Scorrendo gli ultimi post ne esce il ritratto di una situazione difficile e di una persona che chiede consigli, ma in fondo lo sa già: se ne andrà su quel volo del prossimo 25 marzo.
Eppure nelle ultime settimane ho trascorso dei momenti di gioia, affetto e gratitudine che mi porterò stretti per un bel po' e che mi faranno tessere tanti elogi agli americani.
Ammetto, come già accennato nel post sul Thanksgiving day, di sentirmi una persona fortunata, negli ultimi anni, nei viaggi fatti ed anche a casa (ma in Italia sono state attentamente scelte), sono attorniata da persone squisite da cui mi sento voluta bene.
L'ultima volta che l'ho vista, Deb mi ha definita "a sweetheart" e ha affermato che sicuramente molte persone hanno desiderato trascorrere del tempo con me, ma lei per prima è un cuore al quale è facile voler bene.
Ma anche altre sono state le persone che mi hanno dimostrato un affetto, spesso del tutto inaspettato e con una semplicità tutta americana.
Tra le RSP (really special persone: sigla da me coniata in questo istante): Katherine e suo fratello John. A New York, ad esempio, dove mi hanno ospitata, non solo John mi ha più volte pagato il pasto, ma, la sera prima della mia partenza, a fine cena (avevo cucinato, Kathrine apparecchiato e acquistato dei fiori) è entrato in sala con una torta per il mio compleanno passato da soli pochi giorni. Ho festeggiato 28 anni tra "quasi sconosciuti" tra i quali mi sentivo "a casa".
La settimana precedente, inoltre, gli auguri mi erano già stati preparati da Greg che, a mia insaputa, aveva cucinato una cena vegana completa regalandomi anche una borsa di canapa biologica in tinta con le scarpe da poco acquistate.
Ma la gentilezza che forse più mi ha sconcertato è stata quella di Ken, il ragazzo di origine sudamericana, che ci ha scorazzato in giro per Manhattan a gennaio e che, nonostante non fosse assolutamente benestante (parlando ci ha spiegato di non potersi ancora permettere l'assicurazione sanitaria), ci ha pagato il pranzo e i due biglietti per salire in cima al Rockfeller center per ammirare una New York quasi notturna. Non c'è stato verso di rifiutare: ho provato a sottrargli la debit card al momento del pagamento per allungare la mia, provocando un'occhiata che mi ha quasi spaventata. Ho lasciato che facesse. Già ho raccontato di Joshua (l'ormai famoso "quasi pastore") che ha cucinato, mi ha portato a un matrimonio, prestato la coperta, Anthony e Denis che mi hanno fatto vivere almeno un concerto a Indy e quest'ultimo mi ha inoltre fatto un cd ad hoc di Ryan Adams oltre a offrirmi il caffè ogni qualvolta finissi nel suo bar.
Altre studentesse mi hanno invitato a cena nelle rispettive sorority e tre ieri durante la cena mi hanno fatto trovare un mazzo di fiori e un pacchetto: una loro foto incorniciata perché non le dimentichi. Prima di partire (e ancora durante la mia permanenza) alcuni mi avevano messo in guardia sugli americani descritti come molto friendly, ma incapaci di stringere rapporti profondi. Quanti italiani sono capaci di stringere rapporti intensi e autentici? Se ascolto i dialoghi volanti colgo spesso delusioni e tradimenti.
Perciò la differenza credo stia solo nel diverso approccio. Gli statunitensi sono semplici e affabili, talvolta con un apparente entusiasmo che può sconcertare. Gli italiani al contrario vanno più cauti, spesso appaiono chiusi e caratterizzati da un atteggiamento magari persino retrivo.
Ma americani, italiani, tedeschi svizzeri... people are people... and lovely people are everywhere (fucking bastards also, unfortunately).
X e Y sono due italiani. Si sono conosciuti a Dresda in erasmus qualche anno prima (ormai più di qualche). Hanno un po' viaggiato insieme e un po' hanno girato l'Europa per conto loro. Sono tornati in Italia. Si sono laureati. X è andato a trovarla a Como, Y è stata sua ospite a Firenze.
X da un paio d'anni fa il dottorato in filosofia, Y da qualche mese se ne sta negli Stati Uniti.
Dicembre 2008. X chiama Y.
X entusiasta: fra poco ti raggiungo! Sto preparando tutto, hanno accettato la mia domanda di studio! Y contenta: bene, ma cosa vieni a fare qui? Vale la pena studiare filosofia negli States? X ancora più entusiasta: Perché no? Ho scritto ad alcuni professori. Non vedo l'ora! Ho letto il tuo blog... ma sei troppo polemica... ma su! ecche ti lamenti!? l'America è bella... Su esci, guardala con altri occhi, pensa... Y: vieni, ti aspetto qui. Ma quanto ti fermi? X: penso un anno. Quest'estate faccio il coast to coast. Non vedo l'ora!
Febbraio 2009. X scrive a Y.
X: che ore sono da te? Y: 5 e mezza. X: anche da me :-) ti chiamo
X chiama Y.
Y: allora sei arrivato??? X: ebbene sì, da una settimana e mezza circa... Y: allora, come va? X: sto cercando di non lamentarmi... Y: Uuuhhh, guarda non faccio manco la finta di starmene zitta... Te lo dico proprio: CHE T'AVEVO DETTO? Eh? Pensa che sei arrivato da sole due settimane! Il peggio ha da venire... hihihihi X: ma secondo te perché? Perché non ci piace? Y: Perchè siamo italiani X! Siamo viziati! Vivi in centro a Firenze come cazzo fanno a piacerti gli States???
Per non parlare poi di tutto il resto: cibo, natura... storia... X: uhmmm... -pausa- Pensavo che forse quest'estate vado in Argentina... telefono al mio amico e glielo dico: cambio di programma, niente più coast to coast. Cosa dici? Y: vedo che hai capito. Tornassi indietro forse anch'io passerei gennaio in Sud America, spendendo probabilmente anche molto meno...
X racconta i primi grotteschi anedotti nel nuovo mondo e già tesse confronti fra i popoli
X: ma secondo te perché Dresda ci piaceva così tanto? forse perché eravamo più giovani? Y: NO, Dresda è bella! Dresda è Europa, qui gira che ti rigira le città si assomigliano tutte... togli San Francisco, New York... X: New York non mi ha particolarmente colpito... Y: ok, risposta definitiva: vai in Argentina senza nemmeno pensarci. X: pensare che in Italia avevo pure appena trovato l'amore... Y: ahhh ma allora te le vai proprio a cercare!
Alla fine della telefonata Y confrontando le condizioni di X che si trova in un campus con circa 25ooo studenti, vive in un dormitorio per soli grad students (vale a dire dottorandi) e ha a disposizione i mezzi pubblici, con le sue si chiede con timore se abbia sviluppato un sistema di sopportazione particolarmente alto o sia diventata una cosiddetta sfigata...
Starsene in giro per oltre un mese comporta una spesa considerevole perciò onde evitare di trovarsi col conto prosciugato nel giro di una settimana abbiamo prevalentemente alloggiato negli ostelli, anche se talvolta un motel si sarebbe forse rivelato più pratico e altrettanto economico. Ma avendo lasciato l'onere della prenotazione ad altri non posso ora lamentarmi.
Come ogni biblioteca che si rispetti, anche ogni ostello ha i suoi matti. Se vi si passano più di tre giorni consecutivi li si distingue, dopo i cinque si rischia di farne la conoscenza.
A San Diego, ad esempio, c'era un soggetto vestito Asempre con pantaloni e canotta nera, con unghie di mani e piedi laccate, che passava le sue giornate su una poltrona a leggere.
L'ostello di Venice Beach era talmente pietoso che ci trascorrevamo meno tempo possibile. La cucina era impraticabile e i bagni tutt'altro che comodi. Tuttavia penso passassimo noi per gli anomali dato che eravamo tra i pochi a calpestare la lisa moquette con le scarpe e un certo schifo mentre gli altri ospiti vi si aggiravano incuranti a piedi scalzi: ma che anticorpi hanno gli stranieri?!
Il covo di personaggi stravaganti (per usare un eufemismo) è stato però scoperto all'Adelaide hostel di San Francisco. Mio fratello ed io ci siamo fermati per ben otto giorni, tempo sufficiente a realizzare che alcune delle persone che vi lavoravano erano stranieri alcuni, si è dedotto, senza un visto valido, tra questi un'italiana, mentre altri dovevano provenire o da una comunità di recupero per tossicodipendenti o aderire ad un programma carcerario per il reintegro nella società dei detenuti. A conferma di ciò, riporto qualche battuta ascoltata la penultima sera. Ero davanti al pc e al mio fianco stava un tizio sui quaranta che parlava al telefono cercando di convincere una ragazza a stare con lui. Io, disinteressata scrivevo sui facebook-walls altrui. Ad un certo punto la sua insistenza attira però la mia attenzione e lo sento dire : “Think with your mind! What you want... not what your parents do want for you! Do you want to stay with me?... I'm not sure... Yes I love you. So do you like me? Why aren't you sure? ...if you are ok with our age difference, my story, my way of living, the fact that I was in jail...”. Ho finto di non sentire e continuato a battere i tasti con un “epperò” tra i denti. Tra gli altri soggetti curiosi un italo brasiliano che pur essendo un ingegnere, lavorando per l'interpol e avendo conoscenze importanti pressochè ovunque stava in ostello... L'amico C. ha finito per credere a tutte le sue panzane contribuendo a incrementare lo standard di furbizia. Ancora qualche giornata e avrebbe persino creduto alla trovata da lui stesso ideata: col mio reale brother ha infatti pensato di essere geniale spacciandomi per la sorella di entrambi così da non dare dubbi sul rapporto che ci legava di fronte al gentil sesso.
Qui a Miami sfruttiamo la gentilissima ospitalità della Dani, a New Orleans hotel per tre giorni poiché l'ostello è lontano dal centro, mentre a New York si vedrà. Portafogli semi vuoti chiedono una nuova strategia.
Oggi finalmente sono riuscita a stirare, così da evitare lo stato da punkabbestia per la prossima settimana. A San Francisco ero arrivata infatti al punto che i barboni non mi chiedevano nemmeno più i soldi, e se lo facevano ad un mio scuotere del capo sorridevano, vedendo forse una futura collega. Ha ragione mamma che devo bere il caffè seduta, altrimenti divento povera.
Prima che sia troppo tardi, cioè prima di essere espulsa dagli Stati Uniti per futili motivi che qui vengono definiti "requirements", mando a pixel l'alloggio nel quale mi sono trasferita dopo aver lasciato le coreane.
Si trova in Spring Str., in un palazzo chiamato "Little Rock". Ci viviamo in due io e Valentin, il German T.A.: un casinaro pazzesco che cerca costantemente di evitare qualsiasi faccenda domestica e azione per mantenere la situazione quantomeno apparentemente gestibile tipo: chiudere gli sportelli, tenere almeno le calze in camera sua, togliere dal tavolo le briciole... Però è un tipo tranquillo, non organizza party (ci va che si fa meno fatica), non cucina piatti maleodoranti nè occupa tutti gli scaffali del frigo con junk food...
Con un po' (tanta) di pazienza una convivenza che funziona.
Mi scuso fin d'ora per la scarsissima qualità della registrazione e della speaker. Come si suol dire migliorerà crescendo, hopefully.
30 novembre 2008
Sempre più spesso dagli amici in patria mi arrivano messaggi del tipo: non tornare, trovati un lavoro e stai lì, qui la situazione è sempre peggio, informati se trovi qualche occupazione per il sottoscritto...
Oh guys! Non sono nell'America a cavallo tra ottocento e novecento e nemmeno in quella del boom economico post-bellico.
Siamo nell'anno domini 2008 ed è una merda dappertutto. Purtroppo.
Stamattina con un connazionale ho a lungo discusso del precariato italiano che attanaglia la nostra generazione. Mi ha dato l'ennesimo, uguale consiglio.
Ecco la mia risposta: è l'esperienza del prof. di tedesco, anni 33, da sei negli States.
J. si sta ammazzando di lavoro extra per cercare un posto che gli conceda di mantenere il visto (un visto lavorativo può costare oltre 3.000 $... ora si capisce perché me ne hanno fatto uno da studente!). In generale le università, essendo istituti privati, stanno tagliando le assunzioni e licenziando tutti colori che non sono ritenuti indispensabili. Dicono che può peggiorare.
Insegnare qui significa, inoltre, doversi fare anni e anni di Phd (dottorato) sperando nella borsa di studio per non doverlo pagare... come in Italia, ok, ma alla fine per quel che riguarda la mia specializzazione insegnerei come coniugare il verbo essere...
Ci sarebbe poi il timore costante del licenziamento a tempo zero che qui non risparmia nessuno (con tutti i pro e i contro), mucchi di carte da compilare per facilitare la vita agli studenti e odiare la tua, costanti valutazioni in classe e calcoli per mettere via la pensione.
No thanks. Torno in patria.
E a chi mi dice che sono "scatenata contro il capitalismo USA" offro a titolo d'esempio questo piatto considerato delizioso dagli yankee:
Si tratta di patate dolci, cotte nel forno con troppo burro, su cui vengono poggiate delle gommose caramelle (i marshmallows di cui già dissi) che in teoria dovrebbero essere fatte solo di zucchero e gelatina... secondo me sono chimicissime... In questa foto le vedete rosa e verdine. Propinatomi al Tksgiving ho preferito rinunciarvi per non correre il rischio di vedermi spuntare la coda...
Ma ecco la domanda: potreste mai sostituirle alla lasagna natalizia? o anche solo ai tortellini in brodo?
Mille volte meglio pane e salame: lottiamo per preservarlo!
I had a beautiful lunch-dinner (better just say meal maybe) at four with Deb, her family and friends. Perhaps the food was not so healthy in some way, but the people were: so nice people.
Although my sfiga (I haven't found a good translation, yet) for some shit that happens sometimes to me and my attitude to be often quite clumsy, which brings me in embarrassing situations, I must admit that with people I'm lucky. I can boast an awesome family and amazing friends. I've met so beautiful people in my life! ...yes also some idiots, but they are the exception that confirms the rule.
When I felt bad for the reasons already written, I resisted thanks to some lovely people I knew. Deb was one of them.
I had a nice day today.
From now on I really want to change my attitude: be happier, smile of myself, enjoy the moment without useless thoughts and don't take care of people's opinions at all.
Deb and me
An american game before eating
The turkey in the oven: it wasn't stuffed, but delicious!
The fried turkey
Thanksgiving meal
The desserts: Deb's son is taking a piece.
The cake I made
Extra: urge che qualcuno mi spieghi come fare a organizzare il formato e le foto senza impazzire. Nonostante l'impegno e le ore perse il risultato non è mai quello sperato: dove reperisco i codici Html in versione "per gente lenta"? Tks sooo much
Ci troviamo davanti all'Union Building, l'edificio centrale del campus pronti a partire per la Georgia e partecipare alla School of American vigil protest. Nonostante l'università paghi viaggio, due notti d'albergo e una cena, siamo solo sette: compreso il professore, il suo compagno e una studentessa proveniente dall'Illinois University.
A sostenere la trasferta è un'associazione studentesca che si occupa di promuovere la pace. A giudicare dalla partecipazione non so quanto successo abbia e a me pare di avere l'ennesima conferma di un'espressione che mi rimbalza nella testa da un po' di settimane: here the students are fed.
Se penso alla fatica per trovare come andare a Genova nel 2001, ai soldi spesi per Firenze, Roma, Perugia-Assisi, Milano... l'unico viaggio gratuito, perché offertomi, è stato quello a Vicenza nel 2007 per dire no dal molin. E anche se in generale quelle giornate sono valse ben più delle non molte decine di euro sborsati, andarci ha significato innanzitutto organizzarsi, trovare il come, da dove, con chi.
Qui c'era già tutto, ma i ragazzi hanno un'infinita di attività offerte e tra meeting e papers sui quali vengono valutati un giorno sì e l'altro pure, diviene complicato trovare lo spazio per il pensiero. Un paio di volte ho incontrato delle persone che dicevano di non sapere cosa fare, ma erano rappresentanti dei cosiddetti couch potatoes, gli altri sono tutti sempre BUSY, la parola più usata, un'altra tra quelle che odio.
Chiudo la digressione universitaria che in realtà meriterebbe un post a sé stante e poi forse si tratta solo dell'american style che stride con la mia visione.
All'una di notte arriviamo a Columbus.
Sabato 22 novembre.
Lasciamo l'albergo, un Best western più che confortevole, in auto. La parcheggiamo dopo quindici minuti e ben 10 bucks in un posteggio semideserto vicino a dei capannoni. I soldi non sono miei, ma mi auguro comunque vadano a sostegno della protesta. Questa si svolge in una strada chiusa al traffico che porta alla fatidica scuola, se pur molto prima dell'entrata che non si vede. Sfiliamo tra un paio di transenne, superiamo i cartelli, leggiamo i divieti. La polizia ci guarda impettita e sorniona.
È la giornata dei banchetti informativi. C'è pochissima gente. Il professore che ci ha accompagnato ne prepara uno: un'associazione universitaria, l'ennesima. L'ha chiamata canary (canarino) e si propone di accrescere la consapevolezza su quel che avviene in Sud America. Adocchiò degli acquisti interessanti e la mattinata scorre mentre leggo le frasi sugli stickers e i pins: mai visti così tanti. Ne compro qualcuno sperando che pure quel poco denaro vada a sovvenzionare un qualsiasi movimento, ma non ne sono così certa. Anche qui vige la legge del mercato. Tuttavia gli stand interessanti non mancano: sono un numero limitato, ma sufficiente a coprire lo spazio concesso. Nel mezzo alcune persone sdraiate ricordano le vittime dei militari statunitensi.
Suggerisco un caffè al banco del commercio equo e solidale. Un american coffee per due dollari e qualche prodotto appoggiato su un banchetto che non fa invidia nemmeno ai verdi di Como. La ragazza dietro il tavolo inizia a parlarci della provenienza del prodotto, di come sostiene le piccole cooperative e bla bla bla. Le vorrei dire che un'idea di cosa sia il fair trade già l'avrei, ma il compagno guatemalteco del docente mostra stupore ed io sorpresa dalla sua “primordiale” curiosità chiedo di acquistare la tisana di rooibos poggiata davanti a me. Mentre controllo gli ingredienti, contenta di averla finalmente trovata vengo informata che non è in vendita, solo per esposizione. Primo attacco nostalgico: garabombo, encuentro, l'isola che c'è... homesick! In fondo alla strada c'è un palco,una ragazza vestita in stile hip-hop spiega della grande esperienza provata l'anno precedente scavalcando la rete, the fence. Dice che se si presenteranno cinquanta persone a farlo con lei, ripeterà l'opera. L'invito non verrà accolto (per chi supera il limite ci sono mille dollari di multa o fino a sei mesi di reclusione). Poi dei gruppi si alternano davanti a persone che non ballano. Lo superiamo e ci troviamo presso il cancello ultimo. Alcuni sono seduti, poggio il sedere per terra pure io. Attraversiamo le due carreggiate. Presto il rumore di una musica ballabile mi porta sotto il palco. Con poche decine di persone mi muovo, finalmente. In tutto il pomeriggio non ho sentito uno slogan, un coro, niente. Greg mi spiega che manca una leadership. Ammicco con un «because you're used to be fed». Penso agli altoparlanti in mano agli studenti che se lo contendono per urlarci dentro, agli striscioni, ai carri dei collettivi. Secondo attacco nostalgico: hasta siempre, ...ora e sempre disobbedienti, bella ciao... homesick! Ma mentre torniamo al banchetto del Canary, mi giunge alle orecchie un ritmo conosciuto, mi blocco, faccio il ritmo con la voce ed è quello giusto, stringo il braccio di Greg fermandolo. Continuo quel ritmo mentre il mio amico non capisce. È lei, è lei e ho ragione. Il ritornello di "Bella ciao" arriva forte e chiaro se pur storpiato da un forte accento americano. Marcia indietro correndo, saltellando, soprattutto cantando. Proud of being Italian, ma nessuno capisce e Greg mi segue nel delirio, ignaro dell'importanza. Sono quasi sotto il palco e se m'invitassero la canterei al microfono, se non altro per salvarla dal forte accento yankee e non limitarla al ritornello. Più tardi con orgoglio spiegherò che «you have such a lack of slogans, songs that you have to import our song!» anche se il mio interlocutore non si merita di sentirsi rivolgere tali parole e per giorni ripete che a N.Y è, e sarebbe diverso.
La sera andiamo in un centro di congressi dove si tengono incontri vari e ancora della musica: campa cavallo che l'erba cresce. Mi spiace per loro. Terzo attacco nostalgico: fa' la cosa giusta, gas, incontri vari pro pace nelle parrocchie e nelle circoscrizioni o sedi dei partiti... homesick!
Domenica 23 Novembre
Sin dalla sera prima mi hanno detto che vedrò più gente, è quello il giorno della SOA vigil. Assisto ad una veglia che commemora le vittime delle torture, degli abusi di potere, dell'ingiustizia. La massa di gente è per fortuna veramente aumentata, ma sono un nulla se penso che la protesta ideata da Padre Roy Bourgeois (un prete cattolico che proprio in questi giorni rischia la scomunica per aver appoggiato l'ordinazione al sacerdozio di alcune donne) con la creazione del "School of the Americas watch", riguarda tutti gli Stati Uniti. E se non bisogna dimenticare che fino a qualche anno fa essere di sinistra da queste parti equivaleva ad essere considerati comunisti, cioè il male estremo, guardando i veterani e gli hippies datati da cui sono attorniata mi chiedo dove siano i loro figli, i loro nipoti, qualcuno avranno pure cresciuto! Seguo la folla che questa volta in coro ripete no mas, no more,we cry e presente per le vittime nominate, come ben riportato sul programma trovato sia in albergo sia in loco. A dirigere il traffico della folla alcuni attivisti con dei cappellini rossi. Anche questo con altri dettagli è riportato nel programma: -Processions Guides, wearing red caps, will help direct you-. Americani: non ci si può far niente se non hanno tutto esplicitato pare siano fottuti. Sorrido.
We cry. Ammetto che in alcuni momenti sento anche empatia e l'atmosfera si fa commovente: intrisa di giusta tristezza. *Nella foto seguente al centro: Father Roy Bourgeois
Mezzogiorno è l'orario scelto per ripartire, mentre attraversiamo il parcheggio cercando di capacitarci che è vero, dentro quella scuola sono stati addestrati degli assassini e solo ventimila persone si sono indignate seconda la stima riportata in giornata (8500 secondo la polizia) ci fermiamo davanti all'ennesimo paradosso, come in un film... Mi sorge il dubbio se mi sia più facile reperire una beretta oppure una tisana al rooibos...
*A breve qualche commento perché, wow, è un evento storico guys...I have to realize it better, maybe I'm starting now, but it's time to go to bed. On facebook, in fact, I joined the cause "I won't go to school if McCain win". So tomorrow I have to be at school: luckily :-)
Qui le decorazioni per Halloween sono nei cortili da settimane. Questa, una casa vicino alla mia.
Due "miei" studenti mi hanno invitata alla festa nella loro Fraternity. Così ho deciso di sperimentare il mio primo Halloween, l'original one.
Di seguito chi mi ha invitata: due ragazzi col cognome italiano (Cassella e Lucchese).
Nonostante la banalità del costume, ero l'unica vestita da strega!
E menomale che in America la politica è tabù.
J. (non è difficile indovinare il nome) mostra il voto e un'idea quasi da ku klux klan che gli ho detto di non condividere. Avrei dovuto fargli un maleficio, ma mi ha offerto di festeggiare il Thanksgiving day con la sua famiglia from Italy e, nonostante non abbia ancora accettato, non ci sono riuscita. Certo che con tutti i democratici nel campus io, al solito, dal mazzo li piglio!
*Il viso è stato oscurato per precisa richiesta del soggetto fotografato di non figurare nel blog riferendosi, però, a quello dell'Italian club: si preoccupava dell'opinione dei professori.
Ad ogni modo, per evitare di vedermi mangiare le solite arance, ormai di stagione, al chiuso, ho preferito tutelarmi anche qui ;-)
Miami è veramente una figata. Incipit sicuramente poco (per nulla signorile), ma tant'è.
Arrivare non è stato facile. Le navette dall'università erano solo venerdì, io sarei partita il sabato. Ho lasciato un annuncio sulla bacheca on-line della DePauw e deciso di acquistare un cellulare per evitare qualsiasi rischio di non essere trovata. Mi ha risposto un docente della scuola di musica dicendomi che sabato si sarebbe recato col partner all'aeroporto, ma la mattina. Se non trovavo di meglio potevo unirmi. Rispondo grazie, gli avrei dato conferma a inizio settimana. Acquisto il telefonino con l'ausilio di un commesso con gli occhi più azzurri che ricordi e mando la conferma al prof. Questi mi risponde chiedendomi se lunedì abbia per caso preso un cellulare da un tal B. da Walmart: è il suo compagno. Dico “yes, that's wild” e gasata mi preparo per il viaggio che si annuncia curioso sin dagli esordi. Un'ora di auto con una coppia gay, uno dei quali è un pianista: già mi figuro il personaggio un po' bohèmien. Arrivano e dalle apparenze non lo sembra, ma quelle non contano. Mi chiedono dove vado, rispondo e giro la domanda: Disneyland. Una valanga copre ogni poesia. Mi consolo facendomi sistemare il telefono e, inoltre, sono gentilissimi; guadagno pure un altro invito per il Thanksgiving, bene.
Arrivo all'aeroporto alle undici e mezza, aereo alle tre e mezza del pomeriggio. Un'ora di ritardo passo il tempo tra snack e caffè per evitare di addormentarmi. Dormo invece per buona parte del viaggio: appena salita non mi rendo nemmeno conto di decollare. Scatto delle foto. La seguente è dove andrò: Miami beach.
Finalmente verso le otto di sera sono a casa di D. Proprio a South Beach...WOW! Il giorno dopo è nuvoloso. L'amica mi confida che devo essere io (concordo): non ricorda una giornata così grigia. Al contrario Miami stupisce per quanto è luminosa. Niente mare, dunque. Mi porta a fare un tour e si lamenta delle foto che scatto.
Poi però ho recuperato: oggi spiaggia dalle sei e un quarto del mattino, sino alle cinque e mezza di sera. No, non ci si annoia.
Se avessi capito subito che si trattava del vero e proprio ricevimento dopo il matrimonio probabilmente non ci sarei andata. Non amo partecipare a questo genere di eventi in Italia, figuriamoci all'estero, tra gente tra loro imparentata e a me sconosciuta.
O forse la tentazione di vedere come festeggiano qui sarebbe valsa più del timore. Tant'è che mi sono trovata al banchetto nuziale di una giovane coppia. E la risposta è: NOIA mortale come da noi se capiti al matrimonio sbagliato, cioè nella maggior parte dei casi.
Si sposava il cugino di J. (il primo ragazzo conosciuto, il "quasi pastore" col quale ormai, dati gli esordi, mi sento molto "comfortable").
Arrivati all'areoporto di Greencastle (non hanno i bus, ma un piccolo aeroporto per gli aerei privati: paradosso ad hoc per il paese) sotto un sole d'agosto ed una temperatura da pennica sul prato in maglietta e pantaloncini, siamo dovuti entrare nell'hangar chiuso quasi in modo ermetico per non disperdere il raffreddamento artificiale (alias: aria condizionata) e l'atmosfera natalizia creata da candele e piccole lampadine.
Ore cinque meno un quarto circa, gli sposi non sono ancora arrivati dal giro foto, ma la gente è già in fila davanti al buffet FOR DINNER.
Importante da sapere se vi trovate da queste parti e v'invitano a mangiare. Prima delle 10.30 A.M. direi COLAZIONE.
Dalle 11.oo A.M. alle 2.00 P.M. PRANZO. Difficilmente uscirete a pranzo alle due, molto probabile invece verso le undici e trenta.
Dalle 4.00 P.M. in poi DINNER.
Ignoro quando e se facciano merenda.
Da noi si direbbe orari da ospedale, ma in pratica non hanno orari.
Ci mettiamo in fila pure noi tra altre persone annoiate. Il posto è freddo e kitchissimo...
J. mi presenta suo padre, la moglie di suo padre, le loro figlie, una delle quali di soli venticinque anni da compiere sposata con prole e poi arrivati gli sposi, suo cugino.
Sono tutti molto gentili, ma penso comunque che avrei potuto contentarmi di vedere le damigelle d'onore nei film, invece di sperimentarne la visione dal vero.
Arrivate a cena molte di loro hanno sostituito le scarpe eleganti con le infradito di gomma, c'è chi invece ha assistito alla cerimonia in modo informale sin dall'inizio.
Alle sei si serve la torta: gli sposi la tagliano e devono tentare di sporcarsi la faccia reciprocamente. "Lo fate anche in Italia?". Scuoto la testa mordendomi la lingua: "zitta".
Un'altra usanza è il lancio della giarrettiera che in questo caso il marito si accinge a trovare. Fortunatamente l'inglese funge da ulteriore freno al dire.
Siccome siamo nel mid-west patria dei cornfields, il matrimonio è a tema.
Mi sa che J. stavolta m'ha fregata: cercava qualcuno con cui condividere l'incombenza...
E nonostante ciò non voleva nemmeno farsi ritrarre affermando che nella foto sarebbe stato as a dork (da sfigato).
Qualcuno ultimamente mi ha detto che sembro in fuga. A volte è capitato anche a me di pensarlo. Poco importa. In questo blog racconto il mio viaggio: USA, Indiana, Green Castle, DePauw University e forse altro.