione.
Infine, ma di questi tempi, dovrebbe essere la prima, l'attitudine che le persone mostrano di fronte alla possibilità di perdere il lavoro o una posizione economica raggiunta. Ricominciano.
La mancanza di uno stato sociale, una visione improntata ad apprezzare la "capacità di farsi da sé" che è intrinseca alla storia di questo stato (nella sua accezione positiva, ma spesso anche negativa: esaltazione del self made man, di colui che ha successo economico), un mercato del lavoro molto più mobile (come i licenziamenti anche le asssunzioni sono più semplici) sono, credo, tra i principali fattori di questo atteggiamento.
Non so se siano maggiori i pro o i contro (o forse un'idea ce l'ho e la si può immaginare) ma penso che noi italiani dovremmo guardarne il lato positivo e capire che si può cambiare, ci si può spostare. Si deve provare e, se si cade, gambe e braccia ci faranno rialzare.
Quest'ultima constatazione apre confronti immensi che sento constantemente ripetere quando guardo la tv italiana in rete. Non si fa altro che guardare agli States eppure non è tutto oro quel che luccica e noi italiani ci autodemoliamo continuamente.
Bisognerebbe invece ricordare il verso del buon Gaber:
"Rispetto agli stranieri noi ci crediamo meno ma forse abbiam capito che il mondo è un teatrino".
Perciò a breve un post "American versus Italian a manovella".
L'altro ieri per mail mi è stato inviato il link all'articolo che segue, pubblicato sul sito della National Public Radio. Parla dell'Italia e di come le donne sono vittime del sessismo maschile. Non ho potuto che confermare. E quando, a pranzo, una docente americana mi ha chiesto: "Oggi tra le news hanno detto che il femminismo italiano è morto, è vero?".
Non so rispondere a quest'ultima domanda, ma ogni volta che in Italia ho affermato di essere femminista sono stata guardata con diffidenza, se pur di sottecchi.
In Italy, Feminism Out, Women as Sex Symbols In by Sylvia Poggioli
Morning Edition, December 3, 2008 · Americans and northern Europeans visiting Italy often comment on the sheer quantity of exposed female flesh in advertising and on TV shows. That exposure is inversely proportional to the presence of women in the labor force, in management and in politics. Feminists place a lot of the blame for the commercial use of the female body at the door of Italian Prime Minister Silvio Berlusconi. A recent popular TV show was a contest for two showgirl slots on a top satirical program. More than 5,000 women applied, and the prime requisites were perfect bodies and the ability to dance on tabletops. Both on public television and on networks owned by Berlusconi, who also is a media tycoon, scantily dressed women can been seen — but rarely heard — on all types of programs, from quizzes to political talk shows. Showgirl As Role Model Opinion polls indicate that the showgirl is the No. 1 role model for young Italian women, including 21-year-old student Livia Colarietti. "If I were a little thinner, I would have joined the contest to become a showgirl," Colarietti says. "I enjoy those shows. I really like to watch them." One very successful showgirl is Mara Carfagna, who left an uncertain singing career for politics. Berlusconi chose her for the slot of minister of equal opportunity — and both denied media reports that they were having an affair. Satirist Sabina Guzzanti has publicly scorned the former topless calendar girl. "I took strong position because it is absolutely a scandal," Guzzanti says. "Here we have more a pinup exactly than a showgirl, someone showing her body, and she became minister of equal opportunities." Veteran feminist Grazia Francescato concedes that Carfagna is winning with her ways. "We have gone from equal opportunities to equal opportunism," Francescato says. "You try to be very appealing to the other sex, especially to very powerful men. "I am very, very disappointed by women." Feminists were powerful in the 1970s, winning universal health care and legalization of divorce and abortion, but then there was a backlash. Sexism In Italy Today, Italy has the lowest percentage of working women in Europe. Only 2 percent of top management positions are held by women — that's even behind Kuwait — and only 17 percent of the members of parliament are women — less than in Rwanda and Burundi. Television has become women's prime showcase. "To sell your body for a calendar, for a career, is not considered now so bad for many young women," says social scientist Elisa Manna, who has studied this issue's impact on Italian society. "This kind of attitude is connected to television, because they have this kind of model in every hour of the day." With remote in hand, a viewer can zap from game shows with giggling girls in bikinis to prime-time anchorwomen with plunging necklines. All of this sexiness on television began with the birth of Berlusconi's networks in the 1980s. The 72-year-old prime minister speaks openly about sex. He recently bragged, "I sleep for three hours, and still have enough energy to make love for another three.'' Female Solidarity Out Of Fashion The Berlusconi TV model is widely seen as having shaped Italy's contemporary society, and journalist Lilli Gruber says feminism and solidarity among women are out of fashion. A former TV anchorwoman who resigned from public television in protest over Berlusconi's control of the media, Gruber says most women appear unwilling or unable to assert themselves and too weak to fight. "To fight back against growing sexism, growing violence against women and domestic violence especially, fight back all these politicians who don't move an inch in order to allow women to be in charge and take on responsibilities," Gruber says. She points out, however, that the majority of Italians now studying in universities are women — a generation that she believes won't be passive and might even succeed in breaking down Italy's old-boy network.
Spero che la Gruber abbia ragione, ma non mi sento così ottimista.
Se, come dice, è vero che oggi la maggior parte degli studenti universitari sono donne, al tempo stesso, credo che il culto per l'immagine non risparmi nessuno e che in Italia i canoni di bellezza siano diversi e proprio perciò più estesi.
Negli States esiste tuttora la classica pin up: la donna tutta curve e maquillage che sculetta in shorts, l'oca per intenderci (la stupida che a quanto pare piace se la catena di ristorani Hooters, dove pseudo conigliette in canotta bianca, pantaloncini arancioni, sneakers e calzettoni, ha centinaia di locali). Poi ci sono le donne belle o brutte, curate o meno.
Da noi ho l'impressione che sia diverso. Le oche sono ritenute tali mentre tutto l'universo femminile è sotto una fortissima pressione estetica.
Bella e intelligente se possibile. Ho messo al primo posto l'aspetto estetico non a caso, ovviamente, e accanto ad esso ci vorrebbe la specificazione: magra, anzi magrissima è meglio. Non ci crede, infatti, più nessuno al finto complimento "ma tu hai le forme". I canoni estetici attuali sono diventati rigidissimi negli ultimi anni e non risparmiano nessuno.
Inoltre la bellezza italiana non deve essere artificiale, e questo è un fattore positivo se inteso col suo contrario: naturale, cioè sano, genuino. Tuttavia a guardare gli scaffali di farmacie, profumerie, supermercati... non si direbbe. Pile di creme anticellulite, anticuscinetti, sostieni seno, sostieni glutei, braccia... Qui questa merce è quasi inesistente e mi riferisco non solo a Greencastle, ma anche a Indianapolis e Miami.
Tuttavia una studentessa mi ha detto che un'amica della madre in quanto giornalista televisiva si deve sottoporre a regolari controlli di peso per poter apparire sullo schermo (questo a Indianapolis), ma non ho informazioni più dettagliate né so come funzioni in Italia.
A conferma invece della sensazione sopra descritta ho trovato un'intervista rilasciata dal direttore del neo nato Playboy in versione italiana, Gian Maria Madella che dice: "Quello che è certo è il fatto che le modelle e le attrici che verranno proposte sulle pagine della versione italiana di Playboy saranno certamente lontane dallo stereotipo delle conigliette made in USA, questo perché da noi i canoni di bellezza sono diversi, e dunque, la ricerca fotografica verterà su un profilo più sofisticato e raffinato".
Ad ogni modo pure Playboy arriverà da noi e (da notizie lette su qualche blog) pare anche Hooters... tutto mondo è paese e riusciamo sempre a importare il peggio.
Per quel che riguarda la politica, l'articolo dice già tutto e ancora mi chiedo come le donne possano votare i maschilisti.
Nell'ambito lavorativo so che in America ci sono delle quote. Ad esempio l'università è costretta ad assumere un certa percentuale di donne. Non so se sia un bene o una sorta di discriminante al contrario.
Alle donne che hanno raggiunto i posti chiave, comunque, quote e bellezza non sono stati sufficienti. Ci vuole ben altro e mi chiedo a quanto di sé quelle donne abbiano dovuto rinunciare per arrivarci, ma qui si aprirebbe una voragine sulla quale al momento preferisco rimanere sospesa.
Ci troviamo davanti all'Union Building, l'edificio centrale del campus pronti a partire per la Georgia e partecipare alla School of American vigil protest. Nonostante l'università paghi viaggio, due notti d'albergo e una cena, siamo solo sette: compreso il professore, il suo compagno e una studentessa proveniente dall'Illinois University.
A sostenere la trasferta è un'associazione studentesca che si occupa di promuovere la pace. A giudicare dalla partecipazione non so quanto successo abbia e a me pare di avere l'ennesima conferma di un'espressione che mi rimbalza nella testa da un po' di settimane: here the students are fed.
Se penso alla fatica per trovare come andare a Genova nel 2001, ai soldi spesi per Firenze, Roma, Perugia-Assisi, Milano... l'unico viaggio gratuito, perché offertomi, è stato quello a Vicenza nel 2007 per dire no dal molin. E anche se in generale quelle giornate sono valse ben più delle non molte decine di euro sborsati, andarci ha significato innanzitutto organizzarsi, trovare il come, da dove, con chi.
Qui c'era già tutto, ma i ragazzi hanno un'infinita di attività offerte e tra meeting e papers sui quali vengono valutati un giorno sì e l'altro pure, diviene complicato trovare lo spazio per il pensiero. Un paio di volte ho incontrato delle persone che dicevano di non sapere cosa fare, ma erano rappresentanti dei cosiddetti couch potatoes, gli altri sono tutti sempre BUSY, la parola più usata, un'altra tra quelle che odio.
Chiudo la digressione universitaria che in realtà meriterebbe un post a sé stante e poi forse si tratta solo dell'american style che stride con la mia visione.
All'una di notte arriviamo a Columbus.
Sabato 22 novembre.
Lasciamo l'albergo, un Best western più che confortevole, in auto. La parcheggiamo dopo quindici minuti e ben 10 bucks in un posteggio semideserto vicino a dei capannoni. I soldi non sono miei, ma mi auguro comunque vadano a sostegno della protesta. Questa si svolge in una strada chiusa al traffico che porta alla fatidica scuola, se pur molto prima dell'entrata che non si vede. Sfiliamo tra un paio di transenne, superiamo i cartelli, leggiamo i divieti. La polizia ci guarda impettita e sorniona.
È la giornata dei banchetti informativi. C'è pochissima gente. Il professore che ci ha accompagnato ne prepara uno: un'associazione universitaria, l'ennesima. L'ha chiamata canary (canarino) e si propone di accrescere la consapevolezza su quel che avviene in Sud America. Adocchiò degli acquisti interessanti e la mattinata scorre mentre leggo le frasi sugli stickers e i pins: mai visti così tanti. Ne compro qualcuno sperando che pure quel poco denaro vada a sovvenzionare un qualsiasi movimento, ma non ne sono così certa. Anche qui vige la legge del mercato. Tuttavia gli stand interessanti non mancano: sono un numero limitato, ma sufficiente a coprire lo spazio concesso. Nel mezzo alcune persone sdraiate ricordano le vittime dei militari statunitensi.
Suggerisco un caffè al banco del commercio equo e solidale. Un american coffee per due dollari e qualche prodotto appoggiato su un banchetto che non fa invidia nemmeno ai verdi di Como. La ragazza dietro il tavolo inizia a parlarci della provenienza del prodotto, di come sostiene le piccole cooperative e bla bla bla. Le vorrei dire che un'idea di cosa sia il fair trade già l'avrei, ma il compagno guatemalteco del docente mostra stupore ed io sorpresa dalla sua “primordiale” curiosità chiedo di acquistare la tisana di rooibos poggiata davanti a me. Mentre controllo gli ingredienti, contenta di averla finalmente trovata vengo informata che non è in vendita, solo per esposizione. Primo attacco nostalgico: garabombo, encuentro, l'isola che c'è... homesick! In fondo alla strada c'è un palco,una ragazza vestita in stile hip-hop spiega della grande esperienza provata l'anno precedente scavalcando la rete, the fence. Dice che se si presenteranno cinquanta persone a farlo con lei, ripeterà l'opera. L'invito non verrà accolto (per chi supera il limite ci sono mille dollari di multa o fino a sei mesi di reclusione). Poi dei gruppi si alternano davanti a persone che non ballano. Lo superiamo e ci troviamo presso il cancello ultimo. Alcuni sono seduti, poggio il sedere per terra pure io. Attraversiamo le due carreggiate. Presto il rumore di una musica ballabile mi porta sotto il palco. Con poche decine di persone mi muovo, finalmente. In tutto il pomeriggio non ho sentito uno slogan, un coro, niente. Greg mi spiega che manca una leadership. Ammicco con un «because you're used to be fed». Penso agli altoparlanti in mano agli studenti che se lo contendono per urlarci dentro, agli striscioni, ai carri dei collettivi. Secondo attacco nostalgico: hasta siempre, ...ora e sempre disobbedienti, bella ciao... homesick! Ma mentre torniamo al banchetto del Canary, mi giunge alle orecchie un ritmo conosciuto, mi blocco, faccio il ritmo con la voce ed è quello giusto, stringo il braccio di Greg fermandolo. Continuo quel ritmo mentre il mio amico non capisce. È lei, è lei e ho ragione. Il ritornello di "Bella ciao" arriva forte e chiaro se pur storpiato da un forte accento americano. Marcia indietro correndo, saltellando, soprattutto cantando. Proud of being Italian, ma nessuno capisce e Greg mi segue nel delirio, ignaro dell'importanza. Sono quasi sotto il palco e se m'invitassero la canterei al microfono, se non altro per salvarla dal forte accento yankee e non limitarla al ritornello. Più tardi con orgoglio spiegherò che «you have such a lack of slogans, songs that you have to import our song!» anche se il mio interlocutore non si merita di sentirsi rivolgere tali parole e per giorni ripete che a N.Y è, e sarebbe diverso.
La sera andiamo in un centro di congressi dove si tengono incontri vari e ancora della musica: campa cavallo che l'erba cresce. Mi spiace per loro. Terzo attacco nostalgico: fa' la cosa giusta, gas, incontri vari pro pace nelle parrocchie e nelle circoscrizioni o sedi dei partiti... homesick!
Domenica 23 Novembre
Sin dalla sera prima mi hanno detto che vedrò più gente, è quello il giorno della SOA vigil. Assisto ad una veglia che commemora le vittime delle torture, degli abusi di potere, dell'ingiustizia. La massa di gente è per fortuna veramente aumentata, ma sono un nulla se penso che la protesta ideata da Padre Roy Bourgeois (un prete cattolico che proprio in questi giorni rischia la scomunica per aver appoggiato l'ordinazione al sacerdozio di alcune donne) con la creazione del "School of the Americas watch", riguarda tutti gli Stati Uniti. E se non bisogna dimenticare che fino a qualche anno fa essere di sinistra da queste parti equivaleva ad essere considerati comunisti, cioè il male estremo, guardando i veterani e gli hippies datati da cui sono attorniata mi chiedo dove siano i loro figli, i loro nipoti, qualcuno avranno pure cresciuto! Seguo la folla che questa volta in coro ripete no mas, no more,we cry e presente per le vittime nominate, come ben riportato sul programma trovato sia in albergo sia in loco. A dirigere il traffico della folla alcuni attivisti con dei cappellini rossi. Anche questo con altri dettagli è riportato nel programma: -Processions Guides, wearing red caps, will help direct you-. Americani: non ci si può far niente se non hanno tutto esplicitato pare siano fottuti. Sorrido.
We cry. Ammetto che in alcuni momenti sento anche empatia e l'atmosfera si fa commovente: intrisa di giusta tristezza. *Nella foto seguente al centro: Father Roy Bourgeois
Mezzogiorno è l'orario scelto per ripartire, mentre attraversiamo il parcheggio cercando di capacitarci che è vero, dentro quella scuola sono stati addestrati degli assassini e solo ventimila persone si sono indignate seconda la stima riportata in giornata (8500 secondo la polizia) ci fermiamo davanti all'ennesimo paradosso, come in un film... Mi sorge il dubbio se mi sia più facile reperire una beretta oppure una tisana al rooibos...
Da oltre dieci giorni, sto pensando a come scrivere delle impressioni raccolte post Obama's victory. I commenti hanno già affollato le pagine di quotidiani e riviste e altri avvenimenti sono seguiti. Però può rivelarsi interessante riportare e conservare le risposte di alcuni americani, così come le ho ricevute.
Le seguenti sono le mail di amici senza modifica alcuna:
"I am so excited for our country, as well as people and countries of all nations. This election stands for so many future dreams and possibilities. I worked on the campaign trail Monday and Tuesday, so today is a day of rest."
Deb (impiegata dell'Università, 55 anni circa, origini europee)
"Oh my goodness - we are all overwhelmed! for me, it's mixed emotions. i am very pleased of course, but he has been left with a real mess to try to sort out. we are all going to have to help him succeed in doing that. i don't quite know how to help him do that yet.thanks for your interest - the international response makes me very hopeful that the american reputation may be salvaged after bush."
judith (segretaria del dip. di lingue moderne all'Università, 50 anni circa, origini europee)
"As for the election...I voted for Barack Obama. I believe in him, and for the first time in my life, I believe in the American government. I was filled with so much inspiration and just all around hope that everyone will soon be equal in the eyes of all Americans. Barack may not be the most experienced President in American history, but he is an excellent speaker and a human being I believe that we can all look up to. America needs that more than anything right now. Also, we need a person representing us that other countries believe in. I believe, along with many fellow Americans, that Barack Obama is that person. I can say from here on out, politics will mean more to me than ever, I will pay attention to what goes on around me, and I will look at things even more openly than I have in the past. Nothing but the best of thoughts run through my mind in this time period of my country. I am proud to be an American."
Anthony (musicista, fonico, barista e quel che capita, anni 28, origini incerte, per me ha origini tra gli indiani nativi)
"I spoke with Grandfather and Uncle today, but it was especially good speaking with my Grandfather. He is 89 years old and lived in a time when black people could not drink from the same water fountain as whites, or go to the same restaurant, or shop at the same store, or vote.
But he was able to serve in the military, and fought in World War II against the Nazis. So for him, it very intense, and for me to hear that made me very, very happy to see that things have changed so dramatically for him in his life. I am really grateful for him, and all those who've made it possible for me to be here and enjoy the kind of citizenship I do. Many people died so I could be here. So I thanked him today for that.
I feel like today, I truly understand what the task of my generation is to change the world for the better."
Greg (studente, 22 anni, origini afro, indiane, europee)
Anche in Indiana, dunque hanno vinto i democratici (l'ultimo presidente democratico che vinse qui fu Lyndon B. Johnson nel 1963).
La militanza è stata tanta e organizzata. Nei giorni precedenti, così come lo stesso 4 novembre, volontari giravano per le case dando un cartello da appendere alla maniglia della porta per incentivare il vicino e il passante.
Non so in base a quale logica scegliessero le abitazioni: da me sono arrivati un paio di volte cercando qualcuno mai sentito nominare.
Inoltre gli studenti che hanno votato al campus hanno rimpinguato il bacino elettorale locale del nuovo presidente. Greg è di New York, ma avendo votato qui il suo voto è stato conteggiato tra quelli dell'Indiana.
E, infatti, come ha riportato anche l'Indianapolis Star, Obama ha conquistato il consenso dei "first-time voters (fra questi gli studenti), blacks, voters worried about the economy and more than a few Republicans".
Il Mid-west è pieno di conservatori, ma è anche un'area poco
abitata perciò la vittoria ottenuta nei centri maggiori e nelle Università ha permesso allo stato di colorarsi di blu se pur con solo una percentuale dello 0.9% di vantaggio (Obama 49,9% vs McCain 49,0%. Per un confronto di tutti gli stati è interessante la cartina che si trova sul sito del New York Times: http://elections.nytimes.com/2008/results/president/map.html).
Anche tra gli studenti ci sono i repubblicani e non pochi sono stati gli studenti del corso di italiano che hanno scelto di votare a destra. Una ragazza mi ha detto di essere contrario all'aborto. Alcuni mi hanno spiegato che McCain, come veterano di guerra, sarebbe stato un uomo più adatto e capace di organizzare il rientro delle truppe: "He knows how to do it". Altri hanno timore per il loro paese, sentono il bisogno di essere difesi, meglio, difendersi.
Poi c'è la risaputa questione economica. Una ragazza ha esplicitamente affermato di aver votato repubblicano perché i suoi hanno il theirown business: una piccola impresa di elettrica. Ma si è comunque detta contenta della vittoria di Obama (in realtà mi sembrava tirasse sospiri di sollievo mentre motivava la scelta).
Gli insoddisfatti si devono comunque rassegnare: il governo non cadrà qui. Non mancano però quelli preoccupati per la "salute" di Barack...
L'ultimo ragazzo americano a cui ho chiesto in merito, invece, m'ha fatto scoprire l'acqua calda dicendo che Obama non è un rivoluzionario e poco cambierà.
Vero per certo, ma credo che la stessa immagine del cambiamento non sia poca cosa. L'ho capito leggendo la mail di Greg. Il singolo non può molto, ma vedere un democratico nero presidente degli Stati Uniti può aprire la porta ad altre speranze.
E lasciamola aperta 'sta porta una volta tanto che a chiuderla rischiamo solo di perderci...
Nel weekend il mio nuovo coinquilino ha incontrato sua nonna, negli States per una conferenza, a Nashville. Prima di andarsene ha detto di aver inoltrato la richiesta per le riparazioni, sarebbero arrivati nel pomeriggio.
Tornata a casa verso sera speravo avessero risolto il problema.
Ho attraversato con pochi passi il soggiorno-salotto-cucina e guardato il water malconcio. Funzionerà? Tiriamo l'acqua, ho pensato. E il già alto livello del liquido contenuto nella tazza (qui la usano piena per un terzo) è andato aumentando. Lentamente. “Finirà” mi sono augurata. Al contrario. Sempre più piena, colma... l'acqua ha iniziato a uscire e ad allagare il bagno... “Merda”. Un balzo sul telefono: ho composto l'unico numero che sapevo, pigiato lo “0”, Public Safety.
Spiegato l'accaduto, detto “fate in fretta”: già mi vedevo deambulare sulla moquette fradicia e non era una bella immagine.
Fortunatamente, una volta appesa la cornetta, la fonte si è esaurita. L'idraulico è arrivato dopo circa una ventina di minuti. Erano in due, è rimasto il più giovane che ha inserito la solita ventosa nell'incavo. Io spargevo fogli di scottex sul pavimento. Non potevo non sfruttare la troppo ghiotta occasione...
- Are you an employee of DePauw or does University just call you in case of need? - - No I work for DePauw” - (faccio indagini serie, eh eh ;-) - May I ask you... what do you think about the election? - Rossore sul suo viso - I'm not really interested in politics - Aggrotto un po' la fronte... - As you noticed I'm not from here, I'm just trying to understand... What do you think of this victory?- Sorrido e lui forse capisce da che parte starei se fossi americana oppure si sente rassenerato dalla spiegazione semplice. - I'm happy. My friends worked a lot for the Obama's campaign and they're so proud that I'm voted for him. Yes I'm confident... - e continua con un monologo che non termina nemmeno al rientro dell'altro addetto, quello più anziano.
Così tra la cucina e il bagno nasce un mini dibattito post elettorale. Il giovane ormai ha preso coraggio, è lanciatissimo. Il vecchio più restio, non si sbilancia e io tengo in bocca le domande per rispetto. Afferma che si vedrà. Non mi sembra particolarmente entusiasta, ma chi può dirlo.
Un idraulico a Greencastle ha votato democratico dunque, ma è giovane e non lavora in proprio.
Dagli studenti e qualche amico ho ricevuto varie risposte interessanti. Scriverò. "Why Indiana turned blue" titolava il "The Indianapolis star" giovedì 6 novembre. Riporterò.
*A breve qualche commento perché, wow, è un evento storico guys...I have to realize it better, maybe I'm starting now, but it's time to go to bed. On facebook, in fact, I joined the cause "I won't go to school if McCain win". So tomorrow I have to be at school: luckily :-)
L'organizzazione delle votazioni da queste parti è davvero stravagante: c'è chi ha già votato, chi voterà questa settimana, chi nella propria città, chi al campus e perciò gli studenti attivisti cercano di convicere i coetanei a registrarsi. Qualcuno dovrebbe votare anche giovedì 4 novembre nel proprio paese. Weird date.
Io che non ho guardato nemmeno mezzo tg da quando sono qui, nè riuscita a leggere granché, ho almeno cercato di parlare con la gente in Università.
Al campus, come già accennato, la maggior parte sembra essere per Obama. Tuttavia il prof. di letteratura americana mi ha detto che molti affermano di votare il democratico semplicemente per timore di apparire razzisti. Sembra incredibile. Giusto poche ore fa, invece, una ragazza mi ha spiegato che voterà per la candidata verde: Cynthia McKenney. I verdi ci sono ancora! Il mio amico G. è per Obama, dice che la Clinton non gli piace, che sarebbe stato bello avere la Kennedy come vice, ma avrebbe significato perdere, e che Biden ha fatto delle cavolate, ma tutto sommato ci sta ancora. Quanto alla vice di McCain sostiene siano eccessivi nello stimarla e bugie le sue gesta. D., impiegata gentilissima dell'università (addetta ai tesserini universitari), mi ha raccontato di aver stretto la mano di Obama questa settimana, in occasione dell'incontro a Indianapolis. Sembra esserne rimasta folgorata, il suo entusiasmo si è accresciuto. J., segretaria del dipartimento spera per Obama, "ma - mi spiega - siamo un paese ancora immaturo, a third world country with too many toys and wealth". G. mi confermerà l'affermazione "yeahh, a third world country with a strong army, because we have no health care, no education...".
Quanto a me dico che spero per Obama guadagnandomi simpatie, ma non lo faccio per quello. Piuttosto penso a racimolare gadgets.
J. oggi mi ha portato un campaign button, avrei preferito quello al femminile "women per Obama", ma non è riuscita a trovarlo. Così stamattina ecco il biglietto che mi ha lasciato in segreteria: praticamente la hall, crocevia di chi frequenta il dipartimento di lingue moderne. Per la serie: non mi faccio mai riconoscere.
Il prossimo passo sarà all'insegna della conquista di una maglietta.
Almeno ieri sera però sono riuscita a vedermi l'ultimo dibattito. McCanney non lo posso tollerare, mi ricorda troppo qualcun altro anche se da quest'ultimo dovrebbe imparare a sorridere. Lo sforzo immane per tentare di mantenere le labbra a mezza luna era oltremodo visibile. Inoltre fosse anche solo per l'idea di incrementare il nucleare e vietare l'aborto non avrebbe il mio voto. Obama appariva più rilassato. Condivisibile ciò che ha detto al cento per cento (la realizzazione si sa è un'altra questione). Investire nello stato sociale: nella scuola, nella sanità (ma prima ancora nella prevenzione) e nelle fonti di energie rinnovabili (diminuendo però i consumi). L'ho apprezzato quando si è alterato e ha leggermente alzato il tono della voce, forse perché sono italiana e amo vedere passione. Quella autentica. Nei nostri politici a volte l'eccesso genera la farsa da cui, per citare ancora Gaber, "abbiam capito che il mondo è un teatrino".
Comunque sia, certi gesti sono forse sfuggiti al controllo e, G. mi ha fatto notare che, alla fine del dibattito, mentre Obama ha cinto la moglie con un braccio scendendo dal palco, McCain ha schioccato le dita e lei lo ha seguito tipo cane. Bisogna anche dire che siamo in America e John è proprio uno yankee come molti gentili ragazzi incontrati, i quali, al momento di salutarmi, magari dopo una specie di abbraccio, quando una si aspetterebbe i classici due baci sulle guance o, piuttosto, basta quello, mi battono la mano sulla spalla tipo "Hey Frank, take care, ok?". E va bene che c'ho le spalle un po' larghe guys, ma non sono mica un giocatore di Football americano!
Ormai da qualche settimana nei giardini delle case sono iniziati ad apparire cartelli con il nome del candidato che i proprietari appoggiano.
La maggior parte sono per Barack Obama (v. post precedente), ma mi è stato spiegato che questo è dovuto all'influenza che l'università ha sul paese. In realtà lo stato dell'Indiana è, come in generale tutto il Mid-west, piuttosto conservatore.
Perciò ai lati del marciapiede, sulla riva erbosa di qualche villetta prefabbricata ci si può imbattere anche nel nome del rivale.Per quel che riguarda McCain, tuttavia, non ho ancora visto il suo adesivo su alcuna auto, mentre diverse persone hanno appiccicato questo:
Altri stickers ricordano pure il forte nazionalismo che non teme a essere esibito.
Quello che il nostro passato ci impedisce, è al contrario qui motivo di attaccamento alla US Army e diverse sono le forme per mostrarlo. C'è chi ne è orgoglioso:
E chi raccoglie un termine per dirsi pacifista.
Dunque una bufala quella dell' "attenta a ciò che dici!". Al contrario, moltissime delle persone incontrate mi hanno esplicitamente domandato cosa pensassi degli americani e degli USA. Sanno, loro testuali parole, di non piacere. Il paradosso è che mentri ascolti la loro consapevolezza, a tratti forse esasperata, ti sorprendi a volerli consolare. E questo avviene anche se, chi sta parlando, è un giovincello megaspallato che gioca a football e mi siede di fronte in biblioteca con gli occhi luccicanti mentre chiede della beautiful Italy.
Per l'ennesima volta, come italiana, ringrazio gli avi e madre natura che ci hanno fatto dono di tante meraviglie, ma non tutto è per sempre "Pay attention guys!"
Qualcuno ultimamente mi ha detto che sembro in fuga. A volte è capitato anche a me di pensarlo. Poco importa. In questo blog racconto il mio viaggio: USA, Indiana, Green Castle, DePauw University e forse altro.