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20 marzo 2009

R.S.P.

Scorrendo gli ultimi post ne esce il ritratto di una situazione difficile e di una persona che chiede consigli, ma in fondo lo sa già: se ne andrà su quel volo del prossimo 25 marzo.
Eppure nelle ultime settimane ho trascorso dei momenti di gioia, affetto e gratitudine che mi porterò stretti per un bel po' e che mi faranno tessere tanti elogi agli americani.

Ammetto, come già accennato nel post sul Thanksgiving day, di sentirmi una persona fortunata, negli ultimi anni, nei viaggi fatti ed anche a casa (ma in Italia sono state attentamente scelte), sono attorniata da persone squisite da cui mi sento voluta bene.

L'ultima volta che l'ho vista, Deb mi ha definita "a sweetheart" e ha affermato che sicuramente molte persone hanno desiderato trascorrere del tempo con me, ma lei per prima è un cuore al quale è facile voler bene.


Ma anche altre sono state le persone che mi hanno dimostrato un affetto, spesso del tutto inaspettato e con una semplicità tutta americana.


Tra le RSP (really special persone: sigla da me coniata in questo istante): Katherine e suo fratello John. A New York, ad esempio, dove mi hanno ospitata, non solo John mi ha più volte pagato il pasto, ma, la sera prima della mia partenza, a fine cena (avevo cucinato, Kathrine apparecchiato e acquistato dei fiori) è entrato in sala con una torta per il mio compleanno passato da soli pochi giorni. Ho festeggiato 28 anni tra "quasi sconosciuti" tra i quali mi sentivo "a casa".

La settimana precedente, inoltre, gli auguri mi erano già stati preparati da Greg che, a mia insaputa, aveva cucinato una cena vegana completa regalandomi anche una borsa di canapa biologica in tinta con le scarpe da poco acquistate.

Ma la gentilezza che forse più mi ha sconcertato è stata quella di Ken, il ragazzo di origine sudamericana, che ci ha scorazzato in giro per Manhattan a gennaio e che, nonostante non fosse assolutamente benestante (parlando ci ha spiegato di non potersi ancora permettere l'assicurazione sanitaria), ci ha pagato il pranzo e i due biglietti per salire in cima al Rockfeller center per ammirare una New York quasi notturna. Non c'è stato verso di rifiutare: ho provato a sottrargli la debit card al momento del pagamento per allungare la mia, provocando un'occhiata che mi ha quasi spaventata. Ho lasciato che facesse.

Già ho raccontato di Joshua (l'ormai famoso "quasi pastore") che ha cucinato, mi ha portato a un matrimonio, prestato la coperta, Anthony e Denis che mi hanno fatto vivere almeno un concerto a Indy e quest'ultimo mi ha inoltre fatto un cd ad hoc di Ryan Adams oltre a offrirmi il caffè ogni qualvolta finissi nel suo bar.


Altre studentesse mi hanno invitato a cena nelle rispettive sorority e tre ieri durante la cena mi hanno fatto trovare un mazzo di fiori e un pacchetto: una loro foto incorniciata perché non le dimentichi.

Prima di partire (e ancora durante la mia permanenza) alcuni mi avevano messo in guardia sugli americani descritti come molto friendly, ma incapaci di stringere rapporti profondi.
Quanti italiani sono capaci di stringere rapporti intensi e autentici? Se ascolto i dialoghi volanti colgo spesso delusioni e tradimenti.

Perciò la differenza credo stia solo nel diverso approccio. Gli statunitensi sono semplici e affabili, talvolta con un apparente entusiasmo che può sconcertare. Gli italiani al contrario vanno più cauti, spesso appaiono chiusi e caratterizzati da un atteggiamento magari persino retrivo.

Ma americani, italiani, tedeschi svizzeri... people are people... and lovely people are everywhere (fucking bastards also, unfortunately).

28 febbraio 2009

Enjoy

Gran Torino




Produzione: Double Nickel Entertainment, Gerber Pictures, Malpaso Productions, Village Roadshow Pictures, Warner Bros

Paese: USA 2008



The Visitor (L'ospite inatteso)
Sceneggiatura: Thomas McCarthy
Attori: Hiam Abbass, Amir Arison, Danai Jekesai Gurira, Richard Jenkins, Maggie Moore Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Oliver Bokelberg
Montaggio: Tom McArdle
Musiche: Jan A.P. Kaczmarek
Produzione: Groundswell Productions, Next Wednesday Productions, Participant Productions

Paese: USA 2007


Forse perché ho rischiato di perdere il visto e mi sono sentita minacciare di allontanamento forzato dagli Stati Uniti.
Forse perché ho provato se pur in modo blando la condizione dell'immigrato: la semplice percezione di non capire (e non solo a livello linguistico) e la frustazione di non essere presa in considerazione. Lo shock culturale. Il nervosismo davanti allo sguardo compiaciuto e compassionevole di chi è convinto di offrirti la luna, mentre a te pare di averla appena lasciata e ti trattieni dall'urlare che speri di non diventare mai come loro.

Pensieri sparsi, incazzature, amarezze. E sono italiana: ho una casa e una famiglia dove tornare.
Ho iniziato a guardare la realtà da prospettive che mai avrei immaginato e ho aperto gli occhi. Questi due film, entrambi americani e tutti due sul medesimo argomento sono l'ennesima conferma di quanto sto, forse per la prima volta, osservando.


Gran Torino
parla dell'immigrazione negli Stati Uniti tessendo una storia tremenda e toccante che offre squarci di vita quotidiana ai margini di una grande città americana del Midwest (forse Detroit) dove vivono soprattutto, ma non solo, immigrati di vecchia e nuova generazione.
L'aver parlato con un professore, una donna che lavora alla DePauw ed è per metà messicana e alcuni studenti, mi ha reso la visione ancora più cosciente.
Credo, infatti, che su queste tematiche, noi italiani, dovremmo guardare agli Stati Uniti : non ripetere i loro errori. I problemi legati all'immigrazione che noi andiamo scoprendo sono qui parte integrante della storia, quale migliore grande fratello? Perché ci si limita sempre solo alle analisi economiche?
Ad esempio, da qualche anno, anche nelle grosse città italiane si sono formate le gang di ragazzi ispanici, asiatici... Cosa fare? Dal film emerge chiaramente come la speranza di un lavoro e la dignità possano salvare. In primis però bisogna garantire l'istruzione. La scuola è fondamentale. Perché se no Obama vuole dare la possibità a tutti di accedervi? Da noi si fa come i gamberi...

Credo che molte delle nostre difficoltà e i tanti dubbi derivino dal fatto che siamo sempre stati abituati a considerare l'Italia terra di emigrati non il contrario. Soliti ad essere solo italiani tra italiani. I pochi stranieri fino almeno un quindici, vent'anni fa erano guardati in modo quasi esotico. Ora che le cose sono cambiate i nuovi inquilini sono genericamente clandestini. Ma cosa significa essere clandestino?

Il film The visitor pone allo spettatore questa domanda. La trama è semplice, la vicenda cade in un quotidiano che ci è contiguo, ma che non realizziamo. La risposta è forse un'altra domanda. "Cos'è un permesso di soggiorno? Quale unzione ti permette di concedermelo o meno? Cosa ti dà il diritto di cacciarmi da un territorio? Forse perché sei nato qui? E i tuoi genitori pure? E i tuoi nonni? I bisnonni... non lo sai più? Ma se anche, cosa ti fa pensare di poter disporre della mia di vita?"
Consiglio il film perché semplifica il fatto in modo magistrale dando una visione chiara dell'assurdità che io non riesco a spiegare.

Naturalmente è altro il discorso per chi commette dei crimini, ma in quel caso non si parla più di clandestinità, bensì di criminalità e il trattamento dovrebbe essere uguale per tutti, senza buonismi e cadute in prescrizione...
Scrivo queste righe dopo aver ascoltato tante notizie tragiche sia per gli italiani (i tg sembrano bollettini di stupri), sia per gli stranieri (mi viene in mente Rumesh, il giovane ragazzo cingalese di Como a cui un vigile ha sparato perché non si era fermato all'alt) e credo che la soluzione non stia in banali reimpatrii. Mi stupisco, ogni volta come se fosse la prima, davanti alla comune cecità blindata che non permette di vedere come alla radice del problema ci sia un sistema economico globale malato, basato sullo sfruttamento guarda caso proprio di quelle zone da cui i cosiddetti clandestini provengono.
Sintanto che la politica economica procederà in questo modo non illudiamoci di vedere diminuire il flusso di arrivi in Italia, nonostante i populistici annunci pro securitate.
Tanto vale trovare soluzioni alternative e arricchirsi scoprendo il futuro vicino. Nel mio piccolo posso dire che, nonostante i dubbi iniziali, gli immigrati seduti nelle mie classi italiane l'anno scorso, non hanno mancato di dare importanti contributi.

Enjoy.

20 febbraio 2009

Conversazioni in Italia (con assoluta fedeltà)

X e Y sono due italiani. Si sono conosciuti a Dresda in erasmus qualche anno prima (ormai più di qualche). Hanno un po' viaggiato insieme e un po' hanno girato l'Europa per conto loro. Sono tornati in Italia. Si sono laureati. X è andato a trovarla a Como, Y è stata sua ospite a Firenze.

X da un paio d'anni fa il dottorato in filosofia, Y da qualche mese se ne sta negli Stati Uniti.


Dicembre 2008.
X chiama Y.

X entusiasta: fra poco ti raggiungo! Sto preparando tutto, hanno accettato la mia domanda di studio!
Y contenta: bene, ma cosa vieni a fare qui? Vale la pena studiare filosofia negli States?
X ancora più entusiasta: Perché no? Ho scritto ad alcuni professori. Non vedo l'ora! Ho letto il tuo blog... ma sei troppo polemica... ma su! ecche ti lamenti!? l'America è bella... Su esci, guardala con altri occhi, pensa...
Y: vieni, ti aspetto qui. Ma quanto ti fermi?
X: penso un anno. Quest'estate faccio il coast to coast. Non vedo l'ora!


Febbraio 2009.
X scrive a Y.

X: che ore sono da te?
Y: 5 e mezza.
X: anche da me :-) ti chiamo

X chiama Y.

Y: allora sei arrivato???
X: ebbene sì, da una settimana e mezza circa...
Y: allora, come va?
X: sto cercando di non lamentarmi...
Y: Uuuhhh, guarda non faccio manco la finta di starmene zitta... Te lo dico proprio: CHE T'AVEVO DETTO? Eh? Pensa che sei arrivato da sole due settimane! Il peggio ha da venire... hihihihi
X: ma secondo te perché? Perché non ci piace?
Y: Perchè siamo italiani X! Siamo viziati! Vivi in centro a Firenze come cazzo fanno a piacerti gli States???
Per non parlare poi di tutto il resto: cibo, natura... storia...
X: uhmmm...
-pausa-
Pensavo che forse quest'estate vado in Argentina... telefono al mio amico e glielo dico: cambio di programma, niente più coast to coast. Cosa dici?
Y: vedo che hai capito. Tornassi indietro forse anch'io passerei gennaio in Sud America, spendendo probabilmente anche molto meno...

X racconta i primi grotteschi anedotti nel nuovo mondo e già tesse confronti fra i popoli

X: ma secondo te perché Dresda ci piaceva così tanto? forse perché eravamo più giovani?
Y: NO, Dresda è bella! Dresda è Europa, qui gira che ti rigira le città si assomigliano tutte... togli San Francisco, New York...
X: New York non mi ha particolarmente colpito...
Y: ok, risposta definitiva: vai in Argentina senza nemmeno pensarci.
X: pensare che in Italia avevo pure appena trovato l'amore...
Y: ahhh ma allora te le vai proprio a cercare!

Alla fine della telefonata Y confrontando le condizioni di X che si trova in un campus con circa 25ooo studenti, vive in un dormitorio per soli grad students (vale a dire dottorandi) e ha a disposizione i mezzi pubblici, con le sue si chiede con timore se abbia sviluppato un sistema di sopportazione particolarmente alto o sia diventata una cosiddetta sfigata...

15 febbraio 2009

Happy Valentine's day!

Non so se sono io ad averne ormai perso l'abitudine, ma mai avevo visto un San Valentino tanto celebrato. Qui negli States, infatti, la ricorrenza è partilarmente sentita e pure in biblioteca sono stata sorpresa dalla scritta "Happy Vanlentine's day!".
Sarà che noi siamo più realisti (perlomeno chi mi attornia), ma quando ho mostrato perplessità dicendo che in Italia, nonostante parecchie coppie si facciano il regalo o escano a cena, tutti sono consapevoli della farsa commerciale, G. mi ha guardato con un sorriso "but you are supposed to be lovers..." poi ha aggiunto "people here need to love and be loved".
Così ho scoperto che se non sei fidanzata negli States puoi comunque festeggiare il 14 febbraio chiedendo ad un amico di farti da Valentine per quel giorno "Do you want to be my Valentine?". Vi regalate qualcosa, anche solo un biglietto, e magari uscite a cena (pare che per quel giorno non ci sia un doppio fine... )
Oppure lo si può festeggiare anche semplicemente con le amiche, o gli amici, o entrambi.
Sono, infatti, stata invitata a fare i dolci con un gruppo di single girls (ci manca solo che affogo la tristezza nel cibo pure in compagnia!) e ad una festa aperta a tutti.
Ho dato buca a entrambe preferendo aspettare una Pasqua forse italiana che qui non verrà nemmeno quasi menzionata.
*Ricevere fiori però fa sempre piacere :-)

Appendice a conferma: mentre scrivo l'addetta al bar della biblioteca chiede ai ragazzi se hanno avuto un buon San Valentino e pure il sacerdote, durante la predica, vi ha fatto riferimento.

12 febbraio 2009

People are people (forse), ma certi americani, li amo.

Una settimana fa facevo la spesa al solito posto quando sento chiedere "How are you doing?", è un commesso, ma non sono certa saluti me, non sono nemmeno sicura di ciò che abbia detto. Abbozzo un sorriso, mi guardo intorno e non c'è nessun altro. Mi avvicino al ragazzo "Pardon?", "How are you doing?" ripete e io inarcando le labbra "I'm ok thanks". Mentre sistema della frutta mi spiega che non gli piace la gente che non risponde, non ce l'ha con me, ma annuisco e preciso che pensavo la domanda non fosse rivolta a me. Ci scambiamo uno sguardo cordiale da gente che si trova simpatica.

Oggi torno perché domani devo cucinare il risotto alla milanese per le due anziane coppie di americani che ogni tanto si prendono cura di me (sono riuscita a guadagnarmi pure un'aspirapolvere) e dunque vado in perlustrazione. Mi serve il riso arborio (non c'è), il parmigiano, ma soprattutto lo zafferano. Per evitare inutili ricerche decido di rivolgermi subito al personale. Vedo il commesso della scorsa settimana e mi avvicino. Lui si prende a cuore la missione. Guardiamo tra i prodotti naturali/biologici: nulla. Mi assicura che c'è. Lo seguo tra le spezie, un collega glielo indica. Prima che io me ne accorga, è lui ad indicarmi il prezzo: 23 dollari!!! "I think I will cook something else!".
Mi chiede com'è quello che mi serve, racconto che in Italia lo compro in polvere ed è pure caro, ma non così tanto, magari lì ce n'è di più e bla bla... Mentre parlo accovacciata accanto a lui davanti a decine di boccettine di spezie, inizia con tutta naturalezza ad armeggiare col barattolo: lo apre, estrae la busta di carta bianca, mi mostra il prodotto "is this?" chiede, giusto il tempo di pronunciare yes, "Have you something to put it?". Apro istantaneamente il biglietto con la lista della spesa e me ne trovo mezza confezione in mano. "Is it enough?", stupita, disorientata e contenta dico un altro yes e lui afferma che non si può pagare così tanto per una spezia. Come dargli torto?! Poi richiude il contenitore di cui non ha nemmeno rotto la plastica protettiva... Ringrazio con 32 sinceri denti in vista. Penso che questo è "take it easy" e continuo giuliva la mia spesa.

L'educazione ricevuta però fa digitare al mio cerebro la parola "furto".
Poi dicono degli italiani...
Risolvo il problema pensando che in fondo questo è un "rubare ai ricchi per dare ai poveri": qui esistono i Robin Hood. In Italia non ne ho mai incontrati, nonostante la legge che Tremonti così chiamava. Forse che nel mio paese chi infrange le regole lo fa solo per trarne vantaggi personali?

Poi mi viene in mente la confidenza del mio coinquilino (from Austria!) che spesso evita di pagare il caffè in mensa riempiendo la sua tazza senza dichiararne il contenuto alla cassa.
Dunque tutto mondo è paese?
Così pare, solo che da noi ci si vanta delle truffe!
Infatti, a dimostrazione, l'autrice pirla riporta il suo episodio con soddisfazione.

In realtà mi ha lusingato la gentilezza. E il gesto acquista valore perché regalatomi da un perfetto sconosciuto (e anticipo ogni perverso pensiero affermando che non solo non mi è stato chiesto niente di niente, ma al dito il giovane portava pure la fede). Gli americani sono semplicemente gentili (cfr. esperienza a N.Y.), l'ho già detto, è un dato di fatto e certi americani li amo.
*In un risotto per 5 persone quanto ce ne va di quello sopra fotografato?

5 febbraio 2009

Arte e cucina non basteranno a salvarci.

Come poi lamentarsi se gli stranieri pensano a noi solo in termini truffaldini?
Ecco l'intervista (se così si può chiamare) di un giornalista della nota tv americana Cnbc a Giulio Tremonti.

Già il titolo potrebbe essere esaustivo:
Don't Mention the Italian Economy
CNBC's Geoff Cutmore spoke to Italian Finance Minister Giulio Tremonti at the World Economic Forum in Davos in Switzerland, but when the subject turned the Italian economy the interview was abruptly ended.


Per chi come me ama l'Italia in modo che ora mi sento di definire autolesionista, il video.

http://www.cnbc.com/id/15840232?video=1017519662


Ringrazio Pluto per averlo postato sul suo blog Italia America one way dal quale ho attinto (http://www.plutousa.blogspot.com/)

2 febbraio 2009

Cosa mi piace degli Stati Uniti / What I like in the U.S.

Cosa mi piace degli Stati Uniti è un post su commissione. Non che mi paghino per scriverlo (già molto che non debba pagare io per caricare parole in rete!), ma è stato richiesto da un amico che mi ha accusata di essere antiamericana...
Nonostante credo la definizione sia stata data più con vis polemica che raziocinio, raccolgo volentieri l'invito.

New York. Questa città mi è piaciuta, ho apprezzato tanto anche New Orleans. Sono città vive, dove ci sono i caffè per trovarsi e i locali nei quali sentire musica. Tuttavia ci sono stata poco, soprattutto a New Orleans e l'opinione risulta parziale.
Nella grande mela ho trascorso una settimana. Finalmente una città vera: un luogo dove poter trovare di tutto, fare di tutto. Immensa, ma ben collegata dai mezzi. Un luogo dove perdersi, nascondersi, ritrovarsi. Io ci ho vagabondato stanca sperando di tornarci.
Mi avevano detto che avrei visto la frenesia fatta carne, invece ho semplicemente ritrovato un po' d'atmosfera europea a cui già ero abituata. A Milano ne ho visto esempi peggiori, e la stessa DePauw University con la sua inutile pretesa pianificatrice è a mio avviso persino più estenuante.

Ma devo dire quel che mi piace.
In prima posizione metto la semplicità e la gentilezza degli americani. Iniziare a chiacchierare col vicino mentre si aspetta l'aereo, o conoscere l'avventore del bar o del ristorante accanto al quale siamo seduti è molto comune.
A New Orleans ad esempio abbiamo conosciuto un professore universitario di psichiatria che stava cenando su un tavolo adiacente al nostro, alla fine ci ha dato il suo indirizzo mail; a Manhattan un amico del nostro ospite (un colombiano nato e cresciuto negli States) ci ha mostrato per un'intera giornata la città, offerto il pranzo e pagato i venti dollari a testa per salire sul Rockfeller center. Nonostante versasse in condizioni tutt'altro che floride, non c'è stato verso di rifiutare.
E non ci si dà del Lei, non esiste (qualcuno mi ha detto ci fosse, tuttavia ora non si usa). Con la gentilezza che conviene ci si rivolge allo stesso modo al professore, al compagno di classe, al medico e all'autista del bus. E se è vero che alle volte mi smarrisco in questa abitudine e vorrei trovare modi più ossequiosi per taluni soggetti, arrivo alla conclusione che il rispetto non si misura sulla base di un pronome.

Insieme alla facilità di relazione, c'è una certa noncuranza verso l'abbigliamento che di sicuro preferisco all'ossessione nostrana. Tuttavia sapendo dove e quando andarci è facile trovare pure abiti e accessori dignitosi e di marca a prezzi ridotti.
Non vi dico lo sconcerto quando in pieno centro a New York sono andata da Daffy's dove, insieme ad altri indumenti dell'italianissima Deha, ho notato un paio di pantaloncini simili a quelli acquistati l'estate scorsa a Milano con un esborso di oltre quaranta euro. Il cartellino Daffy's price aveva un ammonto di soli tredici dollari. Certo però i capi non sono dell'ultima stagione né ben disposti... Invidia!!!

L'idea che la legge vada rispettata è fondamentale nella mente degli americani. Poi non lo so se lo facciano, i furbi ci sono ovunque però perlomeno non vanno in giro a vantarsi per le truffe realizzate! Anzi la maggior parte delle persone mostra sgomento all'idea di trasgredire la norma. Più di una volta ho sorriso... più di una volta avrei pure mozzato il capo al mio interlocutore per la rigidità e la ristrettezza mentale mostrata in termini legislativi burocratici.


Altro apprezzamento va alla stima che nutrono verso la propria classe politica. Assodato che George Bush sia stato il peggior presidente degli Stati Uniti e un idiota, ora i democratici incontrati nutrono una speranza verso l'uomo e il politico Barack Obama che in Italia non ho mai visto nè vagamente ipotizzato (e forse non è difficile capirne il perché).


Mi sto abituando alla fantastica comodità della rete: qui è piuttosto semplice trovare una rete-wireless non protetta da poter usare e la gente legge quotidianamente la posta e risponde subito alle mail.


Come anche in Germania, anche qui ci si porta caffè e tè appresso. Pratica che già avevo importato persino nella biblioteca comasca. Tuttavia gli americani non hanno grandi thermos come gli Alemanni, ma capienti tazze col tappo, da cui bere direttamente.
Non ho resistito: è stato l'ultimo acquisto.
Altra libertà "inappagabile": si può mangiare quasi ovunque. Per le strade la gente mangia qualsiasi cosa. Ok è vero, non sempre è un bello spettacolo...

I bagni. La maggior parte dei bagni pubblici sono puliti e provvisti di carta. Evito l'ovvia comparazione.

Infine, ma di questi tempi, dovrebbe essere la prima, l'attitudine che le persone mostrano di fronte alla possibilità di perdere il lavoro o una posizione economica raggiunta. Ricominciano.
La mancanza di uno stato sociale, una visione improntata ad apprezzare la "capacità di farsi da sé" che è intrinseca alla storia di questo stato (nella sua accezione positiva, ma spesso anche negativa: esaltazione del self made man, di colui che ha successo economico), un mercato del lavoro molto più mobile (come i licenziamenti anche le asssunzioni sono più semplici) sono, credo, tra i principali fattori di questo atteggiamento.
Non so se siano maggiori i pro o i contro (o forse un'idea ce l'ho e la si può immaginare) ma penso che noi italiani dovremmo guardarne il lato positivo e capire che si può cambiare, ci si può spostare. Si deve provare e, se si cade, gambe e braccia ci faranno rialzare.


Quest'ultima constatazione apre confronti immensi che sento constantemente ripetere quando guardo la tv italiana in rete. Non si fa altro che guardare agli States eppure non è tutto oro quel che luccica e noi italiani ci autodemoliamo continuamente.
Bisognerebbe invece ricordare il verso del buon Gaber:
"Rispetto agli stranieri noi ci crediamo meno ma forse abbiam capito che il mondo è un teatrino".
Perciò a breve un post "American versus Italian a manovella".

5 dicembre 2008

Cosa dicono di noi

L'altro ieri per mail mi è stato inviato il link all'articolo che segue, pubblicato sul sito della National Public Radio. Parla dell'Italia e di come le donne sono vittime del sessismo maschile. Non ho potuto che confermare. E quando, a pranzo, una docente americana mi ha chiesto: "Oggi tra le news hanno detto che il femminismo italiano è morto, è vero?".
Non so rispondere a quest'ultima domanda, ma ogni volta che in Italia ho affermato di essere femminista sono stata guardata con diffidenza, se pur di sottecchi.

In Italy, Feminism Out, Women as Sex Symbols In
by Sylvia Poggioli

Morning Edition, December 3, 2008 · Americans and northern Europeans visiting Italy often comment on the sheer quantity of exposed female flesh in advertising and on TV shows.
That exposure is inversely proportional to the presence of women in the labor force, in management and in politics.
Feminists place a lot of the blame for the commercial use of the female body at the door of Italian Prime Minister Silvio Berlusconi.
A recent popular TV show was a contest for two showgirl slots on a top satirical program. More than 5,000 women applied, and the prime requisites were perfect bodies and the ability to dance on tabletops.
Both on public television and on networks owned by Berlusconi, who also is a media tycoon, scantily dressed women can been seen — but rarely heard — on all types of programs, from quizzes to political talk shows.
Showgirl As Role Model
Opinion polls indicate that the showgirl is the No. 1 role model for young Italian women, including 21-year-old student Livia Colarietti.
"If I were a little thinner, I would have joined the contest to become a showgirl," Colarietti says. "I enjoy those shows. I really like to watch them."
One very successful showgirl is Mara Carfagna, who left an uncertain singing career for politics. Berlusconi chose her for the slot of minister of equal opportunity — and both denied media reports that they were having an affair.
Satirist Sabina Guzzanti has publicly scorned the former topless calendar girl.
"I took strong position because it is absolutely a scandal," Guzzanti says. "Here we have more a pinup exactly than a showgirl, someone showing her body, and she became minister of equal opportunities."
Veteran feminist Grazia Francescato concedes that Carfagna is winning with her ways.
"We have gone from equal opportunities to equal opportunism," Francescato says. "You try to be very appealing to the other sex, especially to very powerful men. "I am very, very disappointed by women."
Feminists were powerful in the 1970s, winning universal health care and legalization of divorce and abortion, but then there was a backlash.
Sexism In Italy
Today, Italy has the lowest percentage of working women in Europe. Only 2 percent of top management positions are held by women — that's even behind Kuwait — and only 17 percent of the members of parliament are women — less than in Rwanda and Burundi.
Television has become women's prime showcase.
"To sell your body for a calendar, for a career, is not considered now so bad for many young women," says social scientist Elisa Manna, who has studied this issue's impact on Italian society. "This kind of attitude is connected to television, because they have this kind of model in every hour of the day."
With remote in hand, a viewer can zap from game shows with giggling girls in bikinis to prime-time anchorwomen with plunging necklines. All of this sexiness on television began with the birth of Berlusconi's networks in the 1980s.
The 72-year-old prime minister speaks openly about sex. He recently bragged, "I sleep for three hours, and still have enough energy to make love for another three.''
Female Solidarity Out Of Fashion
The Berlusconi TV model is widely seen as having shaped Italy's contemporary society, and journalist Lilli Gruber says feminism and solidarity among women are out of fashion.
A former TV anchorwoman who resigned from public television in protest over Berlusconi's control of the media, Gruber says most women appear unwilling or unable to assert themselves and too weak to fight.
"To fight back against growing sexism, growing violence against women and domestic violence especially, fight back all these politicians who don't move an inch in order to allow women to be in charge and take on responsibilities," Gruber says.
She points out, however, that the majority of Italians now studying in universities are women — a generation that she believes won't be passive and might even succeed in breaking down Italy's old-boy network.

Spero che la Gruber abbia ragione, ma non mi sento così ottimista.
Se, come dice, è vero che oggi la maggior parte degli studenti universitari sono donne, al tempo stesso, credo che il culto per l'immagine non risparmi nessuno e che in Italia i canoni di bellezza siano diversi e proprio perciò più estesi.

Negli States esiste tuttora la classica pin up: la donna tutta curve e maquillage che sculetta in shorts, l'oca per intenderci (la stupida che a quanto pare piace se la catena di ristorani Hooters, dove pseudo conigliette in canotta bianca, pantaloncini arancioni, sneakers e calzettoni, ha centinaia di locali). Poi ci sono le donne belle o brutte, curate o meno.

Da noi ho l'impressione che sia diverso. Le oche sono ritenute tali mentre tutto l'universo femminile è sotto una fortissima pressione estetica.
Bella e intelligente se possibile. Ho messo al primo posto l'aspetto estetico non a caso, ovviamente, e accanto ad esso ci vorrebbe la specificazione: magra, anzi magrissima è meglio. Non ci crede, infatti, più nessuno al finto complimento "ma tu hai le forme". I canoni estetici attuali sono diventati rigidissimi negli ultimi anni e non risparmiano nessuno.
Inoltre la bellezza italiana non deve essere artificiale, e questo è un fattore positivo se inteso col suo contrario: naturale, cioè sano, genuino. Tuttavia a guardare gli scaffali di farmacie, profumerie, supermercati... non si direbbe. Pile di creme anticellulite, anticuscinetti, sostieni seno, sostieni glutei, braccia... Qui questa merce è quasi inesistente e mi riferisco non solo a Greencastle, ma anche a Indianapolis e Miami.
Tuttavia una studentessa mi ha detto che un'amica della madre in quanto giornalista televisiva si deve sottoporre a regolari controlli di peso per poter apparire sullo schermo (questo a Indianapolis), ma non ho informazioni più dettagliate né so come funzioni in Italia.
A conferma invece della sensazione sopra descritta ho trovato un'intervista rilasciata dal direttore del neo nato Playboy in versione italiana, Gian Maria Madella che dice:
"Quello che è certo è il fatto che le modelle e le attrici che verranno proposte sulle pagine della versione italiana di Playboy saranno certamente lontane dallo stereotipo delle conigliette made in USA, questo perché da noi i canoni di bellezza sono diversi, e dunque, la ricerca fotografica verterà su un profilo più sofisticato e raffinato".
Ad ogni modo pure Playboy arriverà da noi e (da notizie lette su qualche blog) pare anche Hooters... tutto mondo è paese e riusciamo sempre a importare il peggio.

Per quel che riguarda la politica, l'articolo dice già tutto e ancora mi chiedo come le donne possano votare i maschilisti.

Nell'ambito lavorativo so che in America ci sono delle quote. Ad esempio l'università è costretta ad assumere un certa percentuale di donne. Non so se sia un bene o una sorta di discriminante al contrario.

Alle donne che hanno raggiunto i posti chiave, comunque, quote e bellezza non sono stati sufficienti. Ci vuole ben altro e mi chiedo a quanto di sé quelle donne abbiano dovuto rinunciare per arrivarci, ma qui si aprirebbe una voragine sulla quale al momento preferisco rimanere sospesa.

30 novembre 2008

Sempre più spesso dagli amici in patria mi arrivano messaggi del tipo: non tornare, trovati un lavoro e stai lì, qui la situazione è sempre peggio, informati se trovi qualche occupazione per il sottoscritto...

Oh guys! Non sono nell'America a cavallo tra ottocento e novecento e nemmeno in quella del boom economico post-bellico.

Siamo nell'anno domini 2008 ed è una merda dappertutto. Purtroppo.

Stamattina con un connazionale ho a lungo discusso del precariato italiano che attanaglia la nostra generazione. Mi ha dato l'ennesimo, uguale consiglio.

Ecco la mia risposta: è l'esperienza del prof. di tedesco, anni 33, da sei negli States.
J. si sta ammazzando di lavoro extra per cercare un posto che gli conceda di mantenere il visto (un visto lavorativo può costare oltre 3.000 $... ora si capisce perché me ne hanno fatto uno da studente!). In generale le università, essendo istituti privati, stanno tagliando le assunzioni e licenziando tutti colori che non sono ritenuti indispensabili. Dicono che può peggiorare.
Insegnare qui significa, inoltre, doversi fare anni e anni di Phd (dottorato) sperando nella borsa di studio per non doverlo pagare... come in Italia, ok, ma alla fine per quel che riguarda la mia specializzazione insegnerei come coniugare il verbo essere...
Ci sarebbe poi il timore costante del licenziamento a tempo zero che qui non risparmia nessuno (con tutti i pro e i contro), mucchi di carte da compilare per facilitare la vita agli studenti e odiare la tua, costanti valutazioni in classe e calcoli per mettere via la pensione.

No thanks. Torno in patria.

E a chi mi dice che sono "scatenata contro il capitalismo USA" offro a titolo d'esempio questo piatto considerato delizioso dagli yankee:

Si tratta di patate dolci, cotte nel forno con troppo burro, su cui vengono poggiate delle gommose caramelle (i marshmallows di cui già dissi) che in teoria dovrebbero essere fatte solo di zucchero e gelatina... secondo me sono chimicissime... In questa foto le vedete rosa e verdine. Propinatomi al Tksgiving ho preferito rinunciarvi per non correre il rischio di vedermi spuntare la coda...

Ma ecco la domanda: potreste mai sostituirle alla lasagna natalizia? o anche solo ai tortellini in brodo?

Mille volte meglio pane e salame: lottiamo per preservarlo!

26 novembre 2008

Ahead just of a fence (post lungo, lo so, ma urgeva)

Venerdì 21 novembre, ore 16.00


Ci troviamo davanti all'Union Building, l'edificio centrale del campus pronti a partire per la Georgia e partecipare alla School of American vigil protest. Nonostante l'università paghi viaggio, due notti d'albergo e una cena, siamo solo sette: compreso il professore, il suo compagno e una studentessa proveniente dall'Illinois University.
A sostenere la trasferta è un'associazione studentesca che si occupa di promuovere la pace. A giudicare dalla partecipazione non so quanto successo abbia e a me pare di avere l'ennesima conferma di un'espressione che mi rimbalza nella testa da un po' di settimane: here the students are fed.


Se penso alla fatica per trovare come andare a Genova nel 2001, ai soldi spesi per Firenze, Roma, Perugia-Assisi, Milano... l'unico viaggio gratuito, perché offertomi, è stato quello a Vicenza nel 2007 per dire no dal molin. E anche se in generale quelle giornate sono valse ben più delle non molte decine di euro sborsati, andarci ha significato innanzitutto organizzarsi, trovare il come, da dove, con chi.
Qui c'era già tutto, ma i ragazzi hanno un'infinita di attività offerte e tra meeting e papers sui quali vengono valutati un giorno sì e l'altro pure, diviene complicato trovare lo spazio per il pensiero. Un paio di volte ho incontrato delle persone che dicevano di non sapere cosa fare, ma erano rappresentanti dei cosiddetti couch potatoes, gli altri sono tutti sempre BUSY, la parola più usata, un'altra tra quelle che odio.
Chiudo la digressione universitaria che in realtà meriterebbe un post a sé stante e poi forse si tratta solo dell'american style che stride con la mia visione.


All'una di notte arriviamo a Columbus.


Sabato 22 novembre.
Lasciamo l'albergo, un Best western più che confortevole, in auto. La parcheggiamo dopo quindici minuti e ben 10 bucks in un posteggio semideserto vicino a dei capannoni. I soldi non sono miei, ma mi auguro comunque vadano a sostegno della protesta.
Questa si svolge in una strada chiusa al traffico che porta alla fatidica scuola, se pur molto prima dell'entrata che non si vede. Sfiliamo tra un paio di transenne, superiamo i cartelli, leggiamo i divieti. La polizia ci guarda impettita e sorniona.





È la giornata dei banchetti informativi. C'è pochissima gente. Il professore che ci ha accompagnato ne prepara uno: un'associazione universitaria, l'ennesima. L'ha chiamata canary (canarino) e si propone di accrescere la consapevolezza su quel che avviene in Sud America.
Adocchiò degli acquisti interessanti e la mattinata scorre mentre leggo le frasi sugli stickers e i pins: mai visti così tanti. Ne compro qualcuno sperando che pure quel poco denaro vada a sovvenzionare un qualsiasi movimento, ma non ne sono così certa. Anche qui vige la legge del mercato.
Tuttavia gli stand interessanti non mancano: sono un numero limitato, ma sufficiente a coprire lo spazio concesso. Nel mezzo alcune persone sdraiate ricordano le vittime dei militari statunitensi.

Suggerisco un caffè al banco del commercio equo e solidale. Un american coffee per due dollari e qualche prodotto appoggiato su un banchetto che non fa invidia nemmeno ai verdi di Como. La ragazza dietro il tavolo inizia a parlarci della provenienza del prodotto, di come sostiene le piccole cooperative e bla bla bla. Le vorrei dire che un'idea di cosa sia il fair trade già l'avrei, ma il compagno guatemalteco del docente mostra stupore ed io sorpresa dalla sua “primordiale” curiosità chiedo di acquistare la tisana di rooibos poggiata davanti a me. Mentre controllo gli ingredienti, contenta di averla finalmente trovata vengo informata che non è in vendita, solo per esposizione.
Primo attacco nostalgico: garabombo, encuentro, l'isola che c'è... homesick!
In fondo alla strada c'è un palco,una ragazza vestita in stile hip-hop spiega della grande esperienza provata l'anno precedente scavalcando la rete, the fence. Dice che se si presenteranno cinquanta persone a farlo con lei, ripeterà l'opera. L'invito non verrà accolto (per chi supera il limite ci sono mille dollari di multa o fino a sei mesi di reclusione). Poi dei gruppi si alternano davanti a persone che non ballano. Lo superiamo e ci troviamo presso il cancello ultimo.
Alcuni sono seduti, poggio il sedere per terra pure io.
Attraversiamo le due carreggiate. Presto il rumore di una musica ballabile mi porta sotto il palco. Con poche decine di persone mi muovo, finalmente.
In tutto il pomeriggio non ho sentito uno slogan, un coro, niente. Greg mi spiega che manca una leadership. Ammicco con un «because you're used to be fed». Penso agli altoparlanti in mano agli studenti che se lo contendono per urlarci dentro, agli striscioni, ai carri dei collettivi.
Secondo attacco nostalgico: hasta siempre, ...ora e sempre disobbedienti, bella ciao... homesick!
Ma mentre torniamo al banchetto del Canary, mi giunge alle orecchie un ritmo conosciuto, mi blocco, faccio il ritmo con la voce ed è quello giusto, stringo il braccio di Greg fermandolo. Continuo quel ritmo mentre il mio amico non capisce. È lei, è lei e ho ragione. Il ritornello di "Bella ciao" arriva forte e chiaro se pur storpiato da un forte accento americano. Marcia indietro correndo, saltellando, soprattutto cantando. Proud of being Italian, ma nessuno capisce e Greg mi segue nel delirio, ignaro dell'importanza. Sono quasi sotto il palco e se m'invitassero la canterei al microfono, se non altro per salvarla dal forte accento yankee e non limitarla al ritornello.
Più tardi con orgoglio spiegherò che «you have such a lack of slogans, songs that you have to import our song!» anche se il mio interlocutore non si merita di sentirsi rivolgere tali parole e per giorni ripete che a N.Y è, e sarebbe diverso.

La sera andiamo in un centro di congressi dove si tengono incontri vari e ancora della musica: campa cavallo che l'erba cresce. Mi spiace per loro.
Terzo attacco nostalgico: fa' la cosa giusta, gas, incontri vari pro pace nelle parrocchie e nelle circoscrizioni o sedi dei partiti... homesick!


Domenica 23 Novembre

Sin dalla sera prima mi hanno detto che vedrò più gente, è quello il giorno della SOA vigil.
Assisto ad una veglia che commemora le vittime delle torture, degli abusi di potere, dell'ingiustizia. La massa di gente è per fortuna veramente aumentata, ma sono un nulla se penso che la protesta ideata da Padre Roy Bourgeois (un prete cattolico che proprio in questi giorni rischia la scomunica per aver appoggiato l'ordinazione al sacerdozio di alcune donne) con la creazione del "School of the Americas watch", riguarda tutti gli Stati Uniti.
E se non bisogna dimenticare che fino a qualche anno fa essere di sinistra da queste parti equivaleva ad essere considerati comunisti, cioè il male estremo, guardando i veterani e gli hippies datati da cui sono attorniata mi chiedo dove siano i loro figli, i loro nipoti, qualcuno avranno pure cresciuto!
Seguo la folla che questa volta in coro ripete no mas, no more, we cry e presente per le vittime nominate, come ben riportato sul programma trovato sia in albergo sia in loco. A dirigere il traffico della folla alcuni attivisti con dei cappellini rossi. Anche questo con altri dettagli è riportato nel programma: -Processions Guides, wearing red caps, will help direct you-.
Americani: non ci si può far niente se non hanno tutto esplicitato pare siano fottuti. Sorrido.

We cry. Ammetto che in alcuni momenti sento anche empatia e l'atmosfera si fa commovente: intrisa di giusta tristezza.
*Nella foto seguente al centro: Father Roy Bourgeois




Mezzogiorno è l'orario scelto per ripartire, mentre attraversiamo il parcheggio cercando di capacitarci che è vero, dentro quella scuola sono stati addestrati degli assassini e solo ventimila persone si sono indignate seconda la stima riportata in giornata (8500 secondo la polizia) ci fermiamo davanti all'ennesimo paradosso, come in un film...
Mi sorge il dubbio se mi sia più facile reperire una beretta oppure una tisana al rooibos...

30 ottobre 2008

Italian Club

Stasera, nonostante non avessi in mente nulla, ma solo invitato gli studenti a far due chiacchiere sulle differenze tra modus vivendi americano e italiano, molta più gente di quanta me ne aspettassi è arrivata. Tutte donne.

Gli argomenti li ho suggeriti io e sono stati dettati dal mio cultural shock che sembra non trovi tregua. Tra i temi: dating, engaging, relationships, PDA (Public Display of Affection)...
Poi la domanda di alcune: Do you think the U.S. are conservative?
Da quanto ho visto e sentito, sì...
A breve la spiegazione di tutto quanto, una summa di mie impressioni, spiegazioni di D. (l'amica italiana di Miami), del German teacher e delle voci degli studenti alla DePauw.

Una ragazza mi ha chiesto persino se gli uomini italiani sono infedeli. Le ho risposto dipende, ci sono entrambi: fedeli e infedeli. Ridendo ha detto menomale "so I am going to look for the italian man of my dreams!". Non me la sono sentita di elencarle gli altri difetti...

16 ottobre 2008

Campaign gadget

L'organizzazione delle votazioni da queste parti è davvero stravagante: c'è chi ha già votato, chi voterà questa settimana, chi nella propria città, chi al campus e perciò gli studenti attivisti cercano di convicere i coetanei a registrarsi. Qualcuno dovrebbe votare anche giovedì 4 novembre nel proprio paese. Weird date.

Io che non ho guardato nemmeno mezzo tg da quando sono qui, nè riuscita a leggere granché, ho almeno cercato di parlare con la gente in Università.

Al campus, come già accennato, la maggior parte sembra essere per Obama. Tuttavia il prof. di letteratura americana mi ha detto che molti affermano di votare il democratico semplicemente per timore di apparire razzisti. Sembra incredibile.
Giusto poche ore fa, invece, una ragazza mi ha spiegato che voterà per la candidata verde: Cynthia McKenney. I verdi ci sono ancora!
Il mio amico G. è per Obama, dice che la Clinton non gli piace, che sarebbe stato bello avere la Kennedy come vice, ma avrebbe significato perdere, e che Biden ha fatto delle cavolate, ma tutto sommato ci sta ancora. Quanto alla vice di McCain sostiene siano eccessivi nello stimarla e bugie le sue gesta.
D., impiegata gentilissima dell'università (addetta ai tesserini universitari), mi ha raccontato di aver stretto la mano di Obama questa settimana, in occasione dell'incontro a Indianapolis. Sembra esserne rimasta folgorata, il suo entusiasmo si è accresciuto.
J., segretaria del dipartimento spera per Obama, "ma - mi spiega - siamo un paese ancora immaturo, a third world country with too many toys and wealth".
G. mi confermerà l'affermazione "yeahh, a third world country with a strong army, because we have no health care, no education...".


Quanto a me dico che spero per Obama guadagnandomi simpatie, ma non lo faccio per quello. Piuttosto penso a racimolare gadgets.

J. oggi mi ha portato un campaign button, avrei preferito quello al femminile "women per Obama", ma non è riuscita a trovarlo.
Così stamattina ecco il biglietto che mi ha lasciato in segreteria: praticamente la hall, crocevia di chi frequenta il dipartimento di lingue moderne.
Per la serie: non mi faccio mai riconoscere.

Il prossimo passo sarà all'insegna della conquista di una maglietta.


Almeno ieri sera però sono riuscita a vedermi l'ultimo dibattito. McCanney non lo posso tollerare, mi ricorda troppo qualcun altro anche se da quest'ultimo dovrebbe imparare a sorridere. Lo sforzo immane per tentare di mantenere le labbra a mezza luna era oltremodo visibile. Inoltre fosse anche solo per l'idea di incrementare il nucleare e vietare l'aborto non avrebbe il mio voto.
Obama appariva più rilassato. Condivisibile ciò che ha detto al cento per cento (la realizzazione si sa è un'altra questione). Investire nello stato sociale: nella scuola, nella sanità (ma prima ancora nella prevenzione) e nelle fonti di energie rinnovabili (diminuendo però i consumi). L'ho apprezzato quando si è alterato e ha leggermente alzato il tono della voce, forse perché sono italiana e amo vedere passione. Quella autentica.
Nei nostri politici a volte l'eccesso genera la farsa da cui, per citare ancora Gaber, "abbiam capito che il mondo è un teatrino".

Comunque sia, certi gesti sono forse sfuggiti al controllo e, G. mi ha fatto notare che, alla fine del dibattito, mentre Obama ha cinto la moglie con un braccio scendendo dal palco, McCain ha schioccato le dita e lei lo ha seguito tipo cane. Bisogna anche dire che siamo in America e John è proprio uno yankee come molti gentili ragazzi incontrati, i quali, al momento di salutarmi, magari dopo una specie di abbraccio, quando una si aspetterebbe i classici due baci sulle guance o, piuttosto, basta quello, mi battono la mano sulla spalla tipo "Hey Frank, take care, ok?".
E va bene che c'ho le spalle un po' larghe guys, ma non sono mica un giocatore di Football americano!

28 settembre 2008

Questione non solo di Forma

ROMANZO CRIMINALE

Paese: Italia/Francia/Gran Bretagna
Anno: 2005
Durata: 152'
Genere: noir, poliziesco, drammatico
Regia: Michele Placido
Soggetto: Giancarlo De Cataldo (romanzo)
Sceneggiatura: Giancarlo De Cataldo, Sandro Petraglia, Stefano Rulli


Siccome sabato sera volevo rilassarmi, ho deciso di cercare fra i film (che qui devo definire movies altrimenti non mi capiscono) un lavoro italiano. Ne hanno pochi e per la maggior parte visti, tuttavia "Romanzo criminale" mi mancava e devo dire che mi è piaciuto. Se all'inizio si rifa a un genere gangster di stile americano (di quello alla Scorsese però) e verso la metà scivola un po' troppo in sentalismi, forse poco credibili, descrivendo l'attrazione che lega il commissario a Patrizia (prostituta e fidanzata con uno dei protagonisti malavitosi) nel complesso è un bel film che non manca di mostrare la sua anima italiana.

Mentre me ne tornavo a casa dopo la visione, infatti, pensavo all'attitudine che contraddistingue l'atteggiamento nostrano da quello che sto osservando qui. Un modo di porsi che credo si possa riscontrare su molteplici livelli e che si ripercuote anche nelle attività professionali, nell'insegnamento, come pure nell'arte deduco: nel cinema in questo caso.
Gli americani, già lo si sapeva sono maledettamente informali e uso l'avverbio non a caso perché, dopo un mese e mezzo, l'eccesso inizia a storpiare, soprattutto quando, a questa semplicità, non segue il tanto decantato "take it easy" (ma questo meriterebbe una riflessione a parte che non mancherò di rendere nota) ed è totalmente sconosciuta la flessibilità (come già accennato).
Al contrario la nostra cultura ci porta a prestare grande attenzione anche alla forma. Pratica difficile da tollerare quando diventa mero formalismo (espediente che consente agli scaltri di far risaltare contenuti minori), ma a mio parere di vitale importanza per dare compiutezza all'impegno messo nel lavoro svolto, nel perseguire uno scopo, nel mostrare l'importanza di un avvenimento o un concetto. C
redo quindi che questa attenzione serva a sottolineare ciò che facciamo o diciamo.
Insomma, per parlare come si mangia: noi ci prendiamo sul serio, può darsi anche troppo talvolta. Gli americani, invece fanno l'esatto opposto: sembra stiano sempre a cercar battute: magari perché devono rallegrarsi le giornate (è un'ipotesi come un'altra).

Noi, più o meno consapevolmente, utilizziamo tutta la nostra storia per arrivare a definire ciò che siamo, quello che facciamo. "Siamo nani sulle spalle di giganti" e mai ci permetteremmo di prendere alla leggera le fondamenta e gli appigli grazie ai quali siamo saliti così in alto. Perciò "Romanzo criminale" è italianissimo: non è un semplice film di gangster, ma ripercorre venticinque anni di storia italiana con immagini d'archivio del rapimento di Moro, della strage alla stazione di Bologna, del tentato omicidio a Giovanni Paolo II e altro ancora. E a chi dopo aver letto il Morandini mi facesse notare che Placido si è ampiamente ispirato alle opere di Scorsese, giro la domanda: che origini ha Scorsese? Su quali film si è formato? Ce lo dice lui stesso col documentario Il mio viaggio in Italia (2000).

La prima volta che la sensazione descritta, che fino ad allora era stata catalogata tra le impressioni, ha preso corpo (forma non a caso) è stato in occasione di un incontro all'università con Madeleine Albright, primo segretario di Stato donna durante il secondo mandato del presidente Bill Clinton. Un personaggio con un curriculum vitae da far strabuzzare gli occhi che, dopo essere stata brevemente introdotta, ha raccontato la sua vita, dalla nascita ad ora. Pur essendo cresciuta in una famiglia benestante ha dovuto superare i disagi della guerra e la provenienza ebraica e chissà quante altre difficoltà, tuttavia il racconto della sua biografia è stato costellato di aneddoti più o meno divertenti (e non particolarmente difficili da cogliere se anch'io col mio inglese li ho capiti) che non hanno mancato di suscitare risate. In uno splendido auditorium dai colori caldi del legno, mentre sorridevo pure io, stretta nella poltroncina rossa per il freddo del solito impianto d'ibernamento, mi chiedevo se una tal presentazione non sminuisse l'evento, ma soprattutto lei stessa. Perché è vero, e noi italiani lo dovremmo imparare, che in fondo siamo tutti uomini e donne con le medesime esigenze primarie, ma davanti a certi personaggi bisogna rendere merito, di fronte a certe carriere rimanere attoniti, ascoltare.

Mi domandavo pure quale fosse il fine. L'intrattenimento? Si considerano un'orda che deve essere intrattenuta? Panem et circenses in ogni occasione? A giudicare da alcune lezioni a cui ho dovuto assistere la testa annuisce senza che riesca a fermarla. Al corso sul governo americano mi sono dovuta sorbire una sorta di cartone animato che spiegava i diritti fondamentali acquisiti con la rivoluzione americana ('na roba agghiacciante). Ma la chicca è giunta venerdì scorso, il professore di letteratura americana entra in classe con dei libri sopra i quali ha impignato diverse balene di plastica, riproduzioni relativamente precise appartenenti al figlio, come mi ha poi spiegato. Non vorrei sembrare presuntuosa, soprattutto date le difficoltà che sto riscontrando nello studio (qui non ci riesco proprio), ma devo ammettere che certi episodi sono lungi dal coinvolgermi... Anzi, se penso alle noie che mi danno relativamente a: obbligo di frequenza, acquisto libri e svolgimento dei compiti assegnati, non fanno che accrescere la mia vis polemica...

Fortunatamente il professore di letteratura è un tipo simpatico e flessibile che pare sappia il fatto suo, altrimenti quella balena bianca gliela spaccavo in testa.

*la balena bianca, nella foto sopra il mio libro preso in prestito in biblioteca, non è Moby dick. Il tipo di balena a cui Moby Dick appartiene è solitamente grigio, ci ha mostrato anche quello.