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22 marzo 2009

to be or not to be proud (2)

Dopo un intero percorso negli States non è più necessario tornare a descrivere le caratteristiche che ci differenziano dagli americani, se avete letto i post precedenti sapete bene cosa intendo, se avete altre o ulteriori idee mi piacerebbe saperle perché l'osservazione e la comparazione è diventato ormai il mio hobby preferito.

Stando qui ho cercato di non rappresentare la "classica italiana" in vacanza che più o meno consapevolmente sostiene il: "in Italia è sempre (o ultimamente "nonostante tutto") meglio..."

Anche se non lo sappiamo siamo un popolo di orgogliosi, l'orgoglio della bella italia e della sua grande cultura come mi hanno fatto notare V. e A. ridicolizzando la mia scoperta (cfr. to be or not to be proud 1).

Infatti, anche se noi italiani non facciamo altro che lamentarci (in casa e fuori), considerarci arretrati e facciamo ancora fatica a pronunciare la parola patria o peggio ad esibire la bandiera (anzi esponiamo quella altrui minacciando la fuga!), in realtà noi questo strano e maledetto paese lo amiamo.

A darne prova non è solo Lapo Elkan che ha fatto altri soldi con le sue felpe ITALIA o ancor peggio FIAT (dopo che l'abbiamo sostenuta per generazioni con le nostre tasse dovrebbero regalarci una cinquecento, non venderci la maglietta!), bensì scrittori e registi che ne analizzano la storia e molti cantautori.

Mi sono resa conto di quante canzoni siano state scritte sul bel paese da italiani solo stando qui. La nostalgia mi ha portato a scoprire cantanti e canzoni che da anni parlano dell'Italia, la criticano e in fondo la celebrano come forse non accade in nessun altro paese.

Così mentre pensiamo la fuga già progettiamo il ritorno.

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Tra gli esempi cantati che ho in mente ci sono i seguenti presi qua e là cercando di seguire un ordine. Ma altri se ne potrebbero trovare.
L'Italiano di Toto Cotugno (la preferita del mio coinquilino); Aida di Rino Gaetano; Viva l'Italia di Francesco De Gregori; Quarant'anni dei Modena City Ramblers; Por Italia di Davide Van De Sfroos; Bella Italia dei Tre allegri ragazzi morti; Buona notte all'Italia di Luciano Ligabue (sebbene sia un tentativo a mio parere molto malriuscito) e tra gli ultimi gli Afterhours che non solo hanno portato al festival di San Remo un testo su "Il paese reale" (che lascia perplessi al primo ascolto, ma mostra un certo valore poi), ma hanno pubbicato coinvolgendo molti nomi della scena indie un album che lo descrive.

20 marzo 2009

La "mia" testimonianza

Intanto in America non ne parlano. Però provano a raccogliere i cocci.

Parlare della crisi, in America, oggi è un vero e proprio tabù. Ho provato a discutere con loro, soprattutto con i giovani. E la reazione era sempre la stessa: risposte generiche, mezze frasi, scarsa voglia di parlarne.

In gennaio a New York faceva freddissimo: non c'erano ambulanti per le strade. Ora che il clima inizia a mitigarsi, non si vedono comunque molte bancarelle agli angoli delle vie, nemmeno nelle giornate più calde.
Una donna keniota espone della bigiotteria e spiega che parecchi venditori erano soliti ritrovarsi in quel punto, ma a poco a poco hanno lasciato, sono rimasti solo in due. - A causa della crisi la gente non acquista più, e così facendo - aggiunge - va sempre peggio -.
La società capitalistica statunitense, infatti, aveva abituato i propri cittadini ad uno shopping frequente, nonostante il paese ormai da anni non produca più nulla, ma si basi sull'importazione di prodotti.
Ora la crisi, provocata anche da questo sbilanciamento, inizia a modificare l'atteggiamento degli americani. La gente sta perdendo il lavoro, a tutti i livelli, quindi potere d'acquisto e molto altro: negli Stati Uniti aumenta considerevolmente il numero di persone che non ha l'assicurazione sanitaria per esempio e, da quando la bolla legata ai mutui è rovinosamente esplosa, la casa.
Tra i motivi della crisi partita dagli Stati Uniti vi è, infatti, proprio l'eccessiva flessibilità del mercato immobiliare. Le banche elargivano prestiti facilmente agli acquirenti anche con situazioni instabili o precarie. I tassi erano favorevoli perché gli operatori finanziari erano sicuri che i prezzi sarebbero andati aumentando e il guadagno sarebbe stato continuamente garantito.
Un amico che lavora per una società di investimento ha cercato di darmi una spiegazione semplice di quanto è accaduto.
Un ipotetico Sig. Doherty poteva, per esempio, decidere di acquistare una casa chiedendo un mutuo che gli veniva concesso al tasso X. Qualche giorno dopo lo stesso Sig. Doherty scopriva un'altra compagnia che gli avrebbe coperto interamente la spesa garantendogli un tasso più basso. La fiducia nel mercato garantiva al sig. Doherty di evadere il primo mutuo, contraendo un debito con il secondo investitore. Questi passaggi potevano continuare e andavano a gonfiare la cosiddetta bolla del mercato immobiliare, basata su mere speculazioni e non sul valore effettivo degli immobili.
L'estrema fiducia nel mercato consentiva, inoltre, alle banche di attuare manovre di securitization (cartolarizzazione). Iniziate nel 2000 queste manovre hanno permesso alle banche di concedere molti mutui (i cosiddetti mutui subprime) perché grazie alla cartolarizzazione potevano rivendere i mutui ad altre istituzioni finanziarie, le società veicolo, liberandosi dal rischio di non ricevere più rate. La società veicolo lucrava da questi passaggi emettendo delle obbligazioni legate ai mutui.
Quando il mercato ha iniziato a incrinarsi la realtà è venuta allo scoperto insieme a una crisi che ha portato gli operatori finanziari a correre ai ripari.
La flessibilità che domina in ambito lavorativo ha permesso ai datori di lavoro in difficoltà di lasciare a casa da un giorno all'altro i propri dipendenti. Questo atteggiamento, che continua, ha fatto scivolare vorticosamente la situazione sempre più in basso. Il tasso di disoccupazione ha ultimamente raggiunto l'8,1%, i disoccupati sono 12,5 milioni: almeno quattro di questi hanno perso il posto negli ultimi mesi. Si dice che saranno necessari almeno 2/3 anni per uscire dalla crisi.
Le banche che sono andate in bancarotta hanno licenziato in maniera selvaggia. Tuttavia gli americani non disperano: malgrado la paura sia tanta, riescono a contenerla dietro un ottimismo perlomeno di facciata.
Ho chiesto ad ex bancario di ventisette anni cosa farà ora che da qualche settimana ha perso il lavoro, se è preoccupato. Ha risposto che aveva un buon posto, qualcosa ha messo via. Sta cercando altro. Non è pessimista, ma non sorride. Almeno per ora può comunque continuare a pagarsi casa. Ora, infatti, nonostante gli affitti siano scesi di un buon 25%, molte persone sono costrette a cercare un alloggio più economico.
Anche lontano dalle grandi metropoli la crisi non manca di far parlare di sé e influire in modo diretto. Molte le università che hanno tagliato il personale gravando i docenti di ruolo con l'insegnamento di più classi per il prossimo anno. E d'altra parte chi ha un posto sicuro se lo tiene ben stretto e non si lamenta certo del maggiore carico di lavoro. Un professore mostra preoccupazione affermando che anche dove lavora, in una piccola università dell'Indiana, frequentata prevalentemente dalla middle e upper middle class, per l'anno prossimo si prevede un numero notevolmente inferiore di iscrizioni. Perciò la politica di risparmio del campus è già iniziata riducendo alcuni servizi offerti agli studenti. È appena stato comunicato, ad esempio, che il servizio gratuito di shuttle per il supermercato del lunedì e giovedì è stato ridotto ad una sola volta a settimana. Dice, inoltre, che molti saranno i lavoratori del settore automobilistico che perderanno il posto e quindi la possibilità di garantire ai propri figli l'istruzione universitaria. Frequentare il college è negli Stati Uniti un vero privilegio e se non si ha un reddito medio alto (o la fortuna di una borsa di studio) è impossibile pensare di accedervi.
Le uniche attività che non sono state danneggiate sono quelle che in tempi di crisi fanno consulenza e riescono a lucrare sui cattivi investimenti altrui.
Tuttavia gli americani non si lamentano: hanno la percezione che in Europa la situazione sia persino peggiore e ripongono una grande speranza nel nuovo presidente.


da L'Ordine (quotidiano del comasco), 18 marzo 2009


*L'articolo è mio: l'ho scritto su richiesta di un amico ed è stato pubblicato in toto. Ho cercato di raccogliere varie informazioni, ma le testimonianze dirette sono state difficili da reperire: perciò quelle righe (da me indicate in corsivo) in apertura rubate da un dialogo via facebook.
La sera dopo durante una cena con un paio di anziane coppie qualche aneddoto in realtà è uscito, ma la situazione generale è quella indicata.
Gli americani parlano di: sport, tempo, televisione... questo quello che più di uno studente ha risposto all'ovvia domanda "Ma se non parlate di politica (in senso lato)... di che parlate???"
Il titolo non l'ho scelto io invece, ma mi piace.

R.S.P.

Scorrendo gli ultimi post ne esce il ritratto di una situazione difficile e di una persona che chiede consigli, ma in fondo lo sa già: se ne andrà su quel volo del prossimo 25 marzo.
Eppure nelle ultime settimane ho trascorso dei momenti di gioia, affetto e gratitudine che mi porterò stretti per un bel po' e che mi faranno tessere tanti elogi agli americani.

Ammetto, come già accennato nel post sul Thanksgiving day, di sentirmi una persona fortunata, negli ultimi anni, nei viaggi fatti ed anche a casa (ma in Italia sono state attentamente scelte), sono attorniata da persone squisite da cui mi sento voluta bene.

L'ultima volta che l'ho vista, Deb mi ha definita "a sweetheart" e ha affermato che sicuramente molte persone hanno desiderato trascorrere del tempo con me, ma lei per prima è un cuore al quale è facile voler bene.


Ma anche altre sono state le persone che mi hanno dimostrato un affetto, spesso del tutto inaspettato e con una semplicità tutta americana.


Tra le RSP (really special persone: sigla da me coniata in questo istante): Katherine e suo fratello John. A New York, ad esempio, dove mi hanno ospitata, non solo John mi ha più volte pagato il pasto, ma, la sera prima della mia partenza, a fine cena (avevo cucinato, Kathrine apparecchiato e acquistato dei fiori) è entrato in sala con una torta per il mio compleanno passato da soli pochi giorni. Ho festeggiato 28 anni tra "quasi sconosciuti" tra i quali mi sentivo "a casa".

La settimana precedente, inoltre, gli auguri mi erano già stati preparati da Greg che, a mia insaputa, aveva cucinato una cena vegana completa regalandomi anche una borsa di canapa biologica in tinta con le scarpe da poco acquistate.

Ma la gentilezza che forse più mi ha sconcertato è stata quella di Ken, il ragazzo di origine sudamericana, che ci ha scorazzato in giro per Manhattan a gennaio e che, nonostante non fosse assolutamente benestante (parlando ci ha spiegato di non potersi ancora permettere l'assicurazione sanitaria), ci ha pagato il pranzo e i due biglietti per salire in cima al Rockfeller center per ammirare una New York quasi notturna. Non c'è stato verso di rifiutare: ho provato a sottrargli la debit card al momento del pagamento per allungare la mia, provocando un'occhiata che mi ha quasi spaventata. Ho lasciato che facesse.

Già ho raccontato di Joshua (l'ormai famoso "quasi pastore") che ha cucinato, mi ha portato a un matrimonio, prestato la coperta, Anthony e Denis che mi hanno fatto vivere almeno un concerto a Indy e quest'ultimo mi ha inoltre fatto un cd ad hoc di Ryan Adams oltre a offrirmi il caffè ogni qualvolta finissi nel suo bar.


Altre studentesse mi hanno invitato a cena nelle rispettive sorority e tre ieri durante la cena mi hanno fatto trovare un mazzo di fiori e un pacchetto: una loro foto incorniciata perché non le dimentichi.

Prima di partire (e ancora durante la mia permanenza) alcuni mi avevano messo in guardia sugli americani descritti come molto friendly, ma incapaci di stringere rapporti profondi.
Quanti italiani sono capaci di stringere rapporti intensi e autentici? Se ascolto i dialoghi volanti colgo spesso delusioni e tradimenti.

Perciò la differenza credo stia solo nel diverso approccio. Gli statunitensi sono semplici e affabili, talvolta con un apparente entusiasmo che può sconcertare. Gli italiani al contrario vanno più cauti, spesso appaiono chiusi e caratterizzati da un atteggiamento magari persino retrivo.

Ma americani, italiani, tedeschi svizzeri... people are people... and lovely people are everywhere (fucking bastards also, unfortunately).

28 febbraio 2009

Enjoy

Gran Torino




Produzione: Double Nickel Entertainment, Gerber Pictures, Malpaso Productions, Village Roadshow Pictures, Warner Bros

Paese: USA 2008



The Visitor (L'ospite inatteso)
Sceneggiatura: Thomas McCarthy
Attori: Hiam Abbass, Amir Arison, Danai Jekesai Gurira, Richard Jenkins, Maggie Moore Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Oliver Bokelberg
Montaggio: Tom McArdle
Musiche: Jan A.P. Kaczmarek
Produzione: Groundswell Productions, Next Wednesday Productions, Participant Productions

Paese: USA 2007


Forse perché ho rischiato di perdere il visto e mi sono sentita minacciare di allontanamento forzato dagli Stati Uniti.
Forse perché ho provato se pur in modo blando la condizione dell'immigrato: la semplice percezione di non capire (e non solo a livello linguistico) e la frustazione di non essere presa in considerazione. Lo shock culturale. Il nervosismo davanti allo sguardo compiaciuto e compassionevole di chi è convinto di offrirti la luna, mentre a te pare di averla appena lasciata e ti trattieni dall'urlare che speri di non diventare mai come loro.

Pensieri sparsi, incazzature, amarezze. E sono italiana: ho una casa e una famiglia dove tornare.
Ho iniziato a guardare la realtà da prospettive che mai avrei immaginato e ho aperto gli occhi. Questi due film, entrambi americani e tutti due sul medesimo argomento sono l'ennesima conferma di quanto sto, forse per la prima volta, osservando.


Gran Torino
parla dell'immigrazione negli Stati Uniti tessendo una storia tremenda e toccante che offre squarci di vita quotidiana ai margini di una grande città americana del Midwest (forse Detroit) dove vivono soprattutto, ma non solo, immigrati di vecchia e nuova generazione.
L'aver parlato con un professore, una donna che lavora alla DePauw ed è per metà messicana e alcuni studenti, mi ha reso la visione ancora più cosciente.
Credo, infatti, che su queste tematiche, noi italiani, dovremmo guardare agli Stati Uniti : non ripetere i loro errori. I problemi legati all'immigrazione che noi andiamo scoprendo sono qui parte integrante della storia, quale migliore grande fratello? Perché ci si limita sempre solo alle analisi economiche?
Ad esempio, da qualche anno, anche nelle grosse città italiane si sono formate le gang di ragazzi ispanici, asiatici... Cosa fare? Dal film emerge chiaramente come la speranza di un lavoro e la dignità possano salvare. In primis però bisogna garantire l'istruzione. La scuola è fondamentale. Perché se no Obama vuole dare la possibità a tutti di accedervi? Da noi si fa come i gamberi...

Credo che molte delle nostre difficoltà e i tanti dubbi derivino dal fatto che siamo sempre stati abituati a considerare l'Italia terra di emigrati non il contrario. Soliti ad essere solo italiani tra italiani. I pochi stranieri fino almeno un quindici, vent'anni fa erano guardati in modo quasi esotico. Ora che le cose sono cambiate i nuovi inquilini sono genericamente clandestini. Ma cosa significa essere clandestino?

Il film The visitor pone allo spettatore questa domanda. La trama è semplice, la vicenda cade in un quotidiano che ci è contiguo, ma che non realizziamo. La risposta è forse un'altra domanda. "Cos'è un permesso di soggiorno? Quale unzione ti permette di concedermelo o meno? Cosa ti dà il diritto di cacciarmi da un territorio? Forse perché sei nato qui? E i tuoi genitori pure? E i tuoi nonni? I bisnonni... non lo sai più? Ma se anche, cosa ti fa pensare di poter disporre della mia di vita?"
Consiglio il film perché semplifica il fatto in modo magistrale dando una visione chiara dell'assurdità che io non riesco a spiegare.

Naturalmente è altro il discorso per chi commette dei crimini, ma in quel caso non si parla più di clandestinità, bensì di criminalità e il trattamento dovrebbe essere uguale per tutti, senza buonismi e cadute in prescrizione...
Scrivo queste righe dopo aver ascoltato tante notizie tragiche sia per gli italiani (i tg sembrano bollettini di stupri), sia per gli stranieri (mi viene in mente Rumesh, il giovane ragazzo cingalese di Como a cui un vigile ha sparato perché non si era fermato all'alt) e credo che la soluzione non stia in banali reimpatrii. Mi stupisco, ogni volta come se fosse la prima, davanti alla comune cecità blindata che non permette di vedere come alla radice del problema ci sia un sistema economico globale malato, basato sullo sfruttamento guarda caso proprio di quelle zone da cui i cosiddetti clandestini provengono.
Sintanto che la politica economica procederà in questo modo non illudiamoci di vedere diminuire il flusso di arrivi in Italia, nonostante i populistici annunci pro securitate.
Tanto vale trovare soluzioni alternative e arricchirsi scoprendo il futuro vicino. Nel mio piccolo posso dire che, nonostante i dubbi iniziali, gli immigrati seduti nelle mie classi italiane l'anno scorso, non hanno mancato di dare importanti contributi.

Enjoy.

15 febbraio 2009

Happy Valentine's day!

Non so se sono io ad averne ormai perso l'abitudine, ma mai avevo visto un San Valentino tanto celebrato. Qui negli States, infatti, la ricorrenza è partilarmente sentita e pure in biblioteca sono stata sorpresa dalla scritta "Happy Vanlentine's day!".
Sarà che noi siamo più realisti (perlomeno chi mi attornia), ma quando ho mostrato perplessità dicendo che in Italia, nonostante parecchie coppie si facciano il regalo o escano a cena, tutti sono consapevoli della farsa commerciale, G. mi ha guardato con un sorriso "but you are supposed to be lovers..." poi ha aggiunto "people here need to love and be loved".
Così ho scoperto che se non sei fidanzata negli States puoi comunque festeggiare il 14 febbraio chiedendo ad un amico di farti da Valentine per quel giorno "Do you want to be my Valentine?". Vi regalate qualcosa, anche solo un biglietto, e magari uscite a cena (pare che per quel giorno non ci sia un doppio fine... )
Oppure lo si può festeggiare anche semplicemente con le amiche, o gli amici, o entrambi.
Sono, infatti, stata invitata a fare i dolci con un gruppo di single girls (ci manca solo che affogo la tristezza nel cibo pure in compagnia!) e ad una festa aperta a tutti.
Ho dato buca a entrambe preferendo aspettare una Pasqua forse italiana che qui non verrà nemmeno quasi menzionata.
*Ricevere fiori però fa sempre piacere :-)

Appendice a conferma: mentre scrivo l'addetta al bar della biblioteca chiede ai ragazzi se hanno avuto un buon San Valentino e pure il sacerdote, durante la predica, vi ha fatto riferimento.

12 febbraio 2009

People are people (forse), ma certi americani, li amo.

Una settimana fa facevo la spesa al solito posto quando sento chiedere "How are you doing?", è un commesso, ma non sono certa saluti me, non sono nemmeno sicura di ciò che abbia detto. Abbozzo un sorriso, mi guardo intorno e non c'è nessun altro. Mi avvicino al ragazzo "Pardon?", "How are you doing?" ripete e io inarcando le labbra "I'm ok thanks". Mentre sistema della frutta mi spiega che non gli piace la gente che non risponde, non ce l'ha con me, ma annuisco e preciso che pensavo la domanda non fosse rivolta a me. Ci scambiamo uno sguardo cordiale da gente che si trova simpatica.

Oggi torno perché domani devo cucinare il risotto alla milanese per le due anziane coppie di americani che ogni tanto si prendono cura di me (sono riuscita a guadagnarmi pure un'aspirapolvere) e dunque vado in perlustrazione. Mi serve il riso arborio (non c'è), il parmigiano, ma soprattutto lo zafferano. Per evitare inutili ricerche decido di rivolgermi subito al personale. Vedo il commesso della scorsa settimana e mi avvicino. Lui si prende a cuore la missione. Guardiamo tra i prodotti naturali/biologici: nulla. Mi assicura che c'è. Lo seguo tra le spezie, un collega glielo indica. Prima che io me ne accorga, è lui ad indicarmi il prezzo: 23 dollari!!! "I think I will cook something else!".
Mi chiede com'è quello che mi serve, racconto che in Italia lo compro in polvere ed è pure caro, ma non così tanto, magari lì ce n'è di più e bla bla... Mentre parlo accovacciata accanto a lui davanti a decine di boccettine di spezie, inizia con tutta naturalezza ad armeggiare col barattolo: lo apre, estrae la busta di carta bianca, mi mostra il prodotto "is this?" chiede, giusto il tempo di pronunciare yes, "Have you something to put it?". Apro istantaneamente il biglietto con la lista della spesa e me ne trovo mezza confezione in mano. "Is it enough?", stupita, disorientata e contenta dico un altro yes e lui afferma che non si può pagare così tanto per una spezia. Come dargli torto?! Poi richiude il contenitore di cui non ha nemmeno rotto la plastica protettiva... Ringrazio con 32 sinceri denti in vista. Penso che questo è "take it easy" e continuo giuliva la mia spesa.

L'educazione ricevuta però fa digitare al mio cerebro la parola "furto".
Poi dicono degli italiani...
Risolvo il problema pensando che in fondo questo è un "rubare ai ricchi per dare ai poveri": qui esistono i Robin Hood. In Italia non ne ho mai incontrati, nonostante la legge che Tremonti così chiamava. Forse che nel mio paese chi infrange le regole lo fa solo per trarne vantaggi personali?

Poi mi viene in mente la confidenza del mio coinquilino (from Austria!) che spesso evita di pagare il caffè in mensa riempiendo la sua tazza senza dichiararne il contenuto alla cassa.
Dunque tutto mondo è paese?
Così pare, solo che da noi ci si vanta delle truffe!
Infatti, a dimostrazione, l'autrice pirla riporta il suo episodio con soddisfazione.

In realtà mi ha lusingato la gentilezza. E il gesto acquista valore perché regalatomi da un perfetto sconosciuto (e anticipo ogni perverso pensiero affermando che non solo non mi è stato chiesto niente di niente, ma al dito il giovane portava pure la fede). Gli americani sono semplicemente gentili (cfr. esperienza a N.Y.), l'ho già detto, è un dato di fatto e certi americani li amo.
*In un risotto per 5 persone quanto ce ne va di quello sopra fotografato?

2 febbraio 2009

Cosa mi piace degli Stati Uniti / What I like in the U.S.

Cosa mi piace degli Stati Uniti è un post su commissione. Non che mi paghino per scriverlo (già molto che non debba pagare io per caricare parole in rete!), ma è stato richiesto da un amico che mi ha accusata di essere antiamericana...
Nonostante credo la definizione sia stata data più con vis polemica che raziocinio, raccolgo volentieri l'invito.

New York. Questa città mi è piaciuta, ho apprezzato tanto anche New Orleans. Sono città vive, dove ci sono i caffè per trovarsi e i locali nei quali sentire musica. Tuttavia ci sono stata poco, soprattutto a New Orleans e l'opinione risulta parziale.
Nella grande mela ho trascorso una settimana. Finalmente una città vera: un luogo dove poter trovare di tutto, fare di tutto. Immensa, ma ben collegata dai mezzi. Un luogo dove perdersi, nascondersi, ritrovarsi. Io ci ho vagabondato stanca sperando di tornarci.
Mi avevano detto che avrei visto la frenesia fatta carne, invece ho semplicemente ritrovato un po' d'atmosfera europea a cui già ero abituata. A Milano ne ho visto esempi peggiori, e la stessa DePauw University con la sua inutile pretesa pianificatrice è a mio avviso persino più estenuante.

Ma devo dire quel che mi piace.
In prima posizione metto la semplicità e la gentilezza degli americani. Iniziare a chiacchierare col vicino mentre si aspetta l'aereo, o conoscere l'avventore del bar o del ristorante accanto al quale siamo seduti è molto comune.
A New Orleans ad esempio abbiamo conosciuto un professore universitario di psichiatria che stava cenando su un tavolo adiacente al nostro, alla fine ci ha dato il suo indirizzo mail; a Manhattan un amico del nostro ospite (un colombiano nato e cresciuto negli States) ci ha mostrato per un'intera giornata la città, offerto il pranzo e pagato i venti dollari a testa per salire sul Rockfeller center. Nonostante versasse in condizioni tutt'altro che floride, non c'è stato verso di rifiutare.
E non ci si dà del Lei, non esiste (qualcuno mi ha detto ci fosse, tuttavia ora non si usa). Con la gentilezza che conviene ci si rivolge allo stesso modo al professore, al compagno di classe, al medico e all'autista del bus. E se è vero che alle volte mi smarrisco in questa abitudine e vorrei trovare modi più ossequiosi per taluni soggetti, arrivo alla conclusione che il rispetto non si misura sulla base di un pronome.

Insieme alla facilità di relazione, c'è una certa noncuranza verso l'abbigliamento che di sicuro preferisco all'ossessione nostrana. Tuttavia sapendo dove e quando andarci è facile trovare pure abiti e accessori dignitosi e di marca a prezzi ridotti.
Non vi dico lo sconcerto quando in pieno centro a New York sono andata da Daffy's dove, insieme ad altri indumenti dell'italianissima Deha, ho notato un paio di pantaloncini simili a quelli acquistati l'estate scorsa a Milano con un esborso di oltre quaranta euro. Il cartellino Daffy's price aveva un ammonto di soli tredici dollari. Certo però i capi non sono dell'ultima stagione né ben disposti... Invidia!!!

L'idea che la legge vada rispettata è fondamentale nella mente degli americani. Poi non lo so se lo facciano, i furbi ci sono ovunque però perlomeno non vanno in giro a vantarsi per le truffe realizzate! Anzi la maggior parte delle persone mostra sgomento all'idea di trasgredire la norma. Più di una volta ho sorriso... più di una volta avrei pure mozzato il capo al mio interlocutore per la rigidità e la ristrettezza mentale mostrata in termini legislativi burocratici.


Altro apprezzamento va alla stima che nutrono verso la propria classe politica. Assodato che George Bush sia stato il peggior presidente degli Stati Uniti e un idiota, ora i democratici incontrati nutrono una speranza verso l'uomo e il politico Barack Obama che in Italia non ho mai visto nè vagamente ipotizzato (e forse non è difficile capirne il perché).


Mi sto abituando alla fantastica comodità della rete: qui è piuttosto semplice trovare una rete-wireless non protetta da poter usare e la gente legge quotidianamente la posta e risponde subito alle mail.


Come anche in Germania, anche qui ci si porta caffè e tè appresso. Pratica che già avevo importato persino nella biblioteca comasca. Tuttavia gli americani non hanno grandi thermos come gli Alemanni, ma capienti tazze col tappo, da cui bere direttamente.
Non ho resistito: è stato l'ultimo acquisto.
Altra libertà "inappagabile": si può mangiare quasi ovunque. Per le strade la gente mangia qualsiasi cosa. Ok è vero, non sempre è un bello spettacolo...

I bagni. La maggior parte dei bagni pubblici sono puliti e provvisti di carta. Evito l'ovvia comparazione.

Infine, ma di questi tempi, dovrebbe essere la prima, l'attitudine che le persone mostrano di fronte alla possibilità di perdere il lavoro o una posizione economica raggiunta. Ricominciano.
La mancanza di uno stato sociale, una visione improntata ad apprezzare la "capacità di farsi da sé" che è intrinseca alla storia di questo stato (nella sua accezione positiva, ma spesso anche negativa: esaltazione del self made man, di colui che ha successo economico), un mercato del lavoro molto più mobile (come i licenziamenti anche le asssunzioni sono più semplici) sono, credo, tra i principali fattori di questo atteggiamento.
Non so se siano maggiori i pro o i contro (o forse un'idea ce l'ho e la si può immaginare) ma penso che noi italiani dovremmo guardarne il lato positivo e capire che si può cambiare, ci si può spostare. Si deve provare e, se si cade, gambe e braccia ci faranno rialzare.


Quest'ultima constatazione apre confronti immensi che sento constantemente ripetere quando guardo la tv italiana in rete. Non si fa altro che guardare agli States eppure non è tutto oro quel che luccica e noi italiani ci autodemoliamo continuamente.
Bisognerebbe invece ricordare il verso del buon Gaber:
"Rispetto agli stranieri noi ci crediamo meno ma forse abbiam capito che il mondo è un teatrino".
Perciò a breve un post "American versus Italian a manovella".

22 gennaio 2009

Couchsurfing

"You know, people care about what they wear, show the brands: gucci, prada... but that counts nothing(...) and as for where we are from, it doesn't count either.
First of all... I am not American, you are not Italian... but HUMAN BEINGS and that's COUCHSURFING."
Da un discorso fatto in un cheap bar di Hell's kitchen a Madhattan, a parlare un colombiano che da anni vive a N.Y. ed è un couchsurfer.

Da ormai quattro giorni siamo a New York city e dopo averne sentito parlare in Italia e soprattutto qui (il mio coinquilino l'ha sperimentato e me l'ha vivamente suggerito) abbiamo anche noi di fare un'esperienza come couchsurfers.

Couch significa divano ed è quello che ti aspetta dalla persona che contatti e ti risponde tramite il sito creato ad hoc (clicca sul titolo del post per il link).
Si chiama couchsurfing ed il nuovo modo di Viaggiare (non a caso con la maiuscola) in modo economico. Permette non solo di evitare la "triste" visita turistica, ma dà la possibilità di conoscere gente e viverne i luoghi, respirandone l'atmosfera.
Dopo essersi iscritti al sito si è in contatto con persone da tutto il mondo che offrono e cercano un alloggio gratuito per qualche notte. In cambio un vero scambio culturale con tutto quello che questo può comportare.

Questa è la nostra quarta notte a Manhattan da Mike che ci ha offerto un divano letto (e pure le lenzuola che noi manco quelle!) nel suo appartamento a quindici minuti a piedi da Times square. Non paghiamo nulla, la sera compriamo del cibo e cuciniamo anche per lui. La casa è relativamente pulita (e comunque mille volte meglio dell'ostello) e lui è veramente gentile.
Stasera ci ha invitato a vedere la prima puntata della quarta serie di Lost in un bar in zona, poi birra e free hot dogs da Rudy, dove si è svolto il dialogo sopra citato.

Couchsurfing iperconsigliato a tutti.

13 gennaio 2009

Ostelli

Starsene in giro per oltre un mese comporta una spesa considerevole perciò onde evitare di trovarsi col conto prosciugato nel giro di una settimana abbiamo prevalentemente alloggiato negli ostelli, anche se talvolta un motel si sarebbe forse rivelato più pratico e altrettanto economico. Ma avendo lasciato l'onere della prenotazione ad altri non posso ora lamentarmi.

Come ogni biblioteca che si rispetti, anche ogni ostello ha i suoi matti. Se vi si passano più di tre giorni consecutivi li si distingue, dopo i cinque si rischia di farne la conoscenza.
















A San Diego, ad esempio, c'era un soggetto vestito Asempre con pantaloni e canotta nera, con unghie di mani e piedi laccate, che passava le sue giornate su una poltrona a leggere.

L'ostello di Venice Beach era talmente pietoso che ci trascorrevamo meno tempo possibile. La cucina era impraticabile e i bagni tutt'altro che comodi. Tuttavia penso passassimo noi per gli anomali dato che eravamo tra i pochi a calpestare la lisa moquette con le scarpe e un certo schifo mentre gli altri ospiti vi si aggiravano incuranti a piedi scalzi: ma che anticorpi hanno gli stranieri?!

Il covo di personaggi stravaganti (per usare un eufemismo) è stato però scoperto all'Adelaide hostel di San Francisco. Mio fratello ed io ci siamo fermati per ben otto giorni, tempo sufficiente a realizzare che alcune delle persone che vi lavoravano erano stranieri alcuni, si è dedotto, senza un visto valido, tra questi un'italiana, mentre altri dovevano provenire o da una comunità di recupero per tossicodipendenti o aderire ad un programma carcerario per il reintegro nella società dei detenuti.
A conferma di ciò, riporto qualche battuta ascoltata la penultima sera. Ero davanti al pc e al mio fianco stava un tizio sui quaranta che parlava al telefono cercando di convincere una ragazza a stare con lui. Io, disinteressata scrivevo sui facebook-walls altrui. Ad un certo punto la sua insistenza attira però la mia attenzione e lo sento dire : “Think with your mind! What you want... not what your parents do want for you! Do you want to stay with me?... I'm not sure... Yes I love you. So do you like me? Why aren't you sure? ...if you are ok with our age difference, my story, my way of living, the fact that I was in jail...”. Ho finto di non sentire e continuato a battere i tasti con un “epperò” tra i denti.
Tra gli altri soggetti curiosi un italo brasiliano che pur essendo un ingegnere, lavorando per l'interpol e avendo conoscenze importanti pressochè ovunque stava in ostello... L'amico C. ha finito per credere a tutte le sue panzane contribuendo a incrementare lo standard di furbizia. Ancora qualche giornata e avrebbe persino creduto alla trovata da lui stesso ideata: col mio reale brother ha infatti pensato di essere geniale spacciandomi per la sorella di entrambi così da non dare dubbi sul rapporto che ci legava di fronte al gentil sesso.
Qui a Miami sfruttiamo la gentilissima ospitalità della Dani, a New Orleans hotel per tre giorni poiché l'ostello è lontano dal centro, mentre a New York si vedrà. Portafogli semi vuoti chiedono una nuova strategia.

Oggi finalmente sono riuscita a stirare, così da evitare lo stato da punkabbestia per la prossima settimana. A San Francisco ero arrivata infatti al punto che i barboni non mi chiedevano nemmeno più i soldi, e se lo facevano ad un mio scuotere del capo sorridevano, vedendo forse una futura collega.
Ha ragione mamma che devo bere il caffè seduta, altrimenti divento povera.

4 gennaio 2009

The american way

Scrivere durante il viaggio è più complesso di quanto pensassi soprattutto se non si è soli. Siamo in cinque, dunque mi trovo tutt'altro che per i fatti miei come sono solita.

Viaggiare in più persone ha i suoi pro, soprattutto quando qualcuno si occupa degli itinerari, qualcun altro ti dice che bus prendere e quali vie percorrere. Ma divento pigra e seguo senza curarmi dei nomi delle vie e delle piazze, rischiando perciò di osservare meno la città.
Lo svantaggio maggiore è però dato dal gruppo in sé che limita per sua natura la possibilità di conoscere gente.
Stanotte ho dormito malissimo e mi sono alzata molto prima del solito, l'ostello era vuoto e silenzioso, ma ho incrociato un inglese simpatico, di Cambridge che mi ha fatto un po' rimpiangere i miei lonely on the road.

Tra l'altro giro con quattro ragazzi: due dei quali (mio fratello e il suo amico) ogni tanto vorrebbero vedermi scomparire temendo che qualche donzella vedendoci mi scambi per la loro fidanzata, mentre gli altri due mi eliminerebbero volentieri perché non mi tollerano. Pensano che parli troppo e gli danno noia le mie pretese di dividere le spese così come alcune mie idee o atteggiamenti. Sto cercando di limitare i miei eccessi per rendere l'atmosfera piacevole, ma non è facile. Il maltempo e il freddo pure ostacolano la mia rilassatezza.
Più i giorni passano più mi ripropone la sensazione che qualsiasi cosa organizzi o faccia qui diventi complicata e mi riduca ad essere altro da ciò che sono...

Il mio oroscopo di Brezsny sembra nuovamente essere adatto:
Pesci (19 febbraio - 20 marzo)
Cosa ti costerebbe collaborare con le forze del cambiamento? Ma non in modo rassegnato e risentito. Non con un senso di sconfitta, desiderando che tutto resti sempre uguale. E cosa dovresti fare, invece, per adattarti con entusiasmo ai cambiamenti in arrivo? Come potresti imparare a essere grato e felice per l’eterno fluire delle cose? Il tuo compito nel 2009, Pesci, sarà diventare un surfista esperto per cavalcare le magnifiche, allegre, gioiose onde della vita.
(Original version: What would it take for you to collaborate with the forces of change? Not in a resigned, resentful way. Not with a sense of defeat, wishing things could stay the same forever. Rather, what would you have to do in order to feel eager about adjusting to the ongoing shifts? Is there any way you might even learn to experience exhilaration and gratitude in the face of the eternal flux? Your assignment in 2009, Pisces, is to become an expert surfer of the beautiful, playful, blessed waves.)

Le visite sono interessanti, ma anche in California dove fin'ora siamo prevalentemente stati non riesco a trovare quell'America letta in certi libri e vista in certi film. Gli States che desidero visitare fanno dunque parte solo di quella subculture che come turista non riesco a scovare? Non sono l'unica a provare queste sensazioni, mio fratello ha confessato di essere deluso nonostante sia contento del viaggio.

Per ricapitolare le tante miglia percorse.
Dopo San Diego siamo andati a Las Vegas. Appena arrivata ne sono stata entusiasta provando le stesse sensazioni di quando da bambina entravo a Gardaland. Mi sembrava di essere in una mega opera pop, alcuni alberghi mi ricordavano quelle sorte di pseudo-palazzi gonfiabili dove i bimbi saltano divertendosi tantissimo. Però a Las Vegas non si salta, si sta seduti davanti a un tavolo o a una slot fumando, giocando, qualche volta vincendo più spesso perdendo mentre troppe luci illuminano l'inutile. Qualche ora è sufficiente non solo a visitarla, ma pure per sposarsi con uno dei tanti pacchetti proposti dagli alberghi che ospitano le wedding chapel.

I miei compagni di viaggio non hanno nemmeno acconsentito a farsi fotografare con me all'interno della cappella: "It's a joke guys!". Invano: mancano di spirito i giovani o...


Il giorno dopo Grand Canyon con la neve. Guidare nel deserto ha dato soddisfazione, limitarsi a vedere gli ammassi rocciosi coperti di neve, da un sentiero in mezzo ad altri turisti infreddoliti che come noi avevano pagato 25 $ per avere accesso al parco, meno.

Terza tappa Los Angeles dove abbiamo festeggiato Natale in un American bar a fish and chips. Il maltempo ci ha seguito e nello squallido ostello dove abbiamo alloggiato è mancata l'acqua calda per i primi tre giorni. Due docce in cinque giorni e dormito quasi vestita, ma L.A. m'è piaciuta. Le vie principali di downtown ospitano bei grattacieli da tipica città statunitense mentre altre aree fanno desiderare una vacanza estiva.

Il nostro alloggio era a Venice Beach, posto carino, ma particolare, forse quartiere alternative e non particolarmente ricco dato i personaggi che l'hanno affollato nel primo giorno di sole.

Col bel tempo l'indice di apprezzamento è sicuramente aumentato e finalmente c'era aria da "sognando California".



*Qui sono sulla spiaggia di Venice Beach nel giorno che ritengo il migliore sin'ora. Sole e mare hanno permesso una felice rilassatezza. Inizio a pensare che per la mia salute psicofisica mi dovrei trasferire al mare.

A qualche miglia di distanza Santa Monica e Beverly Hills, quest'ultimo è veramente bello. Sicuramente ricco, ma non kitsch come invece lo è Holliwood che mi ha lasciato quantomeno perplessa. Inoltre Beverly hills è stato l'unico posto dove ho sentito forte l'atmosfera natalizia, in tutte le altre città, infatti, gli addobbi erano minimi e miseri.

E se i pesanti lampadari sistemati sulla via principale di Beverly hills erano forse un po' eccessivi, li ho comunque preferiti al nulla di altre zone o all'atteggiamento "politically correct" della DePauw university che per non rischiare di offendere chi non è cristiano ha deciso di eliminare le decorazioni. Infatti prima di partire, nel midwest più conservatore quasi nessuno mi ha augurato Merry Christmas, ma Good holidays. E davanti al mio Why? mi è stato fatto notare che Christmas contiene il nome Christ. Le assurdità di questo paese vanno ingigantendosi ai miei occhi.

Il 30 siamo arrivati a San Francisco: an amazing city. Al contrario delle metropoli statunitensi e' compatta con un sali-scendi di strade e mezzi di trasporto che sembrano efficienti. L'architettura vittoriana a pochi blocchi dagli alti grattacieli colpisce piacevolmente il visitatore che resta affascinato anche dai bei quartieri lungo la baia.
San Francisco e' proprio bella, forse ci vivrei se non fosse per le solite caratteristiche che la omologano al resto degli States, tra le quali vi e' un altissimo numero di mendicanti (qui soprattutto black people).
Mi sembrano molti di piu' rispetto a quelli che ci sono nelle citta' italiane, ho chiesto ad altri conferma e l'ho avuta. Ho persino incontrato il mio coinquilino V., anche lui qui di passaggio, e suo fratello ha spiegato che nemmeno a Vienna ce ne sono cosi' tanti.
Inoltre la maggior parte di questi personaggi senzatetto sono pure weird and maybe scary, devo ammettere che mi fanno un certo effetto.
L'ho detto a G., lui mi ha risposto che molti di loro sono ex soldati "This is the way our state treats the soldiers after using them...". Triste.
Nonostante cio' ci stiamo godendo la citta' e qui abbiamo stappato lo spumante il 31 trasgredendo la legge che vieta di bere per strada.
Abbiamo fatto la spesa, cenato in albergo (stupendo gli altri ospiti per la mole di cibo acquistato!), andati in un bar e poi in piazza dove abbiamo stappato un martini da ben 12 dollari ("perche' compriamo un vino decente!") che dopo un primo sorso si e' andato prosciugando nelle gole di americani sconosciuti. Nessuno di loro aveva del vino: nemmeno a capodanno fanno uno strappo alle regole (tra l'altro assurde!). Nessun botto, nessun fuoco d'artificio. Union Square, la piazza centrale era chiusa: ci siamo tenuti sui margini e non si capiva quando sarebbe arrivata la mezzanotte. Sembrava incredibile fosse la notte dell'ultimo.
V. era a Las Vegas dove si aspettava l'eccesso, mentre ha confessanto una certa delusione.
Certo per le strade di San Francisco la gente era tanta ed incrociandosi si faceva gli auguri. Questa e' una cosa che mi piace degli americani: parlare agli sconosciuti, fare amicizia in un attimo anche se solo per quell'attimo. Adoro il loro saper essere easygoing, molto piu' comune che non da noi.


Le prossime tappe sono Miami, New Orleans e New York, ma potrei scrivere ancora a lungo sulle citta' visitate e insieme potrei unirci tanto altro come ho appena fatto in questo post che perde il capo e la coda, ma pazienza: this is the American way guys!

5 dicembre 2008

Cosa dicono di noi

L'altro ieri per mail mi è stato inviato il link all'articolo che segue, pubblicato sul sito della National Public Radio. Parla dell'Italia e di come le donne sono vittime del sessismo maschile. Non ho potuto che confermare. E quando, a pranzo, una docente americana mi ha chiesto: "Oggi tra le news hanno detto che il femminismo italiano è morto, è vero?".
Non so rispondere a quest'ultima domanda, ma ogni volta che in Italia ho affermato di essere femminista sono stata guardata con diffidenza, se pur di sottecchi.

In Italy, Feminism Out, Women as Sex Symbols In
by Sylvia Poggioli

Morning Edition, December 3, 2008 · Americans and northern Europeans visiting Italy often comment on the sheer quantity of exposed female flesh in advertising and on TV shows.
That exposure is inversely proportional to the presence of women in the labor force, in management and in politics.
Feminists place a lot of the blame for the commercial use of the female body at the door of Italian Prime Minister Silvio Berlusconi.
A recent popular TV show was a contest for two showgirl slots on a top satirical program. More than 5,000 women applied, and the prime requisites were perfect bodies and the ability to dance on tabletops.
Both on public television and on networks owned by Berlusconi, who also is a media tycoon, scantily dressed women can been seen — but rarely heard — on all types of programs, from quizzes to political talk shows.
Showgirl As Role Model
Opinion polls indicate that the showgirl is the No. 1 role model for young Italian women, including 21-year-old student Livia Colarietti.
"If I were a little thinner, I would have joined the contest to become a showgirl," Colarietti says. "I enjoy those shows. I really like to watch them."
One very successful showgirl is Mara Carfagna, who left an uncertain singing career for politics. Berlusconi chose her for the slot of minister of equal opportunity — and both denied media reports that they were having an affair.
Satirist Sabina Guzzanti has publicly scorned the former topless calendar girl.
"I took strong position because it is absolutely a scandal," Guzzanti says. "Here we have more a pinup exactly than a showgirl, someone showing her body, and she became minister of equal opportunities."
Veteran feminist Grazia Francescato concedes that Carfagna is winning with her ways.
"We have gone from equal opportunities to equal opportunism," Francescato says. "You try to be very appealing to the other sex, especially to very powerful men. "I am very, very disappointed by women."
Feminists were powerful in the 1970s, winning universal health care and legalization of divorce and abortion, but then there was a backlash.
Sexism In Italy
Today, Italy has the lowest percentage of working women in Europe. Only 2 percent of top management positions are held by women — that's even behind Kuwait — and only 17 percent of the members of parliament are women — less than in Rwanda and Burundi.
Television has become women's prime showcase.
"To sell your body for a calendar, for a career, is not considered now so bad for many young women," says social scientist Elisa Manna, who has studied this issue's impact on Italian society. "This kind of attitude is connected to television, because they have this kind of model in every hour of the day."
With remote in hand, a viewer can zap from game shows with giggling girls in bikinis to prime-time anchorwomen with plunging necklines. All of this sexiness on television began with the birth of Berlusconi's networks in the 1980s.
The 72-year-old prime minister speaks openly about sex. He recently bragged, "I sleep for three hours, and still have enough energy to make love for another three.''
Female Solidarity Out Of Fashion
The Berlusconi TV model is widely seen as having shaped Italy's contemporary society, and journalist Lilli Gruber says feminism and solidarity among women are out of fashion.
A former TV anchorwoman who resigned from public television in protest over Berlusconi's control of the media, Gruber says most women appear unwilling or unable to assert themselves and too weak to fight.
"To fight back against growing sexism, growing violence against women and domestic violence especially, fight back all these politicians who don't move an inch in order to allow women to be in charge and take on responsibilities," Gruber says.
She points out, however, that the majority of Italians now studying in universities are women — a generation that she believes won't be passive and might even succeed in breaking down Italy's old-boy network.

Spero che la Gruber abbia ragione, ma non mi sento così ottimista.
Se, come dice, è vero che oggi la maggior parte degli studenti universitari sono donne, al tempo stesso, credo che il culto per l'immagine non risparmi nessuno e che in Italia i canoni di bellezza siano diversi e proprio perciò più estesi.

Negli States esiste tuttora la classica pin up: la donna tutta curve e maquillage che sculetta in shorts, l'oca per intenderci (la stupida che a quanto pare piace se la catena di ristorani Hooters, dove pseudo conigliette in canotta bianca, pantaloncini arancioni, sneakers e calzettoni, ha centinaia di locali). Poi ci sono le donne belle o brutte, curate o meno.

Da noi ho l'impressione che sia diverso. Le oche sono ritenute tali mentre tutto l'universo femminile è sotto una fortissima pressione estetica.
Bella e intelligente se possibile. Ho messo al primo posto l'aspetto estetico non a caso, ovviamente, e accanto ad esso ci vorrebbe la specificazione: magra, anzi magrissima è meglio. Non ci crede, infatti, più nessuno al finto complimento "ma tu hai le forme". I canoni estetici attuali sono diventati rigidissimi negli ultimi anni e non risparmiano nessuno.
Inoltre la bellezza italiana non deve essere artificiale, e questo è un fattore positivo se inteso col suo contrario: naturale, cioè sano, genuino. Tuttavia a guardare gli scaffali di farmacie, profumerie, supermercati... non si direbbe. Pile di creme anticellulite, anticuscinetti, sostieni seno, sostieni glutei, braccia... Qui questa merce è quasi inesistente e mi riferisco non solo a Greencastle, ma anche a Indianapolis e Miami.
Tuttavia una studentessa mi ha detto che un'amica della madre in quanto giornalista televisiva si deve sottoporre a regolari controlli di peso per poter apparire sullo schermo (questo a Indianapolis), ma non ho informazioni più dettagliate né so come funzioni in Italia.
A conferma invece della sensazione sopra descritta ho trovato un'intervista rilasciata dal direttore del neo nato Playboy in versione italiana, Gian Maria Madella che dice:
"Quello che è certo è il fatto che le modelle e le attrici che verranno proposte sulle pagine della versione italiana di Playboy saranno certamente lontane dallo stereotipo delle conigliette made in USA, questo perché da noi i canoni di bellezza sono diversi, e dunque, la ricerca fotografica verterà su un profilo più sofisticato e raffinato".
Ad ogni modo pure Playboy arriverà da noi e (da notizie lette su qualche blog) pare anche Hooters... tutto mondo è paese e riusciamo sempre a importare il peggio.

Per quel che riguarda la politica, l'articolo dice già tutto e ancora mi chiedo come le donne possano votare i maschilisti.

Nell'ambito lavorativo so che in America ci sono delle quote. Ad esempio l'università è costretta ad assumere un certa percentuale di donne. Non so se sia un bene o una sorta di discriminante al contrario.

Alle donne che hanno raggiunto i posti chiave, comunque, quote e bellezza non sono stati sufficienti. Ci vuole ben altro e mi chiedo a quanto di sé quelle donne abbiano dovuto rinunciare per arrivarci, ma qui si aprirebbe una voragine sulla quale al momento preferisco rimanere sospesa.

27 novembre 2008

Thanksgiving day

Some photos of today: my FIRST THANKSGIVING DAY.

I had a beautiful lunch-dinner (better just say meal maybe) at four with Deb, her family and friends. Perhaps the food was not so healthy in some way, but the people were: so nice people.

Although my sfiga (I haven't found a good translation, yet) for some shit that happens sometimes to me and my attitude to be often quite clumsy, which brings me in embarrassing situations, I must admit that with people I'm lucky.
I can boast an awesome family and amazing friends.
I've met so beautiful people in my life! ...yes also some idiots, but they are the exception that confirms the rule.

When I felt bad for the reasons already written, I resisted thanks to some lovely people I knew. Deb was one of them.

I had a nice day today.

From now on I really want to change my attitude: be happier, smile of myself, enjoy the moment without useless thoughts and don't take care of people's opinions at all.

Deb and me

An american game before eating

The turkey in the oven: it wasn't stuffed, but delicious!

The fried turkey


Thanksgiving meal

The desserts: Deb's son is taking a piece.

The cake I made


Extra: urge che qualcuno mi spieghi come fare a organizzare il formato e le foto senza impazzire. Nonostante l'impegno e le ore perse il risultato non è mai quello sperato: dove reperisco i codici Html in versione "per gente lenta"? Tks sooo much

16 ottobre 2008

Campaign gadget

L'organizzazione delle votazioni da queste parti è davvero stravagante: c'è chi ha già votato, chi voterà questa settimana, chi nella propria città, chi al campus e perciò gli studenti attivisti cercano di convicere i coetanei a registrarsi. Qualcuno dovrebbe votare anche giovedì 4 novembre nel proprio paese. Weird date.

Io che non ho guardato nemmeno mezzo tg da quando sono qui, nè riuscita a leggere granché, ho almeno cercato di parlare con la gente in Università.

Al campus, come già accennato, la maggior parte sembra essere per Obama. Tuttavia il prof. di letteratura americana mi ha detto che molti affermano di votare il democratico semplicemente per timore di apparire razzisti. Sembra incredibile.
Giusto poche ore fa, invece, una ragazza mi ha spiegato che voterà per la candidata verde: Cynthia McKenney. I verdi ci sono ancora!
Il mio amico G. è per Obama, dice che la Clinton non gli piace, che sarebbe stato bello avere la Kennedy come vice, ma avrebbe significato perdere, e che Biden ha fatto delle cavolate, ma tutto sommato ci sta ancora. Quanto alla vice di McCain sostiene siano eccessivi nello stimarla e bugie le sue gesta.
D., impiegata gentilissima dell'università (addetta ai tesserini universitari), mi ha raccontato di aver stretto la mano di Obama questa settimana, in occasione dell'incontro a Indianapolis. Sembra esserne rimasta folgorata, il suo entusiasmo si è accresciuto.
J., segretaria del dipartimento spera per Obama, "ma - mi spiega - siamo un paese ancora immaturo, a third world country with too many toys and wealth".
G. mi confermerà l'affermazione "yeahh, a third world country with a strong army, because we have no health care, no education...".


Quanto a me dico che spero per Obama guadagnandomi simpatie, ma non lo faccio per quello. Piuttosto penso a racimolare gadgets.

J. oggi mi ha portato un campaign button, avrei preferito quello al femminile "women per Obama", ma non è riuscita a trovarlo.
Così stamattina ecco il biglietto che mi ha lasciato in segreteria: praticamente la hall, crocevia di chi frequenta il dipartimento di lingue moderne.
Per la serie: non mi faccio mai riconoscere.

Il prossimo passo sarà all'insegna della conquista di una maglietta.


Almeno ieri sera però sono riuscita a vedermi l'ultimo dibattito. McCanney non lo posso tollerare, mi ricorda troppo qualcun altro anche se da quest'ultimo dovrebbe imparare a sorridere. Lo sforzo immane per tentare di mantenere le labbra a mezza luna era oltremodo visibile. Inoltre fosse anche solo per l'idea di incrementare il nucleare e vietare l'aborto non avrebbe il mio voto.
Obama appariva più rilassato. Condivisibile ciò che ha detto al cento per cento (la realizzazione si sa è un'altra questione). Investire nello stato sociale: nella scuola, nella sanità (ma prima ancora nella prevenzione) e nelle fonti di energie rinnovabili (diminuendo però i consumi). L'ho apprezzato quando si è alterato e ha leggermente alzato il tono della voce, forse perché sono italiana e amo vedere passione. Quella autentica.
Nei nostri politici a volte l'eccesso genera la farsa da cui, per citare ancora Gaber, "abbiam capito che il mondo è un teatrino".

Comunque sia, certi gesti sono forse sfuggiti al controllo e, G. mi ha fatto notare che, alla fine del dibattito, mentre Obama ha cinto la moglie con un braccio scendendo dal palco, McCain ha schioccato le dita e lei lo ha seguito tipo cane. Bisogna anche dire che siamo in America e John è proprio uno yankee come molti gentili ragazzi incontrati, i quali, al momento di salutarmi, magari dopo una specie di abbraccio, quando una si aspetterebbe i classici due baci sulle guance o, piuttosto, basta quello, mi battono la mano sulla spalla tipo "Hey Frank, take care, ok?".
E va bene che c'ho le spalle un po' larghe guys, ma non sono mica un giocatore di Football americano!

12 ottobre 2008

Also a wedding

Se avessi capito subito che si trattava del vero e proprio ricevimento dopo il matrimonio probabilmente non ci sarei andata. Non amo partecipare a questo genere di eventi in Italia, figuriamoci all'estero, tra gente tra loro imparentata e a me sconosciuta.

O forse la tentazione di vedere come festeggiano qui sarebbe valsa più del timore. Tant'è che mi sono trovata al banchetto nuziale di una giovane coppia. E la risposta è: NOIA mortale come da noi se capiti al matrimonio sbagliato, cioè nella maggior parte dei casi.
Si sposava il cugino di J. (il primo ragazzo conosciuto, il "quasi pastore" col quale ormai, dati gli esordi, mi sento molto "comfortable").

Arrivati all'areoporto di Greencastle (non hanno i bus, ma un piccolo aeroporto per gli aerei privati: paradosso ad hoc per il paese) sotto un sole d'agosto ed una temperatura da pennica sul prato in maglietta e pantaloncini, siamo dovuti entrare nell'hangar chiuso quasi in modo ermetico per non disperdere il raffreddamento artificiale (alias: aria condizionata) e l'atmosfera natalizia creata da candele e piccole lampadine.

Ore cinque meno un quarto circa, gli sposi non sono ancora arrivati dal giro foto, ma la gente è già in fila davanti al buffet FOR DINNER.
Importante da sapere se vi trovate da queste parti e v'invitano a mangiare.
Prima delle 10.30 A.M. direi COLAZIONE.
Dalle 11.oo A.M. alle 2.00 P.M. PRANZO. Difficilmente uscirete a pranzo alle due, molto probabile invece verso le undici e trenta.
Dalle 4.00 P.M. in poi DINNER.
Ignoro quando e se facciano merenda.
Da noi si direbbe orari da ospedale, ma in pratica non hanno orari.

Ci mettiamo in fila pure noi tra altre persone annoiate. Il posto è freddo e kitchissimo...
J. mi presenta suo padre, la moglie di suo padre, le loro figlie, una delle quali di soli venticinque anni da compiere sposata con prole e poi arrivati gli sposi, suo cugino.
Sono tutti molto gentili, ma penso comunque che avrei potuto contentarmi di vedere le damigelle d'onore nei film, invece di sperimentarne la visione dal vero.
Arrivate a cena molte di loro hanno sostituito le scarpe eleganti con le infradito di gomma, c'è chi invece ha assistito alla cerimonia in modo informale sin dall'inizio.
Alle sei si serve la torta: gli sposi la tagliano e devono tentare di sporcarsi la faccia reciprocamente. "Lo fate anche in Italia?". Scuoto la testa mordendomi la lingua: "zitta".



















Un'altra usanza è il lancio della giarrettiera che in questo caso il marito si accinge a trovare. Fortunatamente l'inglese funge da ulteriore freno al dire.
Siccome siamo nel mid-west patria dei cornfields, il matrimonio è a tema.



















Mi sa che J. stavolta m'ha fregata: cercava qualcuno con cui condividere l'incombenza...
E nonostante ciò non voleva nemmeno farsi ritrarre affermando che nella foto sarebbe stato as a dork (da sfigato).